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  • Giovedì 28 settembre 2017

L’Europa League è bellissima

Nella coppa europea più sgangherata quest'anno giocano squadre di oligarchi bulgari, separatisti transnistriani e fondi sovrani kazaki, e poi Milan, Arsenal e Marsiglia

Alcuni tifosi dell'Astana davanti al Celtic Park di Glasgow (Ian MacNicol/Getty Images)
Alcuni tifosi dell'Astana davanti al Celtic Park di Glasgow (Ian MacNicol/Getty Images)

L’edizione 2017/2018 dell’Europa League, la seconda competizione europea per club dopo la Champions League, è iniziata la scorsa settimana con la prima giornata della fase a gironi. Tutte e tre le squadre italiane impegnate nel torneo, Milan, Lazio e Atalanta, hanno iniziato con una vittoria, ma il torneo è lungo e riserva spesso sorprese. Negli anni infatti l’Europa League si è distinta per essere una competizione molto particolare, forse unica nel suo genere. Ai turni preliminari di quest’anno – che iniziano sempre alla fine di giugno, meno di un mese dopo la fine della stagione precedente di quasi tutti i principali campionati europei – hanno partecipato le solite 158 squadre, da quelle portoghesi a quelle kazake. Per alcune di queste, di solito le più importanti, magari finite in Europa League dopo una brutta annata in campionato, il torneo può essere un peso: non ha un grandissimo appeal, prevede un turno in più della Champions, offre meno premi e meno vantaggi economici, si fanno trasferte lunghe e si gioca di giovedì, due o tre giorni prima dei turni di campionato. Per le squadre minori, invece, è una grande occasione: i pochi milioni garantiti dalla partecipazione ai gironi possono incidere comunque notevolmente sul loro bilancio annuale e il torneo è molto utile per misurarsi contro club più attrezzati e competitivi e poi anche per mettersi in mostra, se si ha qualcosa di buono da mostrare.

Quest’anno il torneo vedrà la partecipazione di molte squadre prestigiose come Arsenal, Milan, Everton, Marsiglia ed Hertha Berlino. Alcune di queste andranno a giocare contro squadre di oligarchi bulgari sulla costa del Mar Nero, o di separatisti transnistriani tra Moldavia e Ucraina, o di fondi sovrani kazaki nella steppa caspica o in altri posti situati negli angoli più remoti e inospitali di due diversi continenti. Qui abbiamo raccolto le storie notevoli di sette squadre che parteciperanno al torneo di quest’anno: storie che si sentono solo in Europa League.

Oligarchia bulgara
PFC Ludogorets Razgrad

Fino a poco più di dieci anni fa il Ludogorets Razgrad non esisteva. Oggi è indiscutibilmente la squadra più forte della Bulgaria e nelle coppe europee spesso ottiene risultati sorprendenti. Nell’estate del 2014 fece parlare molto di sé dopo che nella partita dei playoff di Champions League giocata contro la Steaua Bucarest rimase in dieci per l’espulsione del suo portiere, e non avendo più cambi a disposizione, ai calci di rigore fu mandato in porta il difensore romeno Cosmin Moti, il quale riuscì a parare due rigori portando la squadra per la prima volta alla fase a gironi del torneo più importante d’Europa.

Il PFC Ludogorets ha sede a Razgrad, una città di circa 70.000 abitanti distante più di trecento chilometri dalla capitale Sofia, città dove tuttora la squadra gioca le sue partite casalinghe nelle coppe europee. La storia del club, fondato nel 2001, cambiò radicalmente nel settembre del 2010, quando fu comprato dall’oligarca Kiril Domuschiev, uno dei più ricchi imprenditori bulgari. Due anni prima Domuschiev completò la privatizzazione di circa il 70 per cento dell’intera vecchia flotta marina bulgara con una gigantesca operazione economica in un mercato non molto trasparente come quello bulgaro (peraltro in ambito statale). Dal 2013 è proprietario dei tre terminal commerciali del porto di Burgas, uno dei più importanti scali mercantili del Mar Nero. Domuschiev, inoltre, deve parte della sua fortuna anche alle due società farmaceutiche di cui è proprietario, BIOVET e Huvepharma, entrambe con sede a Razgrad.

