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  • Venerdì 29 luglio 2016

Hillary Clinton vuole prendersi tutto

L'intera ultima serata della convention dei Democratici – e il discorso della loro candidata – è servita a invitare gli elettori indipendenti e Repubblicani a mollare Trump

di Francesco Costa – @francescocosta

Hillary Clinton. (AP Photo/Andrew Harnik)
Hillary Clinton. (AP Photo/Andrew Harnik)

La convention del Partito Democratico statunitense si è conclusa giovedì a Philadelphia con il discorso della candidata del partito alle elezioni presidenziali, Hillary Rodham Clinton, la prima donna candidata da un grande partito americano alla presidenza degli Stati Uniti, alle elezioni che si terranno il prossimo 8 novembre. L’intera ultima giornata, e così anche il discorso di Clinton, sono state un tentativo evidente di attrarre gli elettori moderati, indipendenti e Repubblicani, e cercare di trasformare questa campagna elettorale non in una lotta tra Hillary Clinton e Donald Trump, il controverso candidato dei Repubblicani, ma in una lotta tra Trump e l’America (Politico l’ha messa così: “luce contro buio, bene contro male”).

L’ultima giornata di lavori è cominciata con un piccolo evento – per la prima volta una persona transgender ha parlato a una convention di un grande partito americano, Sarah McBride – e ha avuto la sua dose di star: hanno cantato Carole King e Katy Perry, ha fatto un breve discorso l’attrice Chloe Moretz e un altro l’ex cestista Kareem Abdul-Jabbar. Per il resto, però, è stata interamente dedicata a trasformare questa elezione in un referendum su Donald Trump. A un certo punto l’intero palazzetto si è riempito di bandiere americane e cartelli con scritto “USA”, mentre i delegati cantavano “USA! USA!”, una scena da convention dei Repubblicani (e infatti moltissimi opinionisti e politici conservatori hanno scritto su Twitter cose tipo: con Trump ci siamo fatti rubare anche questa). La cosa interessante è che questo tentativo è stato portato avanti senza spostare la linea politica a destra – durante la convention il Partito Democratico ha adottato il programma più di sinistra degli ultimi decenni, anche grazie ai delegati di Bernie Sanders – ma rubando agli avversari il registro del patriottismo e dell’ottimismo.

Innanzitutto hanno parlato una serie di pezzi grossi del partito accomunati da una caratteristica comune: avere dimestichezza nel rivolgersi con efficacia al segmento di elettori con cui Hillary Clinton sta facendo più fatica – i maschi bianchi con un basso titolo di studio – e agli elettori degli stati del Midwest, che sono per Trump un punto di forza nonché l’unica strada politicamente plausibile per mettere insieme i 270 grandi elettori necessari l’8 novembre per vincere le elezioni. Hanno parlato quindi Andrew Cuomo, governatore di New York; Tim Ryan, deputato dell’Ohio; John Hickenlooper, governatore del Colorado; Tom Wolf, governatore della Pennsylvania; Jennifer Granholm, ex governatrice del Michigan; Sherrod Brown, senatore dell’Ohio. Il discorso migliore tra questi è stato probabilmente quello di Brown, che era stato anche preso in considerazione per fare il vicepresidente, ha posizioni di sinistra vicine a quelle di Sanders ma allo stesso tempo è popolare in quello che è lo stato politicamente “in bilico” per eccellenza.

In una convention che negli scorsi giorni aveva già usato le parole di Mitt Romney e John McCain, i candidati Repubblicani del 2012 e del 2008, per attaccare Donald Trump – un fatto praticamente inedito nella politica americana – i lavori sono proseguiti con un discorso pro-Clinton di Doug Elmets, ex funzionario dell’amministrazione di Ronald Reagan, e con i due momenti emotivamente più potenti della giornata: gli interventi pro-Clinton della sceriffa di Dallas, Lupe Valdez, con i parenti di quattro dei cinque poliziotti uccisi l’8 luglio, e soprattutto quello dei genitori di Humayun Khan, un soldato americano e musulmano morto in Iraq gettandosi sopra una granata per salvare degli altri soldati.

