John Glenn, astronauta

La storia del primo statunitense che girò tre volte intorno alla Terra nel 1962, che tornò nello Spazio da settantenne e fu anche molto altro: è morto ieri a 95 anni

di Emanuele Menietti – @emenietti

John Glenn (AP Photo/Harvey Georges)
John Glenn (AP Photo/Harvey Georges)

John Glenn, il primo astronauta statunitense ad avere compiuto un volo orbitale intorno alla Terra agli albori delle esplorazioni spaziali, è morto giovedì 8 dicembre a Columbus, nell’Ohio: aveva 95 anni ed era considerato un “eroe nazionale” negli Stati Uniti, non solo per la sua esperienza con la NASA ma anche per una carriera da senatore durata 24 anni. Glenn era l’ultimo membro ancora in vita della prima generazione di astronauti scelti dalla NASA per esplorare lo Spazio, superando quella grande bolla invisibile e fondamentale per la nostra sopravvivenza che è l’atmosfera. Stretto nella sua tuta in una capsula spaziale altrettanto angusta, il 20 febbraio del 1962 Glenn divenne il primo americano in orbita, a meno di un anno di distanza dal volo suborbitale di Alan Shepard, il primo astronauta nella storia degli Stati Uniti. Quell’impresa, che durò poco meno di 5 ore, rese John Glenn un pioniere dello Spazio nell’immaginario di milioni di persone, che qualche centinaio di chilometri più in basso seguirono il suo viaggio con apprensione e meraviglia.

Dall’Ohio allo Spazio
John Herschel Glenn Jr. era nato il 18 luglio del 1921 a Cambridge, Ohio. Figlio di un ferroviere, si era trasferito da piccolo con la famiglia a Concord, una cittadina nel sud-ovest dello stato con meno di mille abitanti. Gli anni della grande depressione economica avevano influito molto sulla formazione del giovane Glenn: i genitori gli avevano impartito codici morali molto severi, ricordandogli di continuo quanto fosse necessario temere il giudizio di Dio e comportarsi rettamente. Glenn si dava da fare il più possibile: lavava le automobili del vicinato per raggranellare qualche mancia, suonava la tromba, cantava nel coro della chiesa e d’estate prestava servizio come bagnino in alcune piscine. Alle scuole superiori era uno studente modello ed eccelleva nelle attività sportive, dal football alla pallacanestro al tennis.

Al liceo Glenn conobbe Anna Margaret Castor, cui fece una corte ostinata fino a riuscire a sposarla dell’aprile del 1943. Castor soffriva di una profonda balbuzie, risolta solo molti anni dopo con logopedia e altre terapie, ma a Glenn importava poco. Insieme ebbero due figli, che gli avrebbero poi dato due nipoti.

John Glenn

Tra la scuola e il matrimonio si mise in mezzo la Seconda guerra mondiale. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor contro le forze americane nel 1941, John Glenn decise di arruolarsi e iniziò la formazione per l’aviazione di marina diventando pilota, poi si unì ai Marines. Partecipò a quasi 60 missioni di combattimento nel Pacifico, ottenendo diversi riconoscimenti, e poi ancora a un’altra novantina di missioni durante la Guerra di Corea. Glenn non sembrava avere particolari preoccupazioni per la sua incolumità – secondo alcuni era proprio uno scriteriato incosciente – ma fu questa caratteristica a spingerlo verso nuovi limiti da superare, soprattutto se doveva farlo a qualche migliaio di metri dal suolo. Nel 1957 sperimentò con successo il primo volo supersonico transcontinentale da Los Angeles a New York in poco meno di 3 ore e mezza. In quello stesso periodo l’Unione Sovietica stava per raggiungere il suo primo grande successo spaziale, considerato la pietra miliare delle esplorazioni nello Spazio: la messa in orbita dello Sputnik, il primo satellite artificiale.

Il primo volo orbitale
Nel 1959 Glenn fu selezionato dalla NASA per il suo primo programma di esplorazione dello Spazio insieme ad altri sei futuri astronauti, i cosiddetti Mercury Seven: non sapeva ancora che sarebbe stato l’ultimo di loro ad andarsene da questo mondo. A loro era stato affidato il compito di superare nuovi confini, grazie al lavoro di migliaia di ricercatori, tecnici e ingegneri che stavano lavorando per vincere la cosiddetta “corsa allo Spazio” contro l’Unione Sovietica.

