• Mondo
  • Martedì 10 ottobre 2017

Delle elezioni quasi normali, in Liberia

Si vota oggi e per la prima volta nella storia del paese un presidente democraticamente eletto cederà il potere pacificamente: tra i candidati favoriti c'è anche l'ex calciatore George Weah

(ISSOUF SANOGO/AFP/Getty Images)
(ISSOUF SANOGO/AFP/Getty Images)

Oggi si vota in Liberia, a lungo considerato uno dei paesi più pericolosi e instabili dell’Africa occidentale. Le cose però, sembra che stiano finalmente cambiando: per la prima volta nella storia del paese un leader democraticamente eletto ha fatto un passo indietro, cedendo il potere senza combattere o senza cercare di modificare la Costituzione. La presidente Ellen Johnson Sirleaf, premio Nobel per la pace per aver riportato la pace nel paese dopo 14 anni di guerra civile, ha già svolto due mandati, uno iniziato nel 2006, l’altro nel 2012, il massimo concesso dalla Costituzione e quindi ha annunciato che si ritirerà dalla politica.

Oggi 20 candidati si sfideranno per succederle nel primo turno delle elezioni presidenziali. Contemporaneamente, i liberiani sono chiamati a votare per rinnovare il Parlamento, con un sistema molto simile a quello britannico (in ogni collegio ogni partito schiera un unico candidato: vince chi prende un voto più degli altri).

Ci sono due candidati principali alla carica di presidente, entrambi vecchie conoscenze della politica liberiana. Secondo i sondaggi, il favorito è l’ex calciatore George Weah, 51 anni, candidato del Congresso per il cambiamento democratico. Weah, che tra gli anni Novanta e Duemila ha giocato per squadre come Milan e Paris Saint-Germain, si era già candidato presidente nel 2005, mentre nel 2006 si era candidato vice-presidente. In entrambi i casi era stato battuto dalla presidente uscente Sirleaf. Questa volta le sue possibilità sono migliori: i suoi avversari sono divisi e i sondaggi lo danno in vantaggio.

Il suo principale rivale è l’attuale vice-presidente Joseph Boakai che per 12 anni è stato il braccio destro di Sirleaf. Boakai ha 72 anni ed è un tecnico, che in passato ha svolto incarichi amministrativi in alcune delle più importanti società pubbliche del paese. L’Economist scrive che è considerato da molti un candidato sicuro, onesto e in continuità con il passato. I suoi rapporti con Sirleaf, però, non sono buoni. La presidente non è praticamente mai apparsa per appoggiarlo in campagna elettorale e in uno dei suoi ultimi discorsi ha detto che è giunto il momento di aprire la strada a una “nuova generazione” di politici liberiani, categoria alla quale difficilmente Boakai può dire di appartenere.

Quello che manca ai candidati è un programma economico chiaro: nessuno sembra aver elaborato proposte convincenti al di là di generiche promesse di migliorare l’istruzione, i trasporti e di creare più posti di lavoro. Il paese, però, è tra i più poveri dell’Africa occidentale. Ha dovuto affrontare lunghe guerre civili, colpi di stato e, nel 2015, una delle peggiori epidemia di ebola della storia.

Helene Cooper, la corrispondente del New York Times che si trova nella capitale Monrovia, scrive che la campagna elettorale in Liberia è disordinata e tumultuosa e in certi momenti somiglia a una grande festa studentesca. Durante i comizi i candidati mettono musica ad alto volume, distribuiscono cibo e alcol, mentre i loro sostenitori o i semplici passanti ballano per strada. Le manifestazioni a favore dei candidati in genere raccolgono migliaia di persone che marciano per il centro della città cantando slogan e bloccando il traffico. I metodi per raccogliere voti spesso sono molto crudi ed è facile imbattersi in candidati al Parlamento mentre distribuiscono soldi agli angoli delle strade.

A questo proposito, l’Economist sottolinea proprio la natura spesso clientelare e corrotta del processo democratico in Liberia. Chiunque sia il vincitore, scrive, la sua prima preoccupazione sarà probabilmente ricompensare con posti di lavoro e altri favori i suoi sostenitori. Ma la situazione economica del paese non permetterà di ottenere grandi guadagni. Come ha spiegato al settimanale un funzionario di un’organizzazione internazionale che preferisce restare anonimo: «Anche se sei il più corrotto di tutti i politici non riuscirai a spremere molti soldi in Liberia».