Cosa dobbiamo a Spike Lee

Tante cose, nel cinema e non solo, per cui il regista – che compie oggi 60 anni – ha saputo farsi notare

(AP Photo/Ariana Cubillos)
(AP Photo/Ariana Cubillos)

È difficile vedere un film di Spike Lee e non accorgersi che si tratti proprio di un film di Spike Lee, perché nei suoi film ci sono spesso cose che fa solo lui, o che solo lui fa in quel modo. La cosa più famosa dei film di Spike Lee (anche se non c’è in tutti) è quell’inquadratura fatta mettendo l’attore sullo stesso supporto su cui c’è la cinepresa, per farlo spostare insieme alla cinepresa, come se quell’attore stesse fluttuando, non camminando. Ma ci sono anche il forte cromatismo, cioè immagini con colori particolarmente caldi e vivaci, i primissimi piani in cui i personaggi guardano fissi in camera e quei due famosi e simili momenti pieni di insulti in Fa’ la cosa giustaLa 25ª ora (probabilmente i due film da far vedere a qualcuno che arrivasse da Marte, per fargli capire che tipo di regista sia Spike Lee).

Spike Lee – nato ad Atlanta il 20 marzo di 60 anni fa – ha fatto molti film: alcuni ottimi, altri buoni, altri ancora ritenuti brutti. E ha sceneggiato, recitato, litigato con tanta gente, preso spesso posizioni su quello che succedeva negli Stati Uniti e soprattutto ai neri negli Stati Uniti, diretto famosissime pubblicità con Michael Jordan, girato documentari, fatto video musicali per Prince, Stevie Wonder, i Public Enemy, Michael Jackson e pure Eros Ramazzotti. Lee è anche uno dei pochi registi ad aver diretto un videogioco: ha infatti curato la regia per la modalità “Carriera” di NBA 2K16. Ne ha fatte tante, e sono quasi tutte cose con cui, comunque, si è spesso fatto notare. Queste sono quelle con cui cominciare.

Spike Lee prima di farsi notare

Lee è nato ad Atlanta nel 1957: figlio di Bill, musicista jazz, e Jacquelyn Carroll Shelton, un’insegnante di materie umanistiche; primo dei quattro figli della coppia. Il suo nome vero è Shelton Jackson, ma già da ragazzino la madre iniziò a chiamarlo Spike: un nomignolo datogli perché, pare, era particolarmente scalmanato, oltre che piccoletto. La famiglia si spostò poco dopo a Chicago e poi a Brooklyn, New York, che diventò la città di Lee: quella con cui si è più identificato e che ha più raccontato, cosa che contribuì, a fine anni Ottanta, al riduttivo soprannome di “Woody Allen nero” che qualcuno provò ad appiccicargli addosso. Lee studiò in importanti scuole, girò un po’ di cortometraggi di cui dice di vergognarsi tantissimo (uno di fantascienza, su una donna che vaga con una borsetta piena di fango, e chi la tocca muore). All’università conobbe Ernest Dickerson – che divenne il direttore della fotografia dei suoi primi film (fino a Malcom X, del 1992) prima di mettersi in proprio – e Martin Scorsese, che ci insegnava. Iniziò nel cinema con una specie di stage alla Columbia, a Hollywood e ha detto che decise di mettersi a fare il regista soprattutto per merito di Stranger than Paradise di Jim Jarmush, del 1984: «All’improvviso mi resi conto che realizzare un film era davvero possibile».

I film di Spike Lee

Il primo vero film di Lee è stato Lola Darling, nel 1986: parla degli incastri amorosi in cui si trova una ragazza e – a proposito di trovate originali e cose che si fanno notare – è tutto in bianco e nero, a parte una scena a colori. Il film fu prodotto dalla casa di produzione di Lee – la 40 Acres & A Mule Filmworks, un nome che ricorda quanto fu promesso e non dato agli schiavi neri dopo la Guerra civile americana – e andò bene. Poi, nell’ordine ma saltando qualcosa, che ne ha fatto davvero tanti: il musical Aule turbolente, Fa’ la cosa giusta (il film che gli Obama videro al loro primo appuntamento), Jungle Fever (con un apprezzatissimo Samuel L. Jackson), He Got Game, Bamboozled (sull’uso della blackface), La 25ª ora, il thriller Inside Man e nel 2015 Chi-Raq. Spike Lee – Oscar alla carriera nel 2016 – ha fatto tante altre cose e farà una serie per Netflix: She’s Gotta Have It (che è il titolo originale di Lola Darling). Ma visto che non vi starete probabilmente chiedendo altro, per Ramazzotti Lee ha diretto, nel 1993, il video di “Cose della vita”.

