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  • Venerdì 16 giugno 2017

“Pesca alla trota in America” è tornato

Einaudi ha ripubblicato a 50 anni dall'uscita il libro più famoso di Richard Brautigan: folle, buffo, infestato di eremiti e ubriaconi, un ritratto psichedelico degli anni Sessanta

Pesca alla trota in America – il libro più famoso di Richard Brautigan e l’unico che in vita gli abbia dato qualche soldo e notorietà – è appena stato ripubblicato da Einaudi Stile libero, cinquant’anni dopo l’uscita. (Uscì nel 1967 e da allora ha venduto complessivamente nel mondo 4 milioni di copie). È la prima volta che in Italia esce con un grande editore (nella traduzione di Riccardo Duranti), ma è un libro che ciclicamente ricompare come una trota sul fondo di un fiume, per un po’ se ne riparla e poi si inabissa di nuovo e ritorna nell’ombra. L’ultima volta era stato pubblicato da Isbn edizioni nel 2010, e poi a ritroso da Marcos Y Marcos nel 1999, Leonardo nel 1994 e Serra e Riva nel 1989.

La nuova edizione incomincia con un reportage/prefazione di Sandro Veronesi in cui si racconta di un viaggio del 15 settembre 1990 a Bolinas, in California – la città sull’oceano dove Brautigan viveva e morì suicida nel 1984, a 49 anni – per la sua commemorazione funebre in compagnia di amici hippie scoppiati. A fare da guida a Veronesi c’è un tal Pesca alla trota in America, e non si sa bene chi sia. È bello pensare che sia Peter Eastman, Jr, il ragazzo di 17 anni che nel 1994, folgorato dal libro, decise di cambiare legalmente il proprio nome di battesimo proprio in Trout Fishing in America. (Prezzo per cambiare nome negli Usa nel 1994: 182 dollari). La trota che sorride sulla copertina della nuova edizione è la rielaborazione di un disegnino di Brautigan intitolato The shadow of a car in the eye of a trout.

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Pesca alla trota in America è un libro senza genere e senza trama, metà romanzo e metà raccolta di racconti, metà prosa e metà poema, metà hippie e metà western, disperato ma così strano che potrebbe benissimo stare nella lista recentemente pubblicata dal Post dei Libri che mettono di buon umore (nella categoria libertaria che comprende John Irving, Kurt Vonnegut e Tom Robbis). È composto di brevi capitoli tenuti insieme dal ricorrere ossessivo e comico di quattro parole: «Trout Fishing in America», «Pesca alla trota in America», appunto. Qualche volta Pesca alla trota è un personaggio invisibile (che si immagina essere un capo indiano o un vecchio hippie che commenta i racconti in prima persona della voce narrante), altre volte ha un significato letterale, è cioè la pesca alla trota nei torrenti, uno sport o un hobby quindi, argomento a cui Brautigan dedica una sterminata bibliografia inventata, ma è sempre la formula magica attraverso cui il mito dell’America selvaggia e quello hippie della liberazione si incontrano, senza trasformarsi mai in rimpianto della vita nei boschi. L’innocenza perduta in Brautigan di innocente ha soltanto il suo sguardo stupito sul mondo e su un’umanità marginale e quasi estinta, popolata per lo più da avvinazzati, barboni, sghimbesci, stranini.

Lawrence Ferlinghetti, una delle figure più importanti della beat generation di San Francisco (a proposito, ha compiuto 98 anni il 24 marzo ed è vivo) vedeva in Richard Brautigan soprattutto l’ingenuità. Disse a Vanity Fair nel 1985: «Ho sempre aspettato che Richard diventasse adulto come scrittore. Mi sembra che fosse essenzialmente naïf, e non credo che coltivasse quell’infantilismo, penso che gli venisse naturale. Era come se fosse molto più a suo agio con la trota in America che con le persone». La storia di Brautigan è quella di un emarginato che negli anni sessanta, incrociando il movimento hippy di San Francisco, trovò l’ambiente in cui per un po’ la sua stranezza fu riconosciuta e valorizzata, ma non si identificò mai del tutto con il suo ambiente e rifiutò di farsi assorbire dalla cornice. Richard Brautigan era molto biondo e molto alto, una specie di generale Custer allampanato, con i baffoni, i capelli lunghi e il cappello da cowboy. Aveva una bella voce e leggeva bene, e infatti di lui restano alcune letture, per esempio quella di un capitolo di Pesca alla trota in America intitolato The hunchback trout, La trota gobba.

