(Da "Il buono, il brutto, il cattivo")
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«Il mondo si divide in due categorie»

Grandi storie su "Il buono, il brutto, il cattivo" – Sergio Leone, Clint Eastwood, Ennio Morricone – che uscì cinquant'anni fa

di Gabriele Gargantini
(Da "Il buono, il brutto, il cattivo")

Il buono, il brutto, il cattivo – un film di Sergio Leone con Clint Eastwood e con le musiche di Ennio Morricone – non vinse nemmeno un Oscar, e non ottenne neppure una nomination. Nonostante questo tutti sanno cos’è, tanti l’hanno visto, molti ne conoscono almeno qualche frase, suono o scena e nonostante duri quasi tre ore, pochissimi lo troverebbero noioso guardandolo oggi per la prima volta. Il buono, il brutto, il cattivo uscì il 23 dicembre 1966, e da oggi entra con merito nei primissimi posti della lista di “film che hanno più di 50 anni ma vanno benissimo ancora oggi”. Non “benissimo” per uno di quei cinefili snob che schifa ogni film che sia minimamente vivace e moderno; “benissimo” per chiunque voglia vedere una storia scritta bene, recitata benissimo, musicata ottimamente e girata ancora meglio: a guardare Il buono, il brutto, il cattivo per la prima volta si ha una gran voglia di vedere come va a finire; a riguardarlo si fa caso a tante interessantissime altre cose. Poi certo, c’è anche qualcuno a cui potrebbe non piacere, perché «il mondo si divide in due categorie».

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Il buono, il brutto, il cattivo parla di tre banditi – Clint Eastwood, “il biondo” e buono; Eli Wallach, Tuco, cioè il brutto; Lee Van Cleef: il cattivo, soprannominato Sentenza – che cercano di arrivare a una cassa con dentro 200mila dollari, in un cimitero. Uscì due anni dopo Per un pugno di dollari e un anno dopo Per qualche dollaro in più: i film – tutti di Leone e con Eastwood che interpreta un pistolero senza nome – che compongono la cosiddetta “trilogia del dollaro”.

Le basi

Il buono, il brutto, il cattivo è uno dei migliori esempi di “Spaghetti Western”: quei western all’italiana fatti negli anni Sessanta e Settanta, spesso con un budget molto basso, quasi sempre girati in Europa e quasi sempre con protagonisti tutt’altro che eroici: non c’erano mai buoni del tutto buoni e cattivi del tutto cattivi. Poi non c’erano gli indiani, perché era oggettivamente difficile trovarne in Europa negli anni Sessanta. Il buono, il brutto, il cattivo fu però girato con un budget molto alto, perché i due film precedenti erano andati molto bene e avevano permesso a Leone di diventare uno dei pochi registi non americani capaci di farsi apprezzare per i loro western, il genere più americano di tutti e secondo certi critici il “prodotto culturale” più americano di sempre.

I tre film della trilogia del dollaro non sono collegati (li si può vedere in qualsiasi ordine) e hanno in comune solo l’ambientazione western, i duelli (o trielli, “duelli a tre”) e la costante presenza di gente con pistole che gira per il West cercando soldi. In tutti i film Eastwood interpreta un personaggio enigmatico, senza nome e praticamente senza passato, che non è cattivo ma non è nemmeno propriamente buono: in ll buono, il brutto, il cattivo uccide 11 persone, il brutto ne uccide 6 e il cattivo 3.

La storia

Il film è ambientato durante la Guerra di secessione (Per qualche dollaro in più era ambientato dopo la fine della guerra) e parla di due uomini – Tuco e Il biondo (cioè il brutto e il buono) – che vagano guadagnando soldi con questo stratagemma: su Tuco c’è una taglia; il biondo lo cattura, lo consegna allo sceriffo di turno, prende la ricompensa e poco prima che Tuco venga impiccato lo salva, dividendo con lui la ricompensa. Il cattivo – detto Sentenza perché è perentorio e risoluto – guadagna soldi trovando persone, e in genere uccidendole, per conto terzi. Succede che i tre vengono a sapere che da qualche parte ci sono 200mila dollari ma nessuno sa tutto: qualcuno sa sotto quale tomba sono seppelliti, qualcun altro sa in quale cimitero. Succedono molte cose – Tuco e il biondo cercano di uccidersi, poi cercano di uccidere il cattivo, e intanto vengono fatti pure prigionieri – ma alla fine i tre arrivano al cimitero e fanno il famoso triello. Come finisce non è scritto né qui né più avanti, se non guardate i video. Il buono, il brutto e il cattivo lo trovate su Netflix, in versione restaurata, in una qualità che difficilmente vi aspettereste da un film di cinquant’anni fa.

