Le tante vite di Carrie Fisher

Figlia della "coppia preferita d'America", era destinata a essere famosa: ma si meritò la celebrità facendo bene moltissime cose, tra un eccesso e l'altro

di Matt Schudel – The Washington Post

Carrie Fisher con la madre Debbie Reynolds il 12 febbraio 1972
(Dove/Evening Standard/Getty Images)
Carrie Fisher con la madre Debbie Reynolds il 12 febbraio 1972 (Dove/Evening Standard/Getty Images)

«Sono nata famosa», disse una volta Carrie Fisher. Figlia di due delle più grandi star di Hollywood degli anni Cinquanta – l’attrice Debbie Reynolds e il cantante Eddie Fisher – Carrie Fisher non avrebbe potuto scampare a una vita di fama, con i privilegi e il caos che ne derivano. Divenne una celebrità per meriti suoi solo quando interpretò l’eroica principessa Leia nel primo film di Star Wars nel 1977 – aveva solo 19 anni ed era la protagonista femminile principale – e nei due sequel degli anni Ottanta: ebbero un enorme successo e divennero una pietra miliare della cultura pop. Star Wars divenne un universo a sé, con sei sequel (finora) e legioni di fan devoti che esaminano minuziosamente ogni battuta dei dialoghi e ogni cambio di costume della principessa Leia in cerca di significati esoterici. Fisher recitò in decine di altri film per il cinema e la tv, ma quello della principessa Leia resta il ruolo della sua vita.

Fu molto più difficile interpretare la parte di Carrie Fisher. Volontariamente o inevitabilmente, Fisher continuò a reinventarsi, prima come versatile attrice e poi come scrittrice di bestseller in cui raccontava storie sui suoi genitori e sulla sua vita complicata, tra lo splendore e la ricchezza di Hollywood. Raramente lontana dalle luci della ribalta o dai paparazzi, Fisher finì di nuovo sulle prime pagine dei giornali lo scorso novembre, quando raccontò in un’intervista e poi in un nuovo libro da poco pubblicato di aver avuto una storia con Harrison Ford durante le riprese del primo Star Wars.

Già famosa per Star Wars, sui trent’anni ottenne un nuovo tipo di fama con una seconda carriera da aspra e lacerata cronista degli eccessi di Hollywood, o di «com’è vivere una vita dove tutto è troppo eccitante per troppo tempo». Nel suo primo libro, il romanzo bestseller e semi-autobiografico Cartoline dall’inferno (Postcards From the Edge), del 1987, Fisher raccontò la vita nelle cliniche di disintossicazione, storie di sesso e di separazioni, di dubbi, paure e risentimenti di una figlia che si è sempre sentita nell’ombra dell’affascinante madre. La prima riga del libro racchiude già in sé tutti i problemi di Fisher, e il suo senso dell’umorismo: «Forse non avrei dovuto dare il mio numero al tizio che mi ha fatto la lavanda gastrica, ma che importa? Tanto la mia vita è comunque finita».

Dal libro trasse la sceneggiatura del film del 1990 diretto da Mike Nichols, e con Meryl Streep candidata all’Oscar per il ruolo di Suzanne Vale, un’aspirante attrice la cui vita sbanda da un casino all’altro (personaggio che Carrie Fisher non volle interpretare perché «l’ho già fatto», disse). Shirley MacLaine interpretò Doris, la frivola e onnipresente madre della protagonista, anche se Fisher riservò le parole più dure della sua biografia a Suzanne, il suo alter-ego: Doris a un certo punto le dice «Io sono venuta dal niente e ho fatto qualcosa dalla mia vita, tu vieni da qualcosa e non hai fatto niente della tua». Nonostante il film mostrasse una famiglia disfunzionale, Fisher e sua madre Debbie Reynolds rimasero in buoni rapporti e finirono per vivere porta a porta a Beverly Hills.