Il nuovo Ludogorets, potendo contare su di una solidissima base economica, nel 2012 vinse il primo titolo nazionale della sua storia alla sua prima apparizione nella massima serie bulgara. Da allora ha vinto sei titoli nazionali consecutivi, un record reso possibile dai grossi investimenti fatti nella squadra, che nel corso degli anni si è rafforzata acquistando i migliori giocatori bulgari e numerosi talenti brasiliani. Per dare un’idea dello strapotere economico del Ludogorets in Bulgaria, dal 2013 il club ha speso nel mercato circa 15 milioni di euro, una cifra che tutte le altre società del campionato bulgaro, per come sono ora, non arriverebbero a spendere nemmeno in tre anni.

La squadra che tutti vorrebbero evitare
FC Astana

Da un paio di anni c’è una squadra che tutti i club europei sperano vivamente di evitare ai sorteggi di Champions ed Europa League. Non perché sia particolarmente forte o difficile da affrontare, bensì perché ha sede nella capitale del Kazakistan, Astana: 2.700 chilometri ad est di Mosca, più vicina a Ulan Bator che a Milano.

Astana è la capitale del Kazakistan dal 1997, quando prese il posto di Almaty, fino ad allora di gran lunga la città più importante del paese. La posizione geografica di Almaty, però, non era favorevole perché quasi a ridosso del confine con il Kirghizistan e con la Cina a meno di trecento chilometri. La città di Akmola invece, che poi diventò Astana, aveva evidenti vantaggi strategici, trovandosi circa mille chilometri a nord verso la Russia, circondata dalla steppa. Lì la temperatura è comunque gelida, stabilmente inferiore ai dieci gradi sotto zero da dicembre a febbraio; i vasti spazi aperti sono spazzati da un vento altrettanto freddo. Josif Stalin deportò centinaia di migliaia di persone in questa steppa, dove poi i sovietici trovarono una sede ideale per basi spaziali e test nucleari. Ma i dubbi furono poco considerati e il governo iniziò a incentivare il trasferimento nella nuova Astana, che nel 2010 ha superato i 700.000 abitanti (nel 1999 erano 280.000).

Dopo aver costruito una capitale praticamente da zero, negli ultimi anni il governo kazako ha investito molto nello sport, servendosi proprio del nome Astana e dei colori nazionali del paese. Nel ciclismo, per esempio, esiste l’Astana Pro Team, una delle squadre più importanti e per cui hanno corso molti grandi corridori, anche italiani. Nel calcio, invece, c’è l’Astana FC. Il club esiste dal 2008 ed è nato dalla fusione di due squadre già esistenti. Ha cominciato ad imporsi nel campionato nazionale negli ultimi cinque anni ed è da tre stagioni che vince il titolo nazionale. L’Astana è riuscita a portare in Kazakistan diversi giocatori stranieri servendosi di una piccola parte dei circa 80 miliardi di dollari provenienti da Samruk-Kazyna, il fondo sovrano kazako che finanzia la squadra. Grazie alle risorse a disposizione, per l’Astana ora giocano i migliori calciatori kazaki e ogni anno la rosa viene rinforzata con l’acquisto di discreti giocatori stranieri: ora in squadra c’è il trequartista ungherese László Kleinheisler, in prestito dal Werder Brema, il capocannoniere è il congolese Junior Kabananga, ex Anderlecht, e in attacco c’è anche l’ala ghanese Patrick Twumasi, cresciuto nell’accademia africana della Red Bull.

Quest’anno toccherà a Villarreal, Maccabi Tel Aviv e Slavia Praga viaggiare per più di 6.000 chilometri e attraversare dai quattro ai sette fusi-orari: al Villarreal, trovandosi in Spagna, è andata peggio delle altre. Ma essere una squadra kazaka crea problemi anche alla stessa Astana, che due anni fa, quando partecipò ai gironi di Champions League, si presentò a Madrid per giocare contro l’Atletico con una squadra piena di riserve e giovani per non stancare troppo i titolari in vista del campionato, che fu ritenuto più importante.