John Glenn era molto ambizioso e voleva essere il primo astronauta americano a volare, ma la NASA scelse Shepard. La successiva decisione di affidare il secondo volo suborbitale a Gus Grissom, sempre nel 1961, non lo scoraggiò più di tanto: protestò con la NASA, ma sapendo di avere comunque la prospettiva di essere il primo a compiere un volo orbitale vero e proprio. Shepard era stato sì il primo uomo nello Spazio, ma lo aveva raggiunto compiendo una sorta di parabola che aveva intersecato l’atmosfera terrestre, come mostra l’immagine qui sotto, senza compiere un giro completo del pianeta. Lo stesso aveva fatto Grissom, quindi per Glenn c’era ancora la possibilità di ottenere un primato per gli Stati Uniti, recuperando terreno nei confronti dell’Unione Sovietica che aveva già ottenuto un grande successo con il volo orbitale di Juri Gagarin nell’aprile del 1961, ancora prima di Shepard.

volo-suborbitale

Il volo orbitale di Glenn della missione Mercury-Atlas 6 sulla capsula spaziale Friendship 7 (un piccolo tronco di cono alto 3,3 metri e con un diametro alla base di 1,8 metri) fu rimandato 10 volte per problemi tecnici o condizioni meteo non favorevoli. All’undicesima, il centro di controllo della NASA diede tutti i via libera (“GO”) per procedere. I numerosi rinvii avevano fatto aumentare le attese: milioni di persone sintonizzarono televisori e radio per assistere al lancio di John Glenn da Cape Canaveral in Florida, dove era stato preparato il razzo lanciatore Atlas D LV-3B, alto quanto un palazzo di 10 piani, sulla cui sommità era stata collocata la capsula spaziale per ospitare John Glenn.

John Glenn

Il lancio fu eseguito perfettamente e secondo i piani. Dieci minuti dopo Friendship 7 con John Glenn al suo interno si trovava nell’orbita terrestre, pronta a viaggiare per tre volte intorno al nostro pianeta. Tutto sembrava andare da programma, ma al secondo giro un indicatore segnalò che lo scudo termico che avrebbe dovuto proteggere la capsula spaziale al suo rientro nell’atmosfera era mal posizionato. Nessuno in quel momento sapeva con certezza se l’anomalia fosse reale o se fosse un malfunzionamento dell’indicatore (come si scoprì in seguito), quindi per precauzione il centro di controllo decise di sfruttare più a lungo i retrorazzi della capsula per rallentarla il più possibile nel suo ingresso nell’atmosfera, nella speranza che raggiunti gli strati più bassi lo scudo fosse ancorato a sufficienza da resistere alle sollecitazioni.

Il rientro in atmosfera per Glenn fu molto turbolento, con forti oscillazioni della capsula spaziale: nemmeno il tempo per fissare bene il ricordo dei tre tramonti in meno di cinque ore visti dall’orbita, un privilegio che fino ad allora era spettato a due sole altre persone, i cosmonauti Gagarin e Gherman Titov. Glenn aveva sentito decine di volte i racconti di Shepard e Grissom sui loro voli suborbitali e su cosa avevano visto nel rientro nell’atmosfera, quando i gas che fluiscono intorno alla capsula arrossano la vista dall’oblò, ma viverlo in prima persona era diverso. Glenn raccontò in seguito di avere visto “pezzi in fiamme e pensai che si trattasse dello scudo termico che si stava sbriciolando: fu un brutto momento. Ma sapevo anche che se così fosse stato, sarebbe finita rapidamente, e che non avrei potuto farci nulla”.

