Parliamo dei medici obiettori

Anna Momigliano ha raccolto su Studio un po’ di dati e storie, e non è solo una questione di coscienza

(ANSA/CIRO FUSCO/DRN)
(ANSA/CIRO FUSCO/DRN)

A partire dal caso della donna di Catania incinta di due gemelli morta dopo un aborto spontaneoAnna Momigliano ha scritto su Studio dei medici obiettori, quelli che per ragioni etiche si rifiutano di eseguire certi tipi di operazioni (come gli aborti, per esempio) e che in Italia negli ultimi anni sono diventati sempre di più, con conseguenti problemi soprattutto per le donne a cui spesso è negata l’applicazione della legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza.

La vicenda di Valentina Milluzzo, la giovane donna incinta morta lo scorso 29 settembre all’ospedale Cannizzaro di Catania, ha riacceso i riflettori sull’obiezione di coscienza nella sanità pubblica italiana. Quello dei ginecologi che si dichiarano obiettori è un fenomeno in crescita, che nell’ultimo decennio è passato dall’interessare il 58 per cento al 70 per cento dei medici; che non trova paragoni in altri Paesi europei simili all’Italia (in Francia e Gran Bretagna, dove esiste una clausola di coscienza simile, se ne avvale il dieci per cento dei medici). Molte cose sono state dette e scritte sulle implicazioni di questa tendenza per la salute delle donne e sul fatto che, nelle regioni dove il tasso è più alto, rischia di mettere a repentaglio l’applicazione della legge 194/78, quella che ha legalizzato l’interruzione di gravidanza. Forse però si è riflettuto un po’ meno sulle origini di questi numeri: come mai ci sono così tanti obiettori in Italia? E perché stanno aumentando? Abbiamo fatto una piccola indagine: quello che ne è emerso è che, in molti casi, l’obiezione di coscienza non dipende dalla coscienza, ma da un sistema che in alcuni casi si limita ad incentivarla, e in altri arriva a renderla una scelta quasi obbligata. C’è stato un cortocircuito, insomma: quella che era stata concepita come una clausola originariamente pensata per salvaguardare la sensibilità morale degli operatori sanitari convintamente “pro-life”, evitando di costringerli a fare qualcosa di contrario ai loro principi, ha contribuito a creare una situazione dove essere non obiettori finisce per complicarti la vita e la carriera, il risultato è che diventano obiettori anche i medici che non sono contrari all’aborto.

Una premessa d’obbligo: il caso specifico di Catania è difficile da giudicare, anche perché le ricostruzioni finora circolate sono state fumose e a tratti contraddittorie, e non è ancora chiaro quale sia il nesso con l’obiezione di coscienza, sebbene la famiglia di Valentina Milluzzo insista su questo punto. La giovane donna, incinta di due gemelli e al quinto mese di gravidanza, è deceduta a causa di setticemia a seguito di un aborto spontaneo (dunque non un’interruzione volontaria di gravidanza): secondo i familiari, si sarebbe potuta salvare se i medici fossero intervenuti inducendo le contrazioni quando i due feti erano ancora vivi (ma già condannati), onde bloccare l’infezione. Sempre nella loro versione, il ginecologo di turno si sarebbe rifiutato di intervenire in quanto obiettore perché fino a che «il cuore del feto batte non posso fare niente». Al momento è aperta un’indagine che coinvolge dodici tra medici e altro personale e gli ispettori del ministero della Salute hanno dichiarato che «l’obiezione non c’entra». La 194/78, infatti, permette ai medici obiettori di non effettuare interruzioni di gravidanze volontarie; ma nessuna legge permette loro di non curare donne che stanno vivendo un aborto spontaneo o che soffrono per complicanze legate a un aborto volontario effettuato da un altro medico; né la legge permette di non intervenire quando la vita della donna è in pericolo immediato, anche se questo implica fare del male a un feto.

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