L’infanzia di Brautigan è inconcepibile per un europeo. Nacque a Tahoma, nello stato di Washington, nel 1935. Sua madre Mary Lou aveva 24 anni e faceva la barista, suo padre Bernard 27 e lavorava come operaio. I due si separarono otto mesi prima che Brautigan nascesse e si persero di vista. Alla morte di Brautigan il padre disse di non avere mai saputo dell’esistenza del figlio: per lui il famoso scrittore che si era sparato un colpo di .44 magnum «era soltanto un tizio con lo stesso cognome». Poco dopo la separazione la madre trovò un altro uomo, ebbe un’altra figlia e si trasferì a Salem, in Oregon (ma quando Richard aveva sei anni e la sorella tre li abbandonò per due giorni in un motel in Montana). Dopo un paio d’anni arrivò un’altra sorella e un altro uomo, un cuoco, che Mary Lou presentò a Richard come il suo padre biologico anche se non era vero e così, per un po’, il ragazzino si fece chiamare Porterfield. Ma nel giro di tre anni anche il finto padre biologico se ne andò. La madre naturalmente si mise con un tizio nuovo con cui fece un figlio nuovo che venne al mondo a Eugene, Oregon, dove si erano trasferiti. Il tizio nuovo, però, beveva e picchiava. A Eugene Richard intorno ai tredici anni ferì per sbaglio con un colpo di fucile un suo amico, vicenda che è raccontata in So the Wind Won’t Blow It All Away, il suo ultimo romanzo e forse l’unico con una trama e una struttura, uscito in Italia con il titolo American Dust. Nonostante la povertà e la violenza Brautigan andava bene a scuola: incominciò a pubblicare sul giornale del liceo, giocava nella squadra di basket e si diplomò con buoni voti. Nel frattempo si era trasferito a casa del suo migliore amico.

Se ne andò a San Francisco a 19 anni, nel 1954, ma a 20 fu arrestato per avere lanciato un sasso contro una stazione di polizia. Fu rispedito a Eugene, nel locale ospedale, dove fu sottoposto ad elettroshock per curare la schizofrenia paranoide che intanto gli era stata diagnosticata. In ospedale scrisse il suo primo lavoro compiuto, The God of the Martians, che però fu rifiutato dagli editori. Ritornò a San Francisco con l’idea di diventare poeta ed entrò nella scena beat. Incominciò a pubblicare per le riviste di controcultura e a leggere le sue poesie ai concert. Nel 1957, a Rheno, Nevada, sposò la prima moglie da cui nel 1960 ebbe l’unica figlia: Ianthe. Nel 1961, mentre era in vacanza in Idaho con moglie e figlia (la vacanza era un campeggio) scrisse i suoi primi due romanzi, A Confederate General from Big Sur (Il generale immaginario) e Trout Fishing in America. Appunto. Il primo fu pubblicato nel 1964, ma non ebbe successo (il protagonista era un tizio, Lee Mellon, convinto di essere il discendente di un generale dell’esercito confederato che non compariva in nessun libro di storia e della cui esistenza nessuno sapeva niente). Trout Fishing in America uscì nel 1967 e in pochi mesi trasformò Brautigan in una star mondiale, osannato dalla critica come la nuova voce della letteratura giovanile americana. Seguirono altri libri: varie raccolte di poesie e alcuni romanzi tra cui In Watermelon Sugar (Zucchero di Cocomero), scritto nel 1964, su una comune post apocalittica dove il sole cambia colore ogni giorno, e The Abortion: An Historical Romance 1966 (L’aborto).

troutfishing1 La copertina della prima edizione di Trout Fishing in America, 1967
(il primo capitolo del libro è un’accurata descrizione della fotografia)

Ma il successo di Trout Fishing non ritorno, anzi le vendite di Brautigan calavano di libro in libro. Incominciò a bere, o a bere di più. Nel 1977 si risposò con una donna giapponese e per certi periodi si trasferì a vivere in Giappone, dove aveva ancora più successo che in America. Nel 1982 stava con un’altra donna a San Francisco, l’ultima a cui telefonò prima di uccidersi. Nel 1984 si trasferì a Bolinas, in California, dove aveva comprato una casa sull’oceano. Si sparò nella sua cucina il 15 o 16 settembre 1984. La data non è certa perché il corpo fu ritrovato molti giorni dopo da un suo amico, di professione investigatore privato. Nonostante i suoi libri continuino a essere ripubblicati anche in Italia, il destino di Richard Brautigan rimane quello di uno scrittore minore, frutto tipico degli anni Sessanta e al contempo qualcosa di più, qualcosa che trabocca dalla cornice in cui nacque e in cui ebbe successo. Vale per So the Wind Won’t Blow It All Away, un romanzo breve che nella sua piccola perfezione si sottrae a ogni moda culturale e per Pesca alla trota in America che nella sua follia rimane un libro unico: un’elegia buffa, per niente eroica, del fun west, infestata di ubriaconi, eremiti, senza tetto e psichedelia anni Sessanta; una rincorsa del mito dell’innocenza perduta dell’America, che ne trova le tracce soltanto nella sua perdita. Brautigan è una specie di Walt Whitman ironico e ubriaco, che non ha niente di eroico, niente da insegnare a nessuno, perché può solo cantare, caso mai qualcuno ascoltasse. Non rimpiange, non denuncia, non divide il mondo tra buoni e cattivi. Cerca un po’ di bellezza nell’estinzione sapendo che ognuno è colpevole, per il solo fatto di esistere. Come scrive Veronesi nella prefazione: «Per centinaia di migliaia di anni una mosca appoggiata sul pelo dell’acqua è stata solo una mosca appoggiata sul pelo dell’acqua». Poi quella mosca è diventata «un inganno, uno sport, un’ossessione». Ma una volta che la purezza è perduta, l’abbraccio di chi l’ha corrotta diventa bello, bello, bello»… «è diventato bello morire così, uccidendo ogni altra cosa». Con Pesca alla trota in America Brautigan acciuffò gli anni Sessanta nel momento in cui stavano finendo. Divenne famoso per moda e fu dimenticato per lo stesso motivo. Invece era qualcosa di più.