Mentre tutto il palazzetto ascoltava in silenzio, suo padre Khizr Khan ha detto:

«Siamo onorati di essere qui in quanto genitori del capitano Humayun Khan, e in quanto americani musulmani patriottici e leali al nostro paese. Come molti immigrati, siamo arrivati qui a mani vuote. Credevamo nella democrazia americana: credevamo che lavorando duro, grazie alla bontà di questo paese, avremmo potuto condividere e partecipare alle sue fortune. Nostro figlio sognava di diventare un avvocato militare. Ma ha messo quei sogni da parte il giorno che si è sacrificato per salvare i suoi compagni. Hillary Clinton ha definito mio figlio “il meglio che abbia prodotto l’America”. Fosse stato per Donald Trump, non ci sarebbe mai stato in America»

Poi ha tirato fuori dalla tasca una copia della Costituzione, mentre tutti ascoltavano in piedi e molti erano commossi. «Donald Trump, tu chiedi agli americani di affidarti il loro futuro. Lascia che io ti chieda una cosa: hai mai letto la Costituzione? Ti presto volentieri la mia copia. Cerca le parole “libertà” e “uguale protezione delle leggi”. Sei mai stato al cimitero di Arlington? Vai a vedere le tombe dei coraggiosi patrioti che sono morti per difendere l’America: troverai tutte le fedi, tutti i sessi, tutte le etnie. Tu non hai sacrificato mai niente per nessuno».

Subito dopo ha parlato l’ex generale John Allen, che da due anni è il responsabile della lotta contro l’ISIS alla Casa Bianca. Circondato da decine di alti funzionari militari, Allen ha fatto un altro discorso di quelli che si sentono molto raramente a una convention dei Democratici – duro e “militaresco” – accusando Donald Trump di essere inadeguato a guidare l’esercito del paese e incapace di relazionarsi con gli alleati e sconfiggere gli avversari del paese.

Il discorso finale e più atteso della convention è stato introdotto da un video realizzato da Shonda Rhimes e Betsy Beers, produttrici e ideatrici di serie tv popolari come Scandal, How To Get Away With Murder e Grey’s Anatomy, con voce narrante di Morgan Freeman.

Dopo una prima parte un po’ fiacca, il discorso di Hillary Clinton è migliorato molto nella seconda parte, quando ha cominciato a spiegare perché gli americani dovrebbero votare per lei e non per Donald Trump.

«Non credete a nessuno che dica “Solo io posso sistemare le cose”. Queste sono le cose che ha detto testualmente Donald Trump a Cleveland. Davvero? “Solo io posso sistemare le cose”? Non si sta dimenticando qualcuno? I soldati al fronte. I poliziotti e i pompieri che corrono incontro ai pericoli. I medici e gli infermieri che si prendono cura di noi. Gli insegnanti che cambiano le nostre vite. Gli imprenditori che vedono opportunità in ogni problema. Le madri che hanno perso i loro figli a causa della violenza e hanno costruito un movimento. Sta dimenticando tutti noi. Gli americani non dicono: “Solo io posso sistemare le cose”. Gli americani dicono: “Le sistemeremo insieme”»

Poi Clinton ha affrontato direttamente i suoi problemi di popolarità e immagine, e le accuse di essere fredda o da troppo tempo vicina al potere.

«A volte chi parla da questo podio è una novità politica. Come sapete io non lo sono. Sono stata la vostra first lady. Ho prestato servizio per otto anni come senatrice dello stato di New York. Mi sono candidata alla presidenza e ho perso. Poi vi ho rappresentati come segretario di Stato. Ma i miei incarichi vi dicono solo quello che ho fatto. Non vi dicono perché. La verità è che in tanti anni di servizio pubblico, la parte di “servizio” mi è sempre venuta meglio della parte “pubblica”. Lo so che molte persone non sanno cosa pensare di me. Allora lasciate che vi racconti qualcosa»

Clinton ha raccontato un po’ della sua vita e delle sue origini, ha parlato dell’importanza della sua candidatura per tutte le donne del paese – madri, nonne, figlie, nipoti – e poi ha affrontato un altro dei suoi punti deboli: l’essere considerata “secchiona” (i suoi speechwriter scherzano spesso sul fatto che tolga tutta la poesia dalle bozze dei discorsi, e che fosse per lei la famosa frase “If you see something, say something” sarebbe “If you see something, alert the proper authorities”).

