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  • Martedì 14 novembre 2017

Com’è andata a finire in Catalogna?

Alle elezioni del 21 dicembre i partiti indipendentisti ci saranno ma separati e candideranno gli ex ministri in prigione e a Bruxelles: cosa succederà dopo, invece, non si sa

di Elena Zacchetti – @elenazacchetti

Carles Puigdemont a Bruxelles (JOHN THYS/AFP/Getty Images)
Carles Puigdemont a Bruxelles (JOHN THYS/AFP/Getty Images)

Negli ultimi giorni si è capito qualcosa di più di come saranno le elezioni anticipate in Catalogna, convocate eccezionalmente dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e fissate per il prossimo 21 dicembre. I partiti indipendentisti catalani, che fino a pochi giorni fa mettevano in dubbio la loro partecipazione al voto, hanno confermato che si presenteranno alle elezioni ma non con una lista unica, come si era proposto a un certo punto. I capilista saranno per lo più i membri del governo catalano destituito con l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione e che oggi si trovano o in prigione o a Bruxelles, accusati tra le altre cose di ribellione e sedizione: per esempio saranno candidati Carles Puigdemont, ex presidente (oggi a Bruxelles), e Oriol Junqueras, ex vicepresidente (in prigione).

Se in parte si sono risolti i dubbi delle liste elettorali, ci sono ancora molte cose che rimangono in sospeso e di cui non si è discusso seriamente. Per esempio nessuno sa cosa succederà il 22 dicembre se gli indipendentisti dovessero vincere di nuovo, o se gli unionisti non fossero in grado di formare una maggioranza di governo.

Breve ripasso: a che punto siamo?
Tutti i membri del governo catalano destituito con l’articolo 155 della Costituzione sono accusati di sedizione e ribellione per avere promosso il referendum sull’indipendenza della Catalogna dell’1 ottobre – referendum considerato illegale dalla magistratura e dal governo spagnoli – e per avere sostenuto la dichiarazione d’indipendenza approvata dal Parlamento catalano il 27 ottobre.

Il 2 novembre l’Audiencia Nacional, un alto tribunale spagnolo con sede a Madrid, ha deciso la carcerazione preventiva dei membri del governo catalano che ancora si trovavano in Catalogna: otto in tutto, tra cui il vicepresidente Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana (ERC), partito di sinistra indipendentista e secondo i sondaggi primo partito alle elezioni del 21 dicembre. Per i cinque membri del governo che invece erano andati a Bruxelles, tra cui l’ex presidente Puigdemont, l’Audiencia Nacional ha inviato una richiesta di estradizione alla procura belga, che non è ancora stata esaminata nel merito. Nel frattempo un altro tribunale spagnolo, il Tribunale Supremo, ha concesso la libertà su cauzione dei membri della Mesa del Parlamento, in attesa del processo (la Mesa è un organo parlamentare che si occupa tra le altre cose di stabilire quali mozioni ammettere alla discussione e al voto, e quali no): anche loro sono accusati di sedizione e ribellione. Non è chiaro quale sarà la situazione giudiziaria delle persone coinvolte il 21 dicembre.

Intanto però si può dire che la Repubblica catalana proclamata lo scorso 27 ottobre nella realtà non è mai nata: oggi le istituzioni catalane sono per lo più controllate dal governo centrale spagnolo grazie all’articolo 155 della Costituzione, la cui applicazione in Catalogna è stata sostenuta da tutti i partiti anti-indipendentisti tranne la sezione catalana di Podemos.

Come si presenteranno gli indipendentisti?
Dopo l’annuncio dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, e la parziale sospensione di fatto dell’autonomia della Catalogna, diversi politici indipendentisti avevano parlato della possibilità di non presentarsi alle elezioni del 21 dicembre, che consideravano “illegittime”. Ancora oggi il fronte indipendentista sostiene che non si possa parlare di “elezioni normali”, anche solo per il fatto che i principali leader indipendentisti sono in carcere o all’estero. La scelta alla fine è stata di presentarsi al voto, per evitare di rimanere completamente esclusi dalla politica catalana dei prossimi anni.

L’idea di creare una lista unica indipendentista – che avrebbe dovuto chiedere la liberazione dei “prigionieri politici”, la fine dell’articolo 155 e l’avvio di un processo costituente – è stata scartata nel giro di qualche giorno, per diverse ragioni. È possibile che ERC – la sinistra indipendentista – abbia pensato di poter massimizzare il suo risultato elettorale, dato che tutti i sondaggi lo danno come primo partito in Catalogna. La CUP, partito indipendentista di sinistra radicale che nel corso dell’ultima legislatura aveva sostenuto il governo senza farne parte, ha deciso di presentarsi da sola: tra le opzioni analizzate nei giorni scorsi non ha contemplato la creazione di un’unica lista di partiti che comprendesse anche il PDeCAT, il partito di Puigdemont, di centrodestra.

