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  • Venerdì 17 febbraio 2017

Il Parlamento Europeo ha allargato il reato di terrorismo

Due nuove norme prevedono nuovi reati – anche per chi fa propaganda online – e più controlli in entrata e uscita dall'Unione

( UYGAR ONDER SIMSEK/AFP/Getty Images)
( UYGAR ONDER SIMSEK/AFP/Getty Images)

Il Parlamento Europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, ha approvato una direttiva che allarga la definizione di terrorismo, aumentando gli atti che saranno considerati reato: il Parlamento lo definisce un tentativo di aggiornare le leggi esistenti in materia soprattutto di foreign fighters – cioè cittadini comunitari che vanno a combattere in Medio Oriente per un gruppo terroristico e a volte tornano indietro – e “lupi solitari”, cioè persone che preparano un attentato senza l’appoggio o l’aiuto materiale di un gruppo esistente. La nuova direttiva è stata approvata con 498 voti favorevoli e 114 contrari, cioè con il sostegno di tutte le forze “istituzionali” del Parlamento: poco dopo è stata approvata anche una misura che rafforza i controlli alle frontiere soprattutto nei paesi periferici dell’Unione, e che è stata messa in relazione con la direttiva sul terrorismo.

La direttiva si basa su una proposta avanzata dalla Commissione Europea circa tre settimane dopo gli attentati di Parigi – compiuti per la maggior parte da cittadini con passaporto comunitario – e ha già superato i passaggi legislativi più critici come il trilogo (cioè i negoziati fra Commissione, Consiglio europeo e Parlamento). La nuova direttiva sarà quindi vincolante: ciascuno stato membro avrà 18 mesi per ratificarla, anche se la legislazione di alcuni paesi, come l’Italia, è già piuttosto avanzata in materia. Parlando informalmente col Post, un portavoce del Parlamento europeo ha spiegato che per i tempi delle istituzioni europee la direttiva è stata approvata piuttosto rapidamente.

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Un grafico preparato dal centro studi dell’Unione Europea: mostra che la direttiva ha compiuto tutti i passi legislativi necessari per diventare legge

La direttiva approvata oggi aggiorna il quadro normativo europeo sul terrorismo, introdotto nel 2002 e aggiornato nel 2008. La relatrice della proposta in Parlamento è stata Monika Hohlmeier, europarlamentare tedesca dell’Unione Cristiano-Sociale in Baviera (il partito “fratello” della CDU di Angela Merkel). La direttiva aggiunge nuovi reati legati al terrorismo, come viaggiare in un paese straniero con l’obiettivo di unirsi a un gruppo terrorista, ricevere un addestramento militare a fini terroristici – comportamenti tipici dei foreign fighters – oppure finanziare con soldi e altri beni uno di questi gruppi. La direttiva prevede inoltre che la pena prevista per la «partecipazione alle attività di un gruppo terrorista» – una definizione piuttosto ampia, che include anche finanziarne le attività «in qualsiasi modalità» – preveda una pena massima non inferiore agli otto anni di carcere.

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La direttiva non interesserà tutti i paesi allo stesso modo: alcuni, come Francia, Spagna, Germania, Belgio e Italia, fra gli altri, hanno già una legislazione piuttosto avanzata e probabilmente per adeguarsi dovranno fare solamente qualche modifica o aggiornamento alla legislazione corrente. In Italia, per esempio, il reato di terrorismo è regolato dall’articolo 270 del codice penale, che è stato modificato parecchio negli ultimi 15 anni.

Nel febbraio 2015, in particolare, è stato approvato un decreto legge voluto dall’allora ministro degli Interni Angelino Alfano che tra le altre cose ha introdotto il reato di “organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo”, che prevede da 3 a 6 anni di carcere per i cosiddetti foreign fighters e per chi organizza, finanzia o fa propaganda per il jihad. Il decreto Alfano prevede anche fino a 10 anni di carcere per i “lupi solitari” e un rafforzamento dell’intelligence, favorendo per esempio le operazioni sotto copertura.