Il successo del film aprì a Fisher un’altra carriera, quella di una delle migliori sceneggiatrici di Hollywood. In 15 anni affilò i dialoghi di decine di film, da Sister Act (1992) a Mia moglie è una pazza assassina? (1993) ai vari sequel di Star Wars. Fisher scrisse anche altri tre romanzi: Surrender the Pink, tradotto in italiano con il titolo Non c’è come non darla, The Best Awful There Is e Delusions of Grandma. Poi abbandonò del tutto la scrittura di finzione per due memoir nudi e crudi, Shockaholic (2011) e Wishful Drinking (2008). Quest’ultimo è stato un bestseller, basato su uno spettacolo di successo in cui Fisher da sola sul palco scavava nell’apparentemente infinita sfilza di episodi imbarazzanti, tragici e assurdi che hanno fatto la sua vita. «Non puoi inventarti ‘ste cose!», disse Carrie Fisher alla rivista Rolling Stone nel 2015. «Così mi sono messa a scriverle. Succedono cose così e tu pensi, nessuno ci crederà mai, nessuno».

Per sua stessa ammissione era una enfant terrible che non è mai cresciuta. Aveva un disturbo bipolare per cui le venne fatto l’elettroshock. Le piaceva l’LSD, frugava negli armadietti delle medicine e divenne dipendente dalla cocaina, dall’ossicodone e dall’alcol. Le sue interviste andavano a braccio senza alcuna rete di protezione, fumava una sigaretta dopo l’altra, beveva Coca Cola e metteva in luce i suoi danni emotivi.

Tra le sue relazioni, ne ebbe una di sette anni con il cantautore Paul Simon: si sposarono nel 1983 e dopo 11 mesi divorziarono. Ne ebbe un’altra con l’agente Bryan Lourd, con cui fece una figlia nel 1992; poi lui la lasciò per un uomo. «Faccio diventare la gente gay», disse al Baltimore Sun nel 2012. «È un inusuale superpotere». Negli anni Ottanta prese a uscire con un senatore americano, di cui non rivelò mai il nome. «Mi mostrò la Corte Suprema e mi portò a cena», disse al Washington Post nel 1987. «E a un certo punto mi disse “E allora quanti senatori ci sono?”. Lo raccontai a mia madre e lei mi disse “Oh tesoro, mi vergogno così tanto per te. Lo sanno tutti che ce n’è uno per stato”» [In realtà sono due per stato, quindi 100 in totale, n.d.r.]. Nel 2005 Carrie Fisher – una Democratica convinta – si svegliò a letto a fianco del corpo morto di un suo amico, che era un dipendente gay del Partito Repubblicano. Secondo l’autopsia era morto per overdose di cocaina e ossicodone.

Nonostante il dramma continuo della sua vita, Fisher ebbe una solida carriera da attrice e comparve in oltre 40 film e decine di produzioni televisive. Il suo primo ruolo in un film fu in Shampoo (1975) dove – era ancora adolescente – recitò in una lasciva scena di seduzione con Warren Beatty. Due anni dopo Star Wars le cambiò la vita. Interpretò la principessa Leia come una combinazione affascinante, piena di risorse e innocente, tra Candy-Candy e Giovanna d’Arco, con i capelli arrotolati sulle tempie. L’intesa sullo schermo tra Fisher, allora 19enne, e Harrison Ford che interpretava l’impetuoso Han Solo, fu accentuata dalla relazione che ebbero dietro le quinte (lui allora aveva 33 anni ed era sposato): «Durante la settimana c’erano Han e Leila mentre nel weekend c’erano Carrie e Harrison», raccontò Fisher a novembre alla rivista People. Interpretò di nuovo Leia in L’Impero colpisce ancora (1980) e Il ritorno dello Jedi (1983), ma mentre la saga entrava a far parte della cultura pop, le recensioni su di lei diventavano sempre più ostili. Il critico David Ansen scrisse per esempio su Newsweek che «Non è più un comandante, è solo una damigella in difficoltà vestita come in un harem».

