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  • Martedì 2 agosto 2016

Le prigioni europee e gli islamisti radicali

In Europa si sta discutendo su dove tenere i detenuti accusati di terrorismo: c'è il rischio che reclutino altri carcerati ma le soluzioni trovate finora hanno diversi problemi

Alcune celle nel carcere Fleury-Mérogis, a sud di Parigi (AFP PHOTO / ERIC FEFERBERG
Alcune celle nel carcere Fleury-Mérogis, a sud di Parigi (AFP PHOTO / ERIC FEFERBERG

Negli ultimi mesi in Europa il terrorismo di ispirazione islamista è diventato un enorme problema di sicurezza. Centinaia di persone accusate di essere coinvolte in qualche maniera in attività terroristiche sono state arrestate, e altrettante sono sotto la sorveglianza delle agenzie antiterrorismo dei vari paesi europei. Un problema collegato alle attività antiterrorismo – che coinvolge soprattutto il Belgio e la Francia, due paesi da cui sono partiti centinaia di miliziani per unirsi allo Stato Islamico (o ISIS) in Siria e in Iraq – riguarda le prigioni dove tenere gli arrestati e i condannati: il rischio è che gli islamisti radicali accusati di terrorismo facciano proselitismo e spingano altri detenuti a “radicalizzarsi”. Non sarebbe un fenomeno nuovo: una cosa del genere era già successa nelle prigioni americane in Iraq – da cui sono usciti diversi leader dello Stato Islamico, per esempio – e sta succedendo di nuovo in Europa.

I terroristi radicalizzati nelle prigioni francesi e belghe
Partiamo dall’ultimo caso: Adel Kermiche, il 19enne francese che la scorsa settimana ha partecipato all’attacco contro la chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray (Normandia), era stato rilasciato di recente dalla prigione francese di Fleury-Mérogis, un carcere di massima sicurezza a sud di Parigi. Kermiche aveva scritto su Telegram di avere trovato la sua “guida spirituale” nella prigione di Fleury-Mérogis: ne parlava come dello “sceicco” che gli “aveva dato alcune idee”. Nello stesso carcere si trova ora Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto tra gli attentatori di Parigi. Quando è entrato per la prima volta a Fleury-Mérogis, Abdeslam è stato accolto da alcuni detenuti come “un messia”, ha raccontato una guardia carceraria al Wall Street Journal. Lo stesso Abdeslam si era radicalizzato in carcere: fu arrestato nel 2010 per avere tentato di rubare un’auto e in cella conobbe Abdelhamid Abaaoud, considerato l’uomo che ha progettato gli attentati di Parigi.

Ci sono altri precedenti, oltre ai casi di Kermiche e Abdeslam: per esempio c’è quello di Mohamed Merah, il 23enne francese che nel 2012 uccise sette persone a Tolosa, in Francia. Merah era stato arrestato per avere tentato di rubare la borsa a una signora: quando entrò in prigione «era solo un bambino che batteva i pugni contro la porta della sua cella e urlava per la sua PlayStation», ha raccontato una guardia carceraria che lo conosceva; ma ne uscì radicalizzato. La polizia francese sta indagando anche su Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l’uomo che il 14 luglio ha investito la folla sul lungomare di Nizza uccidendo 84 persone. Bouhlel non aveva precedenti che lo potessero legare al terrorismo, ma ora gli investigatori credono che possa essersi radicalizzato anche lui in prigione. Un altro caso è quello di Amedy Coulibaly, l’uomo ucciso a Parigi dopo avere preso degli ostaggi in un supermercato kosher (nei giorni dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo). Coulibaly raccontò a un giornalista francese di essersi interessato all’Islam in prigione: il suo mentore era stato Djamel Beghal, un reclutatore di al Qaida che stava scontando dieci anni di carcere per terrorismo. Nella stessa prigione Coulibaly aveva incontrato i due fratelli Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo.

Come sono cambiate le carceri francesi
Nel 2015 un’agenzia del governo francese è stata incaricata di verificare la situazione delle carceri nazionali: il risultato è stato descritto come “sbalorditivo”. All’interno delle carceri, ha detto il rapporto, i radicali islamisti hanno cominciato ad agire come una specie di “aristocrazia”: dettano le regole agli altri detenuti, per esempio gli vietano di fare la doccia nudi, di ascoltare musica e in alcune celle di guardare le partite di tennis femminile in televisione. Riescono anche a comunicare con il mondo esterno abbastanza facilmente attraverso dei telefoni cellulari entrati illegalmente in prigione (il rapporto dice che uno sfondo frequente impostato su questi telefoni è la bandiera dello Stato Islamico).

Nel rapporto si parla anche di una prigione francese in cui dieci detenuti con accuse legate al terrorismo sono riusciti a reclutare altri venti prigionieri che non avevano alle spalle alcuna storia di radicalizzazione. In altri casi gli islamisti radicali hanno costretto le donne in visita al carcere a cambiare abbigliamento e indossare lo hijab.

Le soluzioni trovate finora
Sia in Francia che in Belgio le autorità stanno valutando se separare i detenuti accusati di terrorismo dagli altri, per evitare ulteriori casi di radicalizzazione. Le soluzioni trovate per ora sono due: o tenere in isolamento i detenuti più pericolosi, ma è una decisione facilmente contestabile, se presa per un lungo periodo e non sostenuta da prove gravi e definitive; oppure radunare i radicali islamisti in spazi creati appositamente.

In Belgio sono state risistemate due prigioni, all’interno delle quali sono stati creati dei settori di detenzione per persone radicalizzate (finora ciascuna struttura può ospitare solo venti prigionieri di questo tipo). Il governo belga, ha scritto il Wall Street Journal, si sta muovendo con molta cautela per evitare che si crei un “nuovo Guantanamo”: la portavoce del ministro della Giustizia belga, Sieghild Lacoere, ha spiegato che gli unici detenuti mandati nelle due strutture sono quelli che vengono scoperti durante l’attività di reclutamento di altri detenuti. Questo approccio si basa molto su terapie di “de-radicalizzazione”, ovvero programmi che hanno l’obiettivo di reintegrare i soggetti radicali nella società: includono ad esempio incontri tra i detenuti e imam con posizioni moderate che tentano di far passare un’interpretazione dell’Islam diversa da quella radicale dei gruppi jihadisti e terroristi. Le terapie di “de-radicalizzazione” sono sostenute da molti, ma di recente hanno anche ricevuto delle critiche, soprattutto in Germania, il paese che ne fa più uso.

Anche in quattro carceri della Francia sono partiti i programmi di de-radicalizzazione. E anche in Francia è stata criticata la scelta di dividere gli islamisti radicali dal resto dei detenuti; le controindicazioni sono state sintetizzate efficacemente da un agente dell’antiterrorismo francese sentito dal Wall Street Journal: «Stiamo mettendo insieme terroristi che non si conoscono tra loro e appartengono a gruppi diversi, e li stiamo aiutando a creare solidi e impenetrabili legami».