Il figlio di Cruijff
Maccabi Tel Aviv

Nell’ultimo decennio il Maccabi Tel Aviv ha rafforzato notevolmente la sua posizione, cioè quella di squadra più importante del campionato israeliano. Ha vinto il titolo nazionale dal 2012 al 2015 (arrivando a 21 titoli complessivi) e ha avuto giocatori e allenatori che ora stanno avendo delle ottime carriere nei più importanti campionati europei. Negli ultimi anni è stata allenata per esempio da Paulo Sosa, l’anno scorso alla Fiorentina, da Pako Ayestarán, attuale allenatore del Valencia, da Slaviša Jokanović, ora al Fulham, e Peter Bosz, che dopo aver portato l’Ajax in finale di Europa League, quest’anno allena il Borussia Dortmund.

Tutti questi allenatori sono stati a Tel Aviv grazie a Jordi Cruyff, figlio di Johan, che lavora per il Maccabi dal 2012. Negli ultimi cinque anni, l’ex calciatore di Ajax e Barcellona e della Nazionale olandese è stato il direttore sportivo del club, e il periodo della sua gestione è coinciso con i successi in Israele e con una presenza regolare nelle competizioni europee. Nella seconda parte della passata stagione Cruyff ha assunto temporaneamente anche l’incarico di allenatore dopo l’esonero del georgiano Shota Arveladze: su nove partite ne ha vinte otto e quindi a fine stagione ha deciso di mantenere l’incarico. La scelta, per ora, gli sta dando ragione.

La Steaua, che non è più la Steaua
FC FCSB

La Steaua Bucarest è stata “retrocessa” in Europa League dopo essere stata eliminata dallo Sporting Lisbona ai preliminari di Champions League, a cui si era qualificata vincendo l’ultimo campionato romeno. Ma nonostante le vittorie continuino ad arrivare, da un paio di anni la Steaua sta vivendo uno dei periodi peggiori della propria storia, tutto a causa di una disputa con l’esercito romeno e di un presidente che non è esattamente una persona a modo, diciamo.

Nel 2014 la Corte suprema romena invalidò l’acquisizione del club avvenuta nei primi anni Novanta, quando alcuni imprenditori — tra cui l’attuale presidente Gigi Becali — la presero in gestione dall’esercito. La sentenza ebbe effetto immediato e la Steaua dovette coprire il proprio stemma dagli schermi del suo stadio, l’Arena Nationala di Bucarest, e dal materiale di rappresentanza. In un primo momento le fu vietato anche di usare il nome, ma il club fece ricorso e riuscì a mantenerlo per qualche tempo ancora. Nelle settimane successive la squadra cambiò logo e per diversi turni di campionato non poté nemmeno giocare a Bucarest: dovette trasferirsi a Pitesti, una città lontana 120 chilometri dalla capitale e dai due stadi in cui era solita giocare: l’Arena Nationala e lo stadio Ghencea, quest’ultimo di proprietà dell’esercito.

La disputa sul nome è continuata fino a marzo, quando al club è stato ufficialmente vietato di continuare a usare la propria denominazione, che ora non è più Steaua Bucarest ma FC FCSB, una sigla che peraltro vorrebbe dire “Football Club Football Club Steaua Bucarest”. In primavera l’esercito romeno ha creato un proprio club, che è diventato ufficialmente la nuova Steaua Bucarest. Ha riesumato il vecchio logo e ha creato una nuova squadra, che in questa stagione ha iniziato la scalata verso la prima divisione dalla quarta serie del campionato romeno. Tutti i trofei vinti dalla Steaua fino al 1997 sono stati tolti all’FCSB e riconosciuti alla società dell’esercito, compresa la storica Champions League vinta nel 1986.