Negli anni Ottanta recitò in altri film e tra i suoi ruoli più notevoli ci sono quello dell’ex fidanzata vendicativa di John Belushi nei Blues Brothers (1980), quello della socia in affari di Dianne Wiest in Anna e le sue sorelle di Woody Allen (1986), e quello della migliore amica di Meg Ryan in Harry ti presento Sally (1989). Per Fisher furono anche gli anni in cui l’uso di droghe raggiunse il punto più alto (o più basso). Andò a disintossicarsi e in un ospedale psichiatrico e poi, dopo un’overdose, avvenne l’episodio in cui diede il suo numero al medico che le fece la lavanda gastrica. «Non c’è una zona del sensazionalismo», disse a 30 anni, «in cui non abbia vagato e in cui non abbia sconfinato selvaggiamente».

Carrie Frances Fisher nacque il 21 ottobre del 1956 a Burbank, in California. Sua madre, che ora ha 84 anni, era una cantante-ballerina-attrice che recitò nel celebre musical del 1952 Singin’ in the Rain, in Tammy fiore selvaggio (1957), Voglio essere amata in un letto d’ottone (1964) e Dominique (1966). Suo padre, Eddie Fisher, era un cantante idolo delle ragazzine con 17 canzoni arrivate in classifica tra il 1950 e il 1956, che aveva anche condotto due spettacoli tv dal 1953 al 1959 (è morto nel 2010). Quando Fisher e Reynolds si sposarono nel 1955, vennero soprannominati la “coppia preferita d’America”. La migliore amica di Reynolds a Hollywood era l’attrice Elizabeth Taylor ma dopo che suo marito, il produttore Mike Todd, morì in un incidente aereo nel 1958, lei trovò conforto tra le braccia di Eddie Fisher.

Eddie Fisher lasciò Debbie Reynolds e i suoi due figli, e nel 1959 sposò Taylor:  fu uno dei maggiori scandali nella storia di Hollywood. All’epoca Carrie Fisher aveva 2 anni. «Pensavo che tutti avessero delle matrigne che vivevano in bungalow al Beverly Hills Hotel, indossando vestaglie», disse nel 2011. Reynolds si risposò con un uomo d’affari più vecchio di lei, Harry Karl, che dissipò i soldi della moglie finché non divorziarono in tribunale. «Sono cresciuta guardando mia madre recitare la parte dello show-must-go-on fino al ridicolo», disse al Baltimore Sun.

A 13 anni iniziò a recitare nel locale di sua madre, poi a 15 lasciò la scuola per cantare nel coro dello spettacolo di Broadway di sua madre, Irene. «Non mi interessa quel che avete sentito», scrisse poi in Wishful Drinking, «far parte di un corpo di ballo per un bambino è più utile di qualsiasi altro tipo di istruzione possa avere». Poi studiò recitazione a Londra per circa 18 mesi prima di ottenere le prime parti. Quando iniziò ad avere successo, la carriera di sua madre era in declino e suo padre era ormai dimenticato. Sin da ragazzina Fisher amava leggere e teneva un diario, anche quando la sua vita era nei guai. Utilizzò poi i diari per i romanzi, tra cui Cartoline dall’Inferno, e per i suoi memoir, compreso The Princess Diarist del 2016 sulla sua esperienza con Star Wars. Fisher è stata anche candidata per un premio Emmy nel 2007 per il ruolo di una scrittrice televisiva sopra le righe e mentalmente instabile nella sitcom 30 Rock.

Lascia sua madre, sua figlia Billie Lourd e un fratello, il produttore e regista Todd Fisher. In tutti questi anni lei e sua madre avevano solidarizzato finendo per diventare una vecchia e litigiosa coppia da commedia. Un documentario sulle loro vite intrecciate, Bright Lights: Starring Carrie Fisher and Debbie Reynolds, andrà in onda per HBO nel 2017. Almeno lì Fisher sarà prima nei titoli di testa.

© 2016 – The Washington Post