Il PDeCAT, che negli ultimi anni ha perso moltissimi consensi, spingeva per una lista unica, probabilmente anche per mascherare di nuovo la propria debolezza e cercare una sovra-rappresentazione nel nuovo governo. Il fallimento dell’idea della lista unica ha lasciato aperte altre possibilità. Puigdemont sarà il candidato presidente di una “lista del presidente”, che si chiamerà Junts pel Catalunya (Insieme per la Catalogna) e che sfrutterà le risorse del PDeCAT in campagna elettorale ma includerà esponenti della società civile e sindaci catalani indipendentisti. Sarà una lista ampia a cui non parteciperanno i nomi più in vista del PDeCAT (come Marta Pascal, coordinatrice del partito), e che cercherà voti in tutti gli schieramenti. La lista di Puigdemont potrebbe sottrarre dei voti anche a ERC, vista la popolarità dell’ex presidente tra una buona fetta dell’elettorato indipendentista catalano.

L’impressione, almeno finora, è che i partiti indipendentisti eviteranno di farsi la guerra tra loro in vista delle elezioni del 21 dicembre, nonostante le enormi differenze ideologiche. L’obiettivo dovrebbe essere ottenere non solo una nuova maggioranza parlamentare, ma anche una maggioranza in termini di voti: superare quindi il 50 per cento dei consensi, cosa che non era riuscita alle ultime elezioni, quelle del settembre 2015 (erano arrivati al 48 per cento). Non è chiaro cosa succederà poi: al momento sembra difficile pensare che si potranno formare nel Parlamento catalano schieramenti e coalizioni diverse da quelle indipendentiste e anti-indipendentiste. Per esempio sembra difficile che si potrà formare una maggioranza fatta dalle forze di sinistra, che unirebbe ERC, la sezione catalana di Podemos e il Partito Socialista catalano (PSC), che ha appoggiato l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione.

Se la divisione dovesse quindi rimanere basata su questa linea – indipendenza o no – gli indipendentisti potrebbero essere in vantaggio sugli avversari, perché più disposti a fare delle alleanze post-elettorali tra loro.

E gli anti-indipendentisti? Le tribolazioni di Podem
Sul fronte anti-indipendentista le cose sono state più chiare fin dal principio. Ci sono tre partiti politici che hanno deciso di appoggiare l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione: il Partito popolare catalano (PPC), Ciutadans (la sezione catalana di Ciudadanos) e il Partito socialista catalano (PSC). Sui primi due non c’erano molti dubbi: il PPC è la sezione catalana del partito di Rajoy, mentre Ciutadans è un partito nato in Catalogna e fin dall’inizio anti-indipendentista, che piano piano si è spostato sempre di più su posizioni di destra. Lo decisione del PSC di schierarsi dalla parte del governo spagnolo, almeno sull’applicazione dell’articolo 155, è invece stata molto più travagliata: ha provocato qualche dimissione interna al partito e ha causato la rottura di patti di governo tra forze indipendentiste e PSC in diversi comuni catalani. Il PSC è una forza tradizionalmente non indipendentista, ma che sostiene una maggiore autonomia della Catalogna e in passato aveva governato con forze indipendentiste di sinistra. Il leader del PSC, Miquel Iceta, sta cercando di presentarsi come l’unica forza politica “catalanista” in grado di ottenere dal governo centrale spagnolo condizioni migliori per la Catalogna, senza infrangere la legge né arrivare all’indipendenza.

Selfie con il leader del PSC, Miquel Iceta (secondo da sinistra), con il leader del PPC, Xavier García Albiol (primo da destra), la ministra della Sanità spagnola, Dolors Montserrat, e il delegato del governo spagnolo in Catalogna, Enric Millo, durante la manifestazione a favore dell’unità della Spagna che si è tenuta a Barcellona il 29 ottobre. Per questa foto Iceta è stato criticato molto dagli indipendentisti.