L’assurda fine della Steaua Bucarest

Per quanto riguarda Gigi Becali, beh: in passato è stato condannato a tre anni di reclusione per corruzione nell’ambito di una vendita di terreni con il ministero della Difesa, fatto che ha contribuito a peggiorare i rapporti con l’esercito. Dopo la condanna tentò di scappare ma venne arrestato mentre stava cercando di fuggire in Israele. Ma di precedenti penali ne ha anche altri. Nel 2009 venne arrestato e definito come un “pericolo pubblico” da un tribunale per aver sequestrato tre persone che avevano tentato di rubargli la macchina. Insieme ad alcuni suoi “assistenti” li sequestrò minacciandoli con delle pistole per poi portarli in un casolare in un paesino poco fuori Bucarest. Pochi mesi prima aveva deciso di esonerare Yüksel Yesilova, allenatore turco della Steaua, dicendo che portava sfortuna alla squadra in quanto musulmano.

Forza Fiume
NK Rijeka

Fino alla passata stagione il campionato croato è stato uno dei meno competitivi d’Europa. La Dinamo Zagabria infatti, che è il club più ricco e famoso del paese, è riuscita a vincere ininterrottamente il titolo nazionale dal 2005 al 2016. L’impressionante striscia di vittorie è stata possibile principalmente per via delle difficoltà economiche dell’unica vera rivale storica della Dinamo, l’Hajduk Spalato, dal basso livello delle altre squadre e anche dallo strapotere acquisito dal club di Zagabria nel corso degli anni, conseguenza sia del suo efficientissimo settore giovanile – da cui negli anni sono usciti alcuni dei migliori calciatori d’Europa – sia del potere acquisito dalla dirigenza con modalità molto contestate e poco chiare. A terminare il dominio della Dinamo Zagabria in Croazia ci ha pensato però il Rijeka nella passata stagione.

L’NK Rijeka è la squadra della vecchia città italiana di Fiume, che mantiene tuttora molti legami con l’Italia. Durante le partite della squadra, per esempio, si possono sentire cori cantati in italiano provenienti dalla tribune, dove peraltro si trovano diversi riferimenti al passato italiano della città. Ma il legame con l’Italia ora è rappresentato soprattutto dalla proprietà del club, che dal 2012 è del petroliere ligure Gabriele Volpi, presidente e proprietario della Pro Recco di pallanuoto dal 2005 al 2012 e detentore delle quote di maggioranza dello Spezia Calcio dal 2008.

Negli ultimi anni Spezia e Rijeka si sono scambiati numerosi giocatori, perlopiù croati, e a beneficiarne di più è stato il Rijeka. La squadra, sotto la guida dell’allenatore sloveno Matjaž Kek, ha migliorato i propri risultati di anno in anno. La qualità della rosa è migliorata così come le strutture societarie: ora il Rijeka gioca in uno stadio provvisorio ricavato nel suo nuovo centro sportivo (uno dei principali investimenti fatti da Volpi) in attesa della costruzione del nuovo stadio Kantrida, che si trova a due passi dall’Adriatico, dentro una vecchia cava utilizzata per la costruzione del porto cittadino.

Nell’ultima stagione il Rijeka ha vinto il primo campionato croato della sua storia. In estate poi ha sfiorato la qualificazione ai gironi di Champions League, ma agli spareggi, dopo due partite molto combattute, è stata eliminata dall’Olympiakos. In Europa League giocherà nel girone di Milan, AEK Atene e Austria Vienna.

Il simbolo del separatismo transnistriano
Sheriff Tiraspol

Dopo la guerra tra esercito ucraino e ribelli filo-russi nell’Ucraina dell’est, e soprattutto dopo l’annessione della Crimea alla Russia, un piccolo territorio autoproclamatosi indipendente dalla Moldavia ad inizi anni Novanta, la Transnistria, ha aumentato le proprie rivendicazioni affinché diventi una regione dipendente dalla Russia, come in passato. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, infatti, la Moldavia fu una parte orientale della Romania; poi venne incorporata nell’Unione Sovietica. Dopo il crollo dell’URSS si dichiarò indipendente a scapito dei molti russi stabilitisi nel territorio nel corso dei decenni (molti dei quali deportati). Quest’ultimi poi si ritrovarono esposti alle ritorsioni da parte nel nuovo Stato a maggioranza romena e per ciò crearono a loro volta una repubblica autonoma, la Transnistria, che non è riconosciuta né dalla Moldavia né dalla comunità internazionale.