John Glenn

Attraversata l’atmosfera, il paracadute della Friendship 7 si aprì in anticipo, portando la capsula a tuffarsi nell’oceano Atlantico al largo delle Bahamas a qualche decina di chilometri di distanza dal punto previsto per l’ammaraggio. Dopo i minuti di silenzio del rientro nell’atmosfera, un breve messaggio radio di Glenn ruppe le ansie di milioni di persone che avevano seguito la sua avventura: “Le mie condizioni sono buone, ma quella è stata proprio una palla di fuoco, ragazzi”. Assetato e visibilmente provato, Glenn fu tratto a bordo di una nave della marina militare statunitense e sottoposto ai vari controlli medici, prima di partire per un nuovo lungo viaggio: stavolta senza lasciare la Terra.

Dalla NASA alla politica
Dopo le sconfitte del 1961 nella corsa allo Spazio, nel 1962 gli Stati Uniti avevano infine recuperato (anche se non completamente) nei confronti della tecnologia spaziale sovietica, ma soprattutto avevano costruito il loro primo vero eroe dell’era spaziale. Nei mesi seguenti al lancio, John Glenn partecipò a un estenuante tour attraverso il paese, per raccontare la sua storia e fare propaganda per gli Stati Uniti. Conferenze, incontri, fotografie, autografi, parate: fece tutto quello che gli veniva chiesto, ma ciò che davvero lo interessava era la possibilità di tornare a volare nello Spazio. Presentò richieste per essere assegnato a una nuova missione spaziale, ma a ogni domanda gli fu risposto che era troppo presto o di attendere piani più chiari da parte del governo. Solo molti anni dopo si scoprì che la NASA non voleva mettere a rischio il suo astronauta più conosciuto: se qualcosa fosse andato storto in una nuova missione spaziale con Glenn, le ripercussioni dal punto di vista dell’immagine e della propaganda sui progressi raggiunti sarebbero state disastrose.

Stanco per i continui rifiuti, nei primi mesi del 1964 Glenn presentò le sue dimissioni dalla NASA, impegnata nella realizzazione del programma Apollo per raggiungere la Luna “entro la fine del decennio”, come annunciato dal presidente John Fitzgerald Kennedy un paio di anni prima. Glenn aveva intanto pensato a un piano B, anche grazie all’interessamento e al sostegno di Robert F. Kennedy, il fratello del presidente: intraprendere una carriera politica nel Partito Democratico e candidarsi come senatore per l’Ohio. A causa di un grave incidente domestico, Glenn dovette rinunciare a candidarsi alle elezioni del 1964, perse le primarie Democratiche del 1970 e infine nel 1974 riuscì a farsi eleggere nel Senato degli Stati Uniti, iniziando una nuova carriera che sarebbe durata 24 anni. Nel 1984 si candidò alle primarie dei Democratici per le presidenziali ma fu battuto da Walter F. Mondale, che perse poi alle elezioni contro Ronald Reagan.

John Glenn

Il ritorno nello Spazio
Il pensiero dei viaggi nello Spazio non lo aveva comunque abbandonato. Aveva più di 70 anni quando, da membro della Commissione del Senato sull’invecchiamento, si offrì come cavia per studiare gli effetti di un volo spaziale su una persona anziana, in modo da potere confrontare le reazioni del suo organismo con quelle degli astronauti più giovani. La proposta fu criticata e commentata con scetticismo da molti osservatori, ma interessò comunque alla NASA e non solo per motivi scientifici: i tempi erano cambiati e il grande interesse dell’opinione pubblica intorno a un eroe nazionale molto amato era visto come un’opportunità per rilanciare l’immagine dell’ente spaziale, nell’ottica di ottenere più risorse dal Congresso per le missioni.

A 36 anni di distanza dal suo primo e unico volo nello Spazio, nel 1998 John Glenn salì a bordo dello Space Shuttle Discovery per la missione STS-95: aveva 77 anni e con lui c’erano cinque altri astronauti. Rimase in orbita per quasi 10 giorni, vedendo innumerevoli albe e tramonti in più rispetto a quelle osservate nel 1962 nella sua angusta Friendship 7, lanciata per fare concorrenza all’Unione Sovietica. Se all’epoca gli avessero raccontato che nel 1998 sarebbe stato ancora vivo, che avrebbe viaggiato nello Spazio su un’astronave che atterra come un aeroplano e che nello stesso anno sarebbe stato portato in orbita il primo modulo di una stazione spaziale costruita dalla NASA in collaborazione con i russi, non ci avrebbe creduto. Forse.