Il partito del fronte anti-indipendentista più in difficoltà nelle ultime settimane è stato Podem, la sezione catalana di Podemos, partito che a livello nazionale è anti-indipendentista ma favorevole a tenere un referendum legale sull’indipendenza della Catalogna. Dopo la proclamazione dell’indipendenza, alcuni membri di Podem, tra cui il suo leader Dante Alberto Fachin, avevano detto di riconoscere la nascita della Repubblica catalana e Puigdemont come unico presidente legittimo della Catalogna. I vertici di Podemos nazionale avevano risposto organizzando una votazione interna ed estromettendo dal partito i “dissidenti” vicini all’indipendentismo. La decisione è stata criticata da diversi esponenti di Podem, che l’hanno vista come un’intromissione illegittima dei leader nazionali nella sezione catalana del partito. Podemos ha deciso di partecipare alle elezioni del 21 dicembre insieme al gruppo di Ada Colau, sindaca di Barcellona, accusata da tempo di essere troppo ambigua sul tema dell’indipendentismo; gli estromessi, tra cui Fachin, non si sono ancora affiliati ad alcuna forza politica e non è chiaro se lo faranno nelle prossime settimane.

Se i risultati elettorali del 21 dicembre confermassero i sondaggi più recenti, i partiti anti-indipendentisti dovranno fare una grande alleanza per riuscire a governare, e non è scontato. Negli ultimi giorni Ciutadans ha chiesto in diverse occasioni a PP e PSC di mettersi d’accordo per sostenere il candidato presidente del partito che tra i tre otterrà più voti (che sarà Ines Arrimadas, di Ciutadans). Le resistenze del PSC però sono state enormi: l’elettorato socialista catalano non vede per niente di buon occhio una possibile alleanza con la destra, soprattutto con il PP, un partito da sempre estremamente impopolare in Catalogna.

Sì, ma il 22 dicembre che succederà?
È la domanda che più ci si fa da giorni in Catalogna. Non ce lo si chiede solo in riferimento alle possibili alleanze tra partiti, ma anche e soprattutto in relazione ai programmi di governo.

Non si sa per esempio cosa faranno gli indipendentisti se dovessero vincere di nuovo. Potrebbero cercare di «consolidare la Repubblica», come chiede la CUP, o potrebbero provere a trovare altre vie per risolvere la crisi, come ha suggerito ieri Puigdemont in un’intervista al giornale belga Le Soir. La differenza tra le due opzioni è enorme. La prima implica continuare a agire al di fuori della Costituzione spagnola, nell’illegalità, la seconda comporta un mezzo passo indietro: ripristinare l’autonomia, ricompattare il fronte indipendentista magari da una posizione di maggiore forza e provare a fare nuove pressioni sul governo spagnolo per fargli accettare un qualche tipo di negoziato. Entrambe le opzioni stanno provocando molte discussioni e qualche prima autocritica nel fronte indipendentista.

La prima pagina di oggi di ARA, quotidiano catalano vicino all’indipendentismo, dice: «Non eravamo preparati», riferendosi all’indipendenza

Negli ultimi giorni alcuni politici indipendentisti hanno ammesso – per la prima volta – che il governo catalano non era pronto a rendere effettivo il risultato del referendum dell’1 ottobre, ovvero per istituire la Repubblica: per la mancanza di strutture proprie, di un esercito e soprattutto di un qualche tipo di appoggio internazionale. Per queste ragioni sembra improbabile che si possa «consolidare la Repubblica» senza il consenso del governo spagnolo, che nelle ultime settimane ha mostrato di potere e volere intervenire con forza in Catalogna in caso di violazione della legge e della Costituzione. Allo stesso modo non è chiaro quanto potranno essere efficaci le pressioni sul governo spagnolo di un’eventuale nuova maggioranza indipendentista. Il governo guidato da Rajoy si è finora rifiutato di parlare di qualsiasi proposta per un referendum concordato e legale in Catalogna, nonostante la maggioranza dei catalani lo sostenga. I principali partiti spagnoli, a eccezione di Podemos, sono della stessa idea: sostenere l’unità della Spagna è una posizione che viene ripagata ampiamente in termini di consensi nazionali.

Ieri Mariano Rajoy ha di fatto ammesso che non esiste un “piano b” nel caso di nuova vittoria dell’indipendentismo. In un’intervista data al quotidiano tedesco Handelsblatt, Rajoy ha detto: «L’unico piano che abbiamo è quello di garantire che il futuro governo catalano rispetti la legge», e ha aggiunto di essere sicuro che «i separatisti perderanno consenso» alle prossime elezioni. Se dovesse andare diversamente, però, non è chiaro cosa succederà o come deciderà di reagire il governo spagnolo.