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  • Mercoledì 6 settembre 2017

Le vite dei figli dei presidenti a scuola

Ieri era il primo giorno di scuola di Barron Trump, tra agenti segreti in borghese, seduti in classe in attesa della campanella

Sasha e Malia Obama, le figlie dell'allora presidente eletto Barack Obama, vengono lasciate davanti alla loro scuola di Chicago il 13 novembre 2008 (Amanda Rivkin-Pool/Getty Images)
Sasha e Malia Obama, le figlie dell'allora presidente eletto Barack Obama, vengono lasciate davanti alla loro scuola di Chicago il 13 novembre 2008 (Amanda Rivkin-Pool/Getty Images)

La settimana scorsa Tiffany Trump, la figlia ventitreenne del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha cominciato a frequentare le lezioni alla facoltà di legge della Georgetown University; ieri Barron Trump, il quinto e più giovane figlio del presidente, ha avuto invece il suo primo giorno di scuola alla St. Andrew’s Episcopal School di Potomac, nel Maryland, che si trova a poco più di trenta chilometri dalla Casa Bianca. Entrambi sono stati accompagnati da alcuni agenti della scorta presidenziale, tra i cui compiti c’è anche fare da guardie del corpo dei membri della famiglia del presidente. Anche Sasha Obama, la figlia più giovane dell’ex presidente Barack Obama, che sta ancora frequentando la Sidwell Friends School, una scuola privata di Washington, continua ad avere questo tipo di accompagnamento, che prevede che ci sia sempre un agente in sua compagnia, anche in classe.

Non deve essere semplice essere a scuola e trovarsi costantemente seguiti da alcune persone adulte armate e con un auricolare nell’orecchio, ma le misure di sicurezza per i parenti stretti dei presidenti ed ex presidenti americani lo richiedono (anche per quelli dei candidati principali, in campagna elettorale). Gli agenti svolgono questo tipo di sorveglianza in borghese, però, e non con i completi con cui siamo abituati a vederli nei film. W. Ralph Basham e Mark J. Sullivan, due ex direttori del Secret Service – che malgrado il nome è l’agenzia che si occupa solo di proteggere i presidenti e i loro parenti – hanno spiegato al New York Times che non c’è un addestramento specifico per questo tipo di lavoro, la cui difficoltà principale è il fatto che è abbastanza noioso. «Tenersi all’erta e concentrati stando seduti a scuola in attesa del suono della campanella giorno dopo giorno è una vera sfida», ha detto Basham. Sullivan invece ha detto che gli agenti cercano di confondersi il più possibile tra gli studenti e che anche se all’inizio la loro presenza è strana, col tempo gli altri studenti ci si abituano.

Dal punto di vista dei figli dei presidenti, il comprensibile desiderio è che gli agenti non si facciano notare: che «facciano il più possibile parte dell’arredamento». Non deve essere facile: Obama per esempio disse che «qualunque ragazzo abbia il coraggio di passare per il Secret Service merita la possibilità di un appuntamento». In un’intervista a Vanity Fair Chelsea Clinton, figlia dell’ex presidente Bill Clinton, aveva raccontato di aver chiesto a un ragazzo di ballare (quando già era all’università e stava studiando a Oxford, nel Regno Unito) proprio attraverso una della sue guardie del corpo. Per Malia Obama gli agenti della scorta sono stati importanti anche perché sono stati alcuni agenti a farle le prime lezioni di guida, dato che Michelle Obama non ha potuto guidare un’automobile per tutta la durata della presidenza del marito e il presidente non poteva farlo a sua volta per ragioni di sicurezza.

La presenza degli agenti della scorta è solo uno dei disagi legati all’essere i figli della singola persona più potente del mondo. Un altro è avere costantemente giornalisti e fotografi nelle proprie vite: per i primi giorni di università e di scuola di Tiffany e Barron Trump non ce ne sono stati molti, ma in passato per altri figli di presidenti la cosa è stata ben diversa. Basta guardare una fotografia del primo giorno di scuola a Washington di Amy Carter, figlia dell’allora presidente Jimmy Carter, nel 1974; all’epoca Carter aveva poco più di 6 anni.

amy carter scuolaAmy Carter il suo primo giorno di scuola alla Thaddeus Stevens School di Washington, il 24 gennaio 1977, osservata da un folto gruppo di giornalisti e fotografi; era stata accompagnata da sua madre, l’allora first lady Rosalynn Carter e da alcuni agenti del Secret Service (AP Photo)

Fuori dalla St. Andrew’s ieri la situazione era molto diversa, fortunatamente per Barron Trump: c’era un unico furgone di giornalisti. Secondo gli esperti i Trump hanno scelto la St. Andrew’s proprio perché non essendo a Washington può garantire una maggiore privacy al ragazzino, che ora ha 11 anni. Per cercare di evitare alla loro figlia il peso dell’attenzione mediatica, dopo che 250 giornalisti furono presenti alla sua cerimonia di diploma, nel 1997 Hillary Clinton scrisse sul Los Angeles Times un appello per la privacy della figlia che stava per cominciare a frequentare l’Università di Stanford. Ora che ci sono i social network c’è anche un tipo diverso di attenzione, di cui probabilmente si è accorta anche Malia Obama, che ha appena cominciato a seguire i corsi all’Università di Harvard.

https://twitter.com/KyleD477/status/899659178591080448

Anche le scelte delle scuole dei figli dei presidenti sono sempre state discusse sui giornali americani. La scelta dei Carter di mandare la figlia in una scuola pubblica destò molta attenzione. Lo stesso successe per la scelta opposta fatta dai Clinton, che mandarono la figlia Chelsea alla Sidwell Friends, che è una scuola privata. È la stessa scuola frequentata poi da Malia e Sasha Obama: gli Obama la scelsero soprattutto perché aveva già esperienza con le questioni di sicurezza necessarie alla presenza della figlia di un presidente.