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  • Venerdì 6 ottobre 2017

In Catalogna si può ancora tornare indietro

L'Economist sostiene che governo catalano e spagnolo possano ancora trovare un accordo, ma dovrà necessariamente includere un referendum *legale* sull'indipendenza della Catalogna

Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, a destra, e il presidente catalano Carles Puigdemont, a Barcellona (LLUIS GENE/AFP/Getty Images)
Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, a destra, e il presidente catalano Carles Puigdemont, a Barcellona (LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

In un editoriale non firmato intitolato “Non è troppo tardi per fermare la rottura della Spagna”, l’Economist ha sostenuto che il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy dovrebbe autorizzare il governo catalano a tenere un referendum legale sull’indipendenza della Catalogna. L’Economist, che ha usato parole molto dure contro Rajoy, ha scritto: «Nonostante la provocazione dei leader catalani di organizzare un referendum incostituzionale, la reazione di Mariano Rajoy, il primo ministro, ha gettato la Spagna nella sua peggiore crisi costituzionale dal tentato colpo di stato nel 1981». Quando parla della reazione di Rajoy, l’Economist si riferisce alle operazioni della Polizia nazionale e della Guardia civile compiute domenica mattina in diversi seggi della Catalogna, che hanno provocato il ferimento di centinaia di persone.

Secondo l’Economist, la reazione del governo spagnolo al referendum catalano non ha fatto altro che alimentare l’indipendentismo il Catalogna: per esempio ha rafforzato la retorica dei leader catalani che sostengono che la Catalogna sia una comunità autonoma oppressa, una tesi in realtà molto difficile da sostenere. «L’impiego dei poliziotti per fermare il voto catalano non è stato solo un regalo alla loro propaganda, ma – più importante – ha superato una linea. L’aggressione contro folle di cittadini pacifici può funzionare in Tibet ma non può essere fatta in una democrazia occidentale». Un altro errore di Rajoy, sostiene l’Economist, sarebbe stato non avere fatto scelte decise di natura politica – per esempio dicendosi disposto a negoziare senza mettere precondizioni – preferendo ricorrere alla giustizia e ai tribunali: insistendo cioè sull’illegalità delle mosse dei leader indipendentisti catalani, senza mai dare un qualche tipo di legittimità politica a loro e alle loro richieste. Senza prendere atto della realtà, insomma. «In una competizione tra giustizia formale e giustizia naturale, è la giustizia naturale a vincere sempre. Le Costituzioni esistono per servire i cittadini, non viceversa. Invece che rafforzare lo stato di diritto, come in realtà intendeva fare, Rajoy ha finito per offuscare la legittimità dello stato spagnolo».

L’Economist ha criticato anche Carles Puigdemont, il presidente catalano, che ha convocato il referendum sull’indipendenza violando la legge, con una maggioranza parlamentare risicata, senza un adeguato dibattito e senza spiegare quali saranno realmente le conseguenze di una secessione della Catalogna dalla Spagna. Per l’Economist, comunque, non è troppo tardi: le due parti dovrebbero mettersi attorno a un tavolo e negoziare un accordo.

Nonostante le critiche, diversi esponenti e sostenitori del campo indipendentista hanno ripreso l’articolo dell’Economist, tra cui lo stesso Puigdemont, per via delle soluzioni che propone: l’inizio di negoziati tra governo spagnolo e quello catalano e soprattutto la possibilità che Rajoy conceda un referendum legale sull’indipendenza della Catalogna: «Qualsiasi accordo, comunque, deve includere l’opzione di un referendum sull’indipendenza. La separazione sarebbe un cambiamento doloroso per la Catalogna e il resto della Spagna, e non dovrebbe essere fatto con leggerezza. La maggioranza dei catalani con diritto di voto dovrebbero essere la soglia minima per l’indipendenza. Un ulteriore voto sui termini della separazione sarebbe altrettanto saggio».