Finora comunque l’Italia non ha avuto grossi problemi a gestire i cosiddetti foreign fighters, sia perché non sono molti i cittadini italiani ad essere andati in Iraq o Siria per combattere insieme a gruppi terroristi – 87, secondo le stime del 2016 del centro studi indipendente International Centre for Counter-Terrorism (ICCT) – sia perché ne sono tornati pochissimi: attualmente si stima che ce ne siano “solamente” 6 sul territorio italiano. Altri paesi hanno situazioni più problematiche: come ha fatto notare un portavoce del Parlamento al Post, in Danimarca – un paese che però ha scelto di attivare la propria clausola di opt-out, forse perché sta già studiando da tempo una legge simile – è già tornato il 50 per cento dei foreign fighters. Secondo le ultime stime a disposizione delle autorità europee, i foreign fighters comunitari andati a combattere in Iraq e Siria negli ultimi anni sono circa 5.000.

Una delle norme più controverse riguarda invece l’uso di Internet. La direttiva cita in diversi punti la possibilità che una persona si “radicalizzi” o riceva dell’addestramento online, ma va anche oltre: in un passaggio viene spiegato che i reati previsti dall’articolo 5, “incoraggiamento a compiere atti terroristi”, comprendono anche «la glorificazione e la giustificazione del terrorismo, o la disseminazione di messaggi o immagini incluse quelle di vittime di terrorismo, in modo tale da portare consensi alla causa terrorista». Un emendamento all’articolo 14 approvato dalla commissione del Parlamento sulle libertà civili obbliga inoltre i singoli stati a rimuovere materiale online che incoraggia atti di terrorismo dai siti del proprio paese.

I critici della direttiva sostengono che in questi passaggi Internet sia citato in maniera troppo vaga, e che la definizione di apologia del terrorismo sia troppo ampia, e possa essere usata come scusa per ridurre la libertà di espressione: European Digital Rights, una ONG indipendente che si occupa di libertà di espressione online, ha definito la direttiva «sconsideratamente vaga» e scritta con un linguaggio «poco chiaro». Anche Amnesty International ha criticato la nuova direttiva: Iverna McGowan, direttrice dell’ufficio di Amnesty che segue le istituzioni europee, ha spiegato a Politico che «questa legge mette a rischio tutti i nostri diritti».

I portavoce del Parlamento che si sono occupati della direttiva, parlando informalmente col Post, hanno ammesso l’esistenza di un’area grigia fra contenuti “radicali” e altri legati davvero al terrorismo, che dovrà essere gestita dai singoli stati.

Negli ambienti delle istituzioni europee, la direttiva approvata ieri era strettamente legata a un altro provvedimento approvato pochi minuti dopo: un rafforzamento dei controlli nei paesi periferici dell’Unione (tecnicamente, un emendamento al Codice frontiere Schengen). La nuova misura, la cui relatrice è stata l’eurodeputata romena Monica Macovei, ex ministro della Giustizia e membro dello stesso gruppo politico dei Conservatori britannici, è passata con 469 voti favorevoli e 120 contrari. Prevede che chiunque entri o lasci l’Unione Europea possa essere soggetto a controlli sistematici incrociando le informazioni di vari database (soprattutto lo Schengen Information System (SIS), considerato uno dei più ricchi di informazioni disponibili per le autorità europee).

Un punto critico della legge è il timore che questi nuovi controlli rendano ancora più lento e macchinoso uscire o entrare da un paese dell’Unione, o imbarcarsi per un volo o una nave (la direttiva dovrà essere applicata anche negli aeroporti e nei porti). Per cercare di venire incontro a questi problemi, la direttiva prevede che in caso di eccessive lentezze i controlli possano diventare meno sistematici, nel caso non ci siano timori per la sicurezza. Presentando la nuova misura in una conferenza stampa poco prima del voto in Parlamento, Macovei ha spiegato che dovrebbe entrare in vigore fra poco più di due mesi, dato che per il 22 marzo è prevista la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.