Mars Blackmon, anche

In Lola Darling, Lee – che è anche considerato un ottimo attore – interpretò Mars Blackmon, un giovane immaturo e disoccupato appassionatissimo dei New York Knicks (la squadra di basket di cui Lee è grandissimo tifoso) e delle Air Jordan, le Nike di Michael Jordan, che giocava nei Chicago Bulls. Lee andò al Saturday Night Live interpretando Blackmon, e usò il personaggio nelle pubblicità della Nike che diresse e in cui recitò con Jordan. Le pubblicità divennero famose soprattutto per la frase «it’s gotta be da shoes» (deve essere per merito delle scarpe) con cui il regista cercava di far dire a Jordan che la sua bravura arrivava soprattutto da lì. Spike Lee si interessa anche di calcio: tifa Arsenal (di cui indossa spesso la maglietta) e Inter, di cui dice gli piacciano soprattutto gli eleganti colori.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=BhHONpmlxPc

Il cinema in faccia di Spike Lee

Nel video con Jordan, entrambi fissano la telecamera, andandoci pure molto vicino. È una cosa che succede anche in molti film di Lee, che nonostante racconti sempre storie molto plausibili, con grande realismo – disse: «Qual è la differenza tra i miei personaggi e quelli di Hollywood? I miei sono veri» – mette qua e là cose che vanno in senso opposto, che sono lì a ricordare che quello nello schermo è un film e quelli nel film sono attori. È una cosa che succede praticamente in ogni suo film.

Il double dolly

Questa, invece, non c’è in ogni suo film, ma è proprio la cosa più di Spike Lee che ci sia, perché è stato il primo a farla così e perché così la fa solo lui. C’è in Crooklyn, Red Hook Summer, Malcom X, Inside ManLa 25ª ora, tra gli altri; qualcuno lo chiama semplicemente dolly shot e qualcuno double dolly: il dolly è la cinepresa messa su dei binari, l’uso del dolly alla Spike Lee mette sui binari (insieme alla cinepresa) anche l’attore, per farlo spostare in un modo innaturale, fluidissimo (perché non bisogna camminare) e molto d’effetto. Cinepresa e attore si muovono quasi sempre in linea retta – avanti o indietro – ma capita anche che il movimento sia circolare.

Fight the Power

Ramazzotti a parte, Lee ha diretto anche “Fight the Power” dei Public Enemy, che anzi la fecero dopo che Lee chiese loro una canzone per Fa’ la cosa giusta (è quella che si sente in continuazione, suonata dallo stereo di Radio Raheem) e poi ne diresse i due video: uno con le immagini del film, l’altro è questo:

Senza lente anamorfica

La lente anamorfica è, in poche parole, una lente messa sulle cineprese per riportare le immagini alle giuste proporzioni. In alcune scene di Crooklyn, che uscì nel 1994, Lee scelse di non usarla, per far sì che lo spettatore si immedesimasse nello straniamento provato dalla bambina che vede quelle scene. Le immagini di quelle scene sono quindi allungate e innaturali, come quando si sbaglia a settare le impostazioni di uno schermo.

I titoli di testa

In effetti per capire che si tratti di un film di Spike Lee in molti casi basterebbe guardare i titoli di testa che, ancor prima che esca la scritta “A Spike Lee Joint” (che c’è in tutti i suoi film) sono particolarmente riconoscibili e, più in generale, molto ben fatti. Qui ci sono i 10 migliori, raccolti nel 2014 da Slate, qui sotto quelli più noti.

Spike Lee e gli insulti

Nella sua carriera, ne ha dette tante a tanti. Ha litigato con Quentin Tarantino sull’uso della parola “nigger” e disse, dopo Jackie Brown: «Cosa vuole Tarantino: diventare un nero onorario?». Ha litigato con chi criticava i suoi film (di Fa’ la cosa giusta qualcuno disse che incitava alla rivolta dei ghetti). Dopo la strage di Columbine disse che bisognava sparare a Charlton Heston, che in quegli anni era presidente della National Rifle Association, un’associazione a favore delle armi da fuoco. Più in generale, a Lee piace prendere posizione su tante cose – politicamente era tra quelli che supportavano Bernie Sanders (per cui ha girato anche uno spot) – ma non sempre lo ha fatto con moderazione.

A proposito di non-moderazione, gli insulti sono forse la cosa più famosa tra le cose famose dei film di Lee. Quelli in Fa’ la cosa giusta – che inizia con un bellissimo dialogo tra Lee e John Turturro – con un nero contro gli italiani, e poi un italiano contro i neri, e via andare; e quelli in La 25ª ora: una citazione/rielaborazione di quelli di Fa’ la cosa giusta. In questo film – girato poco dopo l’11 settembre 2001 (di cui parla) – è il personaggio di Edward Norton a prendersela con tutto e tutti (Gesù, i suoi amici, Osama bin Laden, i vari gruppi etnici di New York, la finanza) e poi con se stesso.

I film essenziali secondo Spike Lee

Lee ha anche insegnato cinema, e agli studenti dei suoi corsi faceva avere una lista di film essenziali per chiunque volesse fare il regista. Ne pubblicò una, gli fecero notare che mancavano registe donne, chiese scusa e ne pubblicò una nuova, con i film di alcune registe.