Abbiamo un pregiudizio sugli zoo?
In quelli moderni e certificati si fa ricerca e si migliora la salute degli animali (anche di quelli fuori)
La gorilla Colo, il primo esemplare della sua specie nato in cattività, è morta la settimana scorsa al Columbus Zoo and Aquarium di Powell, in Ohio. Colo è morta nel sonno a 60 anni, venti in più rispetto all’aspettativa di vita di un gorilla vissuto in libertà. Tra le ragioni di questa longevità c’è il tentativo di zoo come il Columbus di adottare misure che migliorino la salute dei loro animali (per esempio curandone i denti e vaccinandoli) e cerchino di ridurne lo stress dovuto al contatto con gli esseri umani. Al caso positivo di Colo si è contrapposto quello di Harambe, il gorilla abbattuto lo scorso maggio nello zoo di Cincinnati dopo che un bambino di tre anni aveva superato le recinzioni ed era caduto accidentalmente all’interno della gabbia del gorilla. La decisione dei responsabili dello zoo di abbattere l’animale, di fronte al pericolo di morte per il bambino, aveva riaperto il dibattito sulla presenza di animali come i gorilla all’interno degli zoo.
Siamo abituati a pensare agli zoo come a luoghi dove gli animali sono destinati a soffrire, e infatti ne esistono ancora dove gli animali vengono sedati o costretti a spettacoli con modalità crudeli, come la privazione di cibo, ma sono ormai una minoranza priva della certificazione AZA, quella che garantisce gli standard di qualità. Da tempo gli zoo e gli acquari si prendono cura degli animali cercando di ridurre l’intervento umano o renderlo meno traumatico, insegnando per esempio ai leoni a non aver paura degli aghi, o ai gorilla a prendersi cura di sé in modo autonomo.
I nuovi metodi prevedono anche che gli operatori dello zoo insegnino agli animali a comportarsi nel modo più simile possibile a quello che avrebbero in natura: gli uomini lo riproducono davanti agli animali, che lo imparano per imitazione. Per quanto riguarda la cura dei cuccioli, per esempio, gli addetti del Columbus Zoo mimano quello che le femmine della specie fanno in natura: si muovono carponi per trasportare i cuccioli sul dorso, riproducono i versi di rimprovero quando un piccolo fa qualcosa di sbagliato e distribuiscono quantità di cibo sul loro petto perché le mangino. Osservando questi atteggiamenti, gli altri gorilla imparano copiando, e si prendono cura dei piccoli come fossero madri adottive. Il contatto con gli uomini viene via via ridotto anche quando si tratta di fornire il cibo agli animali: gli addetti continuano a distribuirlo, ma lo allontanano sempre più dai cuccioli che così imparano a procurarselo.
Gli animali in cattività devono essere vaccinati ma, come succede con gli umani, molti di loro sono spaventati dagli aghi ed è stato messo a punto un processo lungo ma efficace che insegna ai leoni a non averne paura. L’animale viene fatto avvicinare agli operatori con un suono di richiamo: le prime volte che risponde al richiamo riceve una ricompensa in cibo, poi gli vengono mostrati degli aghi, inizialmente sottili poi sempre più grandi. Questo processo può andare avanti settimane o mesi e a un centinaio di aghi mostrati corrisponde una sola iniezione. In questo modo, nel giro di un anno il leone riceve tutte le vaccinazioni di cui ha bisogno, senza subire il trauma della paura.
Nel Columbus Zoo c’è poi un’ampia area chiamata savana, dove convivono una decina di specie animali di origine africana. Quando c’è maltempo, o quando alcuni di loro hanno bisogno di un controllo veterinario, gli animali tornano al coperto rispondendo a richiami sonori che corrispondono a una ricompensa in cibo. Il richiamo è diverso a seconda della specie: i leoni rispondono al suono di un megafono, le giraffe a quello di una campana e gli gnu, che solitamente sono gli ultimi a tornare, vengono attirati scuotendo un tamburello.
In generale gli zoo sono sempre di meno posti in cui gli animali vengono rinchiusi per essere sfruttati e mostrati al pubblico e sempre di più luoghi di ricerca, spesso impegnati nella protezione delle specie a rischio. Molti zoo infatti aderiscono a programmi per la riproduzione delle specie a rischio e si impegnano a reintrodurre in natura alcuni esemplari nati e cresciuti in cattività. Negli Stati Uniti in particolare molti aderiscono al Programma per la sopravvivenza delle specie (Species Survival Plan, SSP), che interessa 181 specie diverse e ha contribuito ad allontanare dal rischio di estinzione i furetti dai piedi neri, i condor della California e i lupi rossi. In Europa il Programma europeo per le specie in pericolo (EEP) prevede l’allevamento coordinato negli zoo di una specie in pericolo con l’obiettivo di rafforzarla reintroducendo nuovi esemplari in natura.
Alcune specie sopravvivono soltanto in cattività, altre sono presenti in natura perché sono state reintrodotte a partire proprio dagli zoo; conservare alcuni esemplari in cattività garantisce la possibilità di salvare una specie qualora tutti gli esemplari allo stato brado si estinguano. Per alcuni animali poi la vita negli zoo è più facile che in natura: è vero che sono confinati nei loro movimenti, ma sono anche protetti da predatori e parassiti, al riparo da siccità e carestia e curati dalle malattie.
Gli zoo svolgono anche un ruolo educativo e di sensibilizzazione, dato che fanno conoscere a bambini e adulti, in modo più incisivo di qualsiasi rivista o documentario, gli animali e le loro esigenze, insegnando anche il rispetto dell’ambiente. Molti raccolgono fondi per progetti a difesa degli animali e del loro ambiente, e collaborano spesso tra loro scambiandosi buone pratiche e istruendo reciprocamente gli operatori. Negli zoo sono poi sempre più frequenti i programmi di ricerca sugli animali: studiarne il comportamento è fondamentale per salvare e proteggere gli esemplari in natura e preservare gli ecosistemi.