«È vero, sono fissata con i dettagli delle politiche. Che si tratti dei livelli di contaminazione dell’acqua di Flint, in Michigan, del numero delle strutture per chi ha malattie mentali in Iowa, o del costo dei farmaci. Perché non sono dettagli se si tratta di vostro figlio o della vostra famiglia. Contano molto. E dovrebbero contare molto anche per il vostro presidente».

Poi ha affrontato il tema della rabbia degli elettori e ha invitato gli elettori arrabbiati, e quindi più propensi a votare per Trump, a prendere in considerazione la sua candidatura.

«Alcuni di voi sono frustrati, furiosi. E sapete che c’è? Avete ragione. Le cose non vanno come dovrebbero. Gli americani vogliono lavorare e lavorare duro. Ma oggi moltissime persone sentono che ci sia sempre meno rispetto per il lavoro che fanno. E meno rispetto per loro. Il Partito Democratico è il partito dei lavoratori. Ma non siamo stati bravi abbastanza da mostrare che capiamo il momento che state passando e che ce ne occuperemo»

Clinton ha poi elencato una serie di proposte economiche concrete per rispondere a queste esigenze – un grande piano di investimenti in infrastrutture, l’estinzione dei debiti degli studenti e i college pubblici gratuiti, interventi per rendere più facile ottenere un prestito dalle banche – ed è passata poi alla politica estera, descrivendo il suo piano contro l’ISIS, accusando Trump di non aver mai fatto altrettanto (Trump rivendica di tenere il suo piano segreto perché vuole essere «imprevedibile») e dicendo:

«Chiedetevi: Donald Trump ha il carattere adatto per fare il presidente? Donald Trump non sa gestire nemmeno le pressioni di una campagna elettorale. Perde la calma alla minima preoccupazione. Perde la calma se un giornalista gli fa una domanda impegnativa. Se un candidato lo sfida in un dibattito. Se un manifestante lo contesta. Immaginatelo nello Studio Ovale alle prese con una vera crisi. Un uomo che puoi fare sbroccare con un tweet non è un uomo che dovrebbe maneggiare armi nucleari»

Clinton ha concluso il suo discorso argomentando e ampliando quello che – dopo altri vari tentativi andati a vuoto – è diventato lo slogan e il tema della sua campagna elettorale, ripetuto praticamente da tutti gli speaker di Philadelphia: stronger together, più forti insieme.

Più di una volta anche io sono caduta e mi sono rialzata. L’ho imparato da mia madre. Non accettava che mi arrendessi mai. Una volta cercai di nascondermi a casa da un bullo del quartiere. Lei bloccò letteralmente la porta: «Vai lì fuori», mi ha detto. E aveva ragione. Bisogna tenere testa ai bulli. Bisogna darsi da fare per migliorare le cose, anche quando è difficile. Mia madre è morta alcuni anni fa. Mi manca ogni giorno. E sento ancora la sua voce invitarmi a darmi da fare, sempre. È quello che dobbiamo fare, come paese. Forse “non vivremo abbastanza da vedere la gloria”, come dice il musical Hamilton, ma “lasciate che ci uniamo in battaglia”. Che il nostro lascito sia “piantare dei semi in un giardino che non vedremo mai”.

Per questo siamo qui: non in questa sala ma su questo pianeta. I Padri Fondatori ce lo hanno mostrato, e così molti altri dopo di loro. Si riunirono per amore di questo paese e per la passione del costruire insieme qualcosa per chi sarebbe arrivato dopo di loro. Questa è la storia dell’America. E oggi ne cominciamo un nuovo capitolo. Sì, il mondo ci sta guardando. Sì, il nostro destino è nelle nostre mani. Quindi cerchiamo di essere più forti insieme. Guardiamo al futuro con coraggio e fiducia. Costruiamo un domani migliore per i nostri figli e per il nostro paese. Quando lo faremo, l’America sarà grande come non è mai stata»