Prima del film

Si dice che Leone volesse intitolare il film I magnifici furfanti o I due magnifici vagabondi, ma decise d’impulso il titolo Il buono, il brutto, il cattivo mentre la raccontava a chi avrebbe dovuto finanziarlo (e poi lo finanziò, dandogli circa 1,6 milioni di dollari: molti soldi, all’epoca). Si dice anche che dopo i due precedenti film Leone non volesse fare un terzo western ma fu convinto – non si sa in quale misura – dai soldi che gli vennero offerti. L’idea di base è stata molte volte raccontata così: “un film su tre manigoldi che cercano dei tesori al tempo della Guerra civile americana”. Alla scrittura della sceneggiatura parteciparono anche Age e Scarpelli – Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, due apprezzatissimi sceneggiatori – ma a Leone non piacquero e a loro non piacque Leone: quasi tutte le loro cose furono scartate e riscritte, perché – come spiegarono Leone e altri suoi collaboratori in diverse interviste – il loro approccio era troppo da commedia.

Le riprese

Il film fu quasi tutto girato in Spagna, più qualcosa a Roma, a Cinecittà. Il problema principale era la lingua: Leone parlava pochissimo inglese, molti tra assistenti e comparse parlavano solo spagnolo, tanti attori parlavano solo inglese. Ogni tanto non ci si capiva, insomma, mentre altre volte si usavano gesti o traduttori e in certi casi si cercava una lingua comune: Leone e Wallach si parlavano in francese.

A quel tempo in Spagna c’era il regime franchista ma la cosa non fu un problema. Qualche anno dopo Eastwood disse: «In Spagna non gliene importa nulla di ciò che fai. Gli importerebbe se stessi facendo una storia sugli spagnoli o sulla Spagna». Lingue a parte, ci furono però problemi di altro tipo, soprattutto per Wallach: rischiò di morire avvelenato bevendo una bottiglia di acido lasciata in giro per caso, rischiò di morire perché il cavallo su cui era legato si spaventò per un colpo e si mise a correre e se la vide brutta anche nella scena del treno, in cui cerca di liberarsi da una catena che lo lega all’attore interpretato da Mario Brega aspettando il passaggio di un treno. Ci furono anche tanti problemi per la scena del ponte che fu costruito, distrutto, ricostruito e ancora distrutto: Leone non ne trovò uno che gli andasse bene e decise quindi di farlo fare.

Quando uscì

Il buono, il brutto e il cattivo era un western e per di più uno Spaghetti Western, il sottogenere volgare di quello che era già ritenuto un genere non molto di qualità. Roger Ebert, famosissimo e stimato critico di cinema, diede al film tre stelle su cinque, spiegando che ne avrebbe meritate quattro ma non si potevano dare quattro stelle a uno Spaghetti Western. Anche in Italia le prime recensioni furono piuttosto negative. Gian Luigi Rondi scrisse sul Tempo che il film era “troppo lento e troppo statico, con pause eccessive”; Tullio Kezich scrisse sul Corriere della Sera: «l’effettistica di Leone si traduce però nelle continue smagliature di un racconto arido e monotono, né la precisa ambientazione storica, che inserisce il consueto intrigo di dollari e di sangue nel quadro della guerra civile americana, riesce a tonificare lo spettacolo». Ci vide invece lungo Pietro Bianchi del Giorno: «Ironia, invenzione, senso dello spettacolo rendono memorabile questo film, situando il suo autore tra gli uomini di cinema più interessanti dell’ultima leva». Sembra anche che qualcuno scrisse, di Eastwood: «Cristo santo, questo tizio non fa niente, non dice niente… non ha nemmeno un nome! E quel sigaro: lì, fermo, a bruciare». Charles Champlin del Los Angeles Times scrisse che il film avrebbe dovuto chiamarsi “Il brutto, il noioso, l’interminabile”.

