• Mondo
  • Venerdì 21 ottobre 2016

In Venezuela è sempre peggio

La Commissione elettorale ha sospeso il referendum sul presidente Nicolás Maduro e rinviato le elezioni dei governatori, mentre la grave crisi economica continua

(AP)
(AP)

La Commissione elettorale del Venezuela ha sospeso l’organizzazione della nuova fase del referendum per ottenere le dimissioni del presidente socialista Nicolás Maduro, accusato dall’opposizione di essere il primo responsabile della grave crisi economica che sta interessando il paese e delle pesanti limitazioni alle libertà civili e di stampa. La sospensione è stata decisa in seguito ad alcune sentenze di tribunali locali, che avevano messo in dubbio la regolarità delle procedure per richiedere il referendum. La stessa Commissione nei giorni scorsi ha rinviato le elezioni dei governatori in alcuni stati della federazione venezuelana, spostandole dal prossimo dicembre a una data da definirsi nel 2017, secondo l’opposizione per dare più tempo al governo di organizzare la sua campagna elettorale. Intanto nel paese continuano a mancare cibo e medicinali, con milioni di famiglie in difficoltà e con i costi dei consumi sempre più alti a causa dell’inflazione fuori controllo.

Referendum
Nicolás Maduro è al governo del Venezuela dal 2013, anno in cui morì Hugo Chávez, ed è considerato dai partiti di opposizione come il primo responsabile della profonda crisi economica del paese, e per questo da tempo ne chiedono l’allontanamento e nuove elezioni. Nei mesi scorsi le opposizioni hanno raccolto circa 200mila firme, pari all’1 per cento di quelle degli aventi diritto al voto nei 24 stati che formano il Venezuela, necessarie per avviare le pratiche per la richiesta di un referendum sul capo dello stato. Da settimane, chiedevano alla Commissione di prendere in considerazione questa richiesta e di ottenere il permesso per avviare la seconda fase della petizione, nella quale sono previsti tre giorni di tempo per raccogliere il 20 per cento delle firme degli aventi diritto al voto, circa 4 milioni di persone, per avere i numeri necessari per chiedere il referendum vero e proprio sulla rimozione del presidente. A questa consultazione, le opposizioni avrebbero dovuto ottenere più voti di quanti ne ottenne Maduro quando fu eletto presidente nel 2013, quindi più di 7,59 milioni.

Nelle ultime settimane, la Commissione elettorale ha temporeggiato a lungo, in modo da potere poi dire che non ci sarebbe stato tempo per tenere il referendum entro fine anno. Ieri, giovedì 20 ottobre, ha fatto ulteriormente intendere che i tempi per la consultazione saranno ancora più lunghi sospendendo l’avvio della seconda fase per la raccolta delle firme. Le opposizioni chiedevano che il referendum fosse indetto prima del 10 gennaio 2017, perché questo avrebbe permesso di tenere subito nuove elezioni presidenziali: oltre quella data, il mandato presidenziale di Maduro entrerà negli ultimi suoi due anni e in questo caso la legge prevede che sia il vicepresidente (che sta con Maduro) a proseguire l’attività del governo nel caso di una vittoria delle opposizioni al referendum. Salvo ulteriori sviluppi, con la sospensione decisa ieri la Commissione ha di fatto chiuso la possibilità che in Venezuela ci possano essere elezioni prima della naturale scadenza della legislatura nel 2019.

Unità Nazionale, la principale coalizione dei partiti di opposizione a Maduro, ha commentato la decisione della Commissione dicendo che il Venezuela ha “un governo di ladri che usano il loro potere per autosostenersi, mentre nelle strade il popolo chiede la loro fine, e nessuno ci fermerà”. Henrique Capriles, che per due volte ha concorso alle elezioni presidenziali venendo sconfitto prima da Chávez (2012) e poi da Maduro (2013), ha detto che “il governo sta seguendo una strada pericolosa mentre la crisi continua a peggiorare”. Oggi su Twitter, Capriles ha reso noto un provvedimento giudiziario nei suoi confronti e di altri esponenti delle opposizioni, cui è stato vietato di lasciare il Venezuela nei prossimi giorni, senza dare molte altre spiegazioni.