Proprio negli anni in cui la Transnistria si dichiarò indipendente, due ex membri del KGB crearono la Sheriff Ltd. Da piccola azienda che commerciava alimenti e beni di prima necessità, la Sheriff, seguendo le orme delle compagnie degli oligarchi russi, nella seconda metà degli anni Novanta assunse il monopolio regionale nella petrolchimica, nella grande distribuzione e nella comunicazione. Nel 1997 decise di entrare nel mondo del calcio creando l’FC Sheriff Tiraspol da una piccola società sportiva già esistente. In pochi anni e con molti soldi, lo Sheriff è diventato la squadra più forte della Moldavia, per distacco: negli ultimi quindici anni ha vinto quattordici titoli nazionali.

Molti ex allenatori e giocatori stranieri passati per Tiraspol hanno spesso raccontato che un’organizzazione e delle infrastrutture come quelle dello Sheriff non si vedono nemmeno in certe società europee. In effetti il club possiede delle stupefacenti strutture aziendali: nel 2002 la società ha inaugurato un immenso centro sportivo di cui fanno parte lo Sheriff Stadium, un impianto con 14.300 posti a sedere, altri due piccoli stadi (di cui uno coperto), cinque campi di allenamento, una scuola calcio e residenze per dipendenti e giocatori.

Se ci trova nei dintorni dello stadio, si potrebbe pensare benissimo di trovarsi in qualche regione russa. I manifesti e le pubblicità sono tutte in cirillico, sopra lo stadio sventolano solo bandiere della Sheriff e della Transnistria: una falce e martello gialla su sfondo rosso e verde. Molti giornalisti moldavi sostengono che tutti gli investimenti della Sheriff nel mondo del calcio siano parte di una strategia per rendere nota all’Europa l’esistenza e la rivendicazione dell’indipendenza della Transnistria.

Uno dei primi investimenti cinesi in Europa
Slavia Praga

Con le dovute differenze, quando si parla di calcio la città di Praga può essere considerata una “piccola Londra”. La capitale ceca ospita infatti una decina di squadre professionistiche che militano nelle varie serie del campionato ceco, e giocano in stadi che sono parte integrante della città e delle sue varie zone. Solo in prima divisione ora se ne trovano quattro: Sparta, Slavia, Dukla e Bohemians. Lo Sparta e lo Slavia – le due più importanti – si sono qualificate all’Europa League di quest’anno, ma lo Sparta allenato da Andrea Stramaccioni è stato sorprendentemente eliminato ai preliminari della Stella Rossa di Belgrado. Ai gironi ci sarà quindi solo lo Slavia, che è la squadra della parte meridionale della città e viene da alcuni anni complicati segnati principalmente da una situazione economica instabile. Ma negli ultimi tempi la squadra si è lentamente ripresa e nella passata stagione ha vinto il titolo nazionale per la prima volta dal 2009.

Il ritorno al successo dello Slavia Praga è stata una diretta conseguenza dei cambiamenti avvenuti in società nel 2015. In quell’anno infatti la società cinese CEFC Energy ha acquistato dal vecchio proprietario, l’ex ministro dei trasporti ceco Aleš Řebíček, il 59 per cento del club. Lo Slavia è così diventata una delle prime squadre europee ad essere acquistata da una proprietà cinese, e probabilmente anche la prima ad averne beneficiato parecchio e in breve tempo. Negli ultimi anni la CEFC Energy ha investito nella squadra circa 10 milioni di euro, che hanno permesso allo Slavia di ritornare competitivo sia in Repubblica Ceca che in Europa. Dopo aver vinto il campionato, in agosto ha partecipato ai preliminari di Champions League, dove ha passato il terzo turno eliminando il BATE Borisov. Agli spareggi, tuttavia, non è riuscita a ribaltare il 2-0 subito all’andata contro l’APOEL Nicosia. Parteciperà comunque ai gironi di Europa League, dove se la vedrà con Villarreal, Maccabi Tel Aviv e Astana.