Quei tre

Il cattivo è cattivo, vero, ma in certi casi dimostra anche un certo grado di lealtà. Il brutto non è particolarmente bello, ma è simpatico e nemmeno così brutto. Il buono ha una sua etica ma non è poi così buono. Leone spiegò che dei tre personaggi gli piaceva il loro essere anarchici, e del buono e del brutto gli piaceva il loro vagabondare. In un’intervista disse:

Mi sembrava interessante demistificare questi aggettivi nell’ambientazione di un western. Un assassino può fare mostra di un sublime altruismo, mentre un buono è capace di uccidere con assoluta indifferenza. Una persona in apparenza bruttissima, quando la conosciamo meglio, può rivelarsi più valida di quanto sembra e capace di tenerezza. Incisa nella memoria avevo una vecchia canzone romana, una canzone che mi sembrava piena di buon senso comune: “È morto un cardinale che ha fatto bene e male. Il mal l’ha fatto bene e il ben l’ha fatto male”.

Il dettaglio dello sperone

Gira una storia secondo cui un giorno, a fine riprese, Leone si lamentò di essersi dimenticato di fare l’inquadratura di uno sperone. Si organizzò con il direttore di produzione per rifarla e lui pensò che sarebbe stata una cosa da poco: bastava riprendere uno sperone. Il giorno previsto per quella scena Leone fece però notare che in primo piano serviva lo sperone, ma dietro voleva che si vedesse la città, i cavalli e i cowboy. Da allora “il dettaglio dello sperone” è, in certi ambienti del cinema, un sinonimo di una cosa che sembra una minuzia e invece non lo è.

La colonna sonora

È una delle migliori di Morricone: il motivo più famoso è formato da sue sole note e per farlo si ispirò all’ululato di un coyote. Le note sono le stesse per i tre protagonisti, ma sono fatte da uno strumento diverso: un flauto per il buono, un arghilofono (simile a un’ocarina) per il cattivo e una voce umana per il brutto. A differenza dei film precedenti, Morricone scrisse alcune musiche prima che Leone girasse il film: negli altri casi era stato Morricone – che aveva conosciuto Leone da ragazzino – a comporre pensando alle immagini; in Il buono, il brutto, il cattivo Leone poté invece girare pensando alle musiche. Le musiche più famose sono quella del triello, che accompagna più di cinque minuti in cui non parla nessuno, e “L’estasi dell’oro”: provate a non fischiettarla, se ci riuscite.

In questa scena vedete un cane: non ci finì in mezzo per sbaglio. Leone aveva paura che la scena diventasse troppo melodrammatica e senza dirlo a Wallach fece liberare un cane che lo inseguisse. Wallach era comunque uno abituato a improvvisare: improvvisò praticamente tutta la scena in cui va a comprare (rubare) una pistola.

Tutte le frasi

Storia, musiche, recitazione, inquadrature di grandi paesaggi, inquadrature in primissimi piani, un efficace ed esperto montaggio: Il buono, il brutto, il cattivo è pieno di cose fatte bene. In più è famoso per alcune sue frasi, brevi e a effetto.

– «Sto cercando un mezzo sigaro, con dietro la faccia di un gran figlio di cagna alto, biondo e che parla poco»
– «I tipi grossi come te mi piacciono perché quando cascano fanno tanto rumore»
– «Vado, l’ammazzo e torno»
– «Pioggia o vento, da qualche parte c’è un piatto di minestra calda che t’aspetta»
– «Quando si spara, si spara, non si parla»
– «Sei, numero perfetto! / Non è tre il numero perfetto? / Sì, ma io ho sei colpi qui dentro…»
– «Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi»

Il mondo si divide in due categorie

La struttura della frase «il mondo si divide in due categorie» («there are two kinds of people») fu ripresa e citata più e più volte in decine di film in decine di versioni, comprese quelle che scherzavano sul fatto che fosse ormai diventato un cliché del cinema. Un video ha raccolto le migliori.

Il triello

I tre si trovano alla fine in uno spiazzo che sembra un’arena: il buono è l’unico che sa il nome sulla tomba sotto la quale ci sono i soldi, ma anche gli altri due sono armati come lui. Decide quindi di scriverlo su una pietra, lasciarla in mezzo allo spiazzo e preparasi a un duello a tre, uno di quelli che Quentin Tarantino ha poi ripreso in quasi ogni suo film. Il finale è il punto massimo del film sotto ogni punto di vista: riassume la capacità di Leone di essere estremamente artistico anche se quasi tamarro (secondo certi canoni attuali): ci sono i protagonisti sporchi, sudati e pieni di polvere, la musica di Morricone, gli occhi, il sigaro, il cappello e il poncho di Eastwood e soprattutto la capacità unica di Leone di gestire tempi e distanze delle inquadrature.