Elezioni rinviate
La sospensione della seconda fase del referendum è arrivata a poche ore di distanza da un’altra decisione della Commissione elettorale, molto contestata, che ha rinviato al 2017 le elezioni dei governatori che si sarebbero dovute tenere il prossimo dicembre. Il presidente della Commissione, Tibisay Lucena (considerato molto vicino a Maduro), non ha fornito spiegazioni per il rinvio e nemmeno una data definitiva per le elezioni nel 2017. Il mandato dei 23 governatori sarebbe dovuto scadere nei primi giorni di gennaio, da qui la decisione iniziale di tenere le elezioni a dicembre.

Secondo i partiti di opposizione, il rinvio è stato deciso per dare più tempo al governo di Maduro di recuperare consensi tra la popolazione, dopo gli ultimi mesi disastrosi soprattutto sul piano economico. Unità Nazionale ha detto che la decisione “è un altro passo pericoloso del regime che ormai agisce chiaramente fuori dalla Costituzione”. A inizio settimana Maduro ha inoltre annunciato che i partiti di opposizione devono rinnovare il loro status legale, registrandosi nuovamente presso la Commissione elettorale se vorranno partecipare alle elezioni dell’anno prossimo, in caso contrario “le elezioni dei governatori arriveranno e parteciperemo (da soli), è uno scenario reale, possibile e probabile”.

Economia
La crisi economica che sta interessando il Venezuela dura ormai da anni con evidenti conseguenze per la popolazione e l’incapacità del governo di fornire servizi essenziali, da quelli sanitari all’erogazione dell’energia elettrica con continui blackout in molte città del paese. Ieri il Parlamento stava discutendo una nuova legge per regolamentare il settore energetico quando l’aula è rimasta completamente al buio a causa di un blackout, con un parlamentare dell’opposizione che ha colto l’occasione per dire nel suo discorso: “La realtà di ciò che sta avvenendo nel paese ha colpito in faccia il governo”. In seguito la sessione è stata sospesa.

Le cause della crisi economica sono molteplici, ma tra le principali c’è l’attuale prezzo molto basso del petrolio a livello globale: il Venezuela è uno dei principali esportatori petroliferi al mondo e fatica a ottenere dalle vendite ricavi sufficienti per mantenere i conti in ordine. A causa dell’inflazione i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati notevolmente, tanto da spingere il governo a imporre il controllo dei prezzi nei negozi. Bloomberg segnala però che da qualche mese le autorità non effettuano più controlli, cosa che da un lato ha permesso ai negozi di rifornirsi più liberamente di prodotti alimentari, ma che dall’altro ha portato ad aumenti tali dei prezzi da rendere impossibili gli acquisti per la maggior parte della popolazione.

Il governo ha imposto ai fornitori degli alimentari di vendere metà dei loro prodotti a un prezzo fisso al sistema di distribuzione gestito direttamente dallo stato (CLAP), mentre il resto può essere venduto privatamente a qualsiasi prezzo senza limitazioni. In questo modo si è creato un sistema doppio di distribuzione: da un lato ci sono CLAP e negozi regolamentati dal governo con prodotti acquistati con un tasso di cambio preferenziale di 10 bolivar per dollaro; dall’altro c’è il settore totalmente privato che si basa su un tasso di cambio di 600 bolivar per dollaro, e che spesso ricorre al mercato nero con prezzi ancora più alti.

A causa della crisi e di politiche economiche spregiudicate da parte del governo venezuelano, il costo della vita continua ad aumentare. Il costo mensile dei beni necessari per sfamare una famiglia di 5 persone ha raggiunto i 263mila bolivar ad agosto, un aumento del 658 per cento rispetto ad agosto 2015. Il tasso annuale di inflazione per alcuni beni alimentari ha superato il 2mila per cento, ma avere dati certi sull’inflazione è praticamente impossibile perché quest’anno l’ufficio di statistica del Venezuela non ha pubblicato nessuna informazione in merito. Secondo gli analisti di Bloomberg, il tasso d’inflazione annuale potrebbe essere compreso in un ampio margine tra il 220 e il 1.500 per cento.