Il controverso studio sulle violenze della polizia americana contro i neri
Lo ha fatto uno stimato studioso nero, dice che i neri vengono trattati peggio ma uccisi quanto gli altri, e la cosa ha aperto molte discussioni
Negli ultimi giorni in diverse città degli Stati Uniti ci sono state proteste contro le violenze della polizia sui neri. Le proteste sono state organizzate, tra gli altri, dal movimento Black Lives Matter, dopo le uccisioni di Philando Castile e Alton Sterling e anche dopo la successiva strage di Dallas. Sono comunque mesi (anni, anzi) che negli Stati Uniti si parla dei metodi sproporzionati utilizzati dalla polizia soprattutto contro i neri. Lunedì 11 luglio il New York Times ha raccontato, accompagnandolo comunque con molte precauzioni, un nuovo studio in cui si afferma che gli uomini e le donne non bianche – soprattutto neri o ispanici – hanno maggiori probabilità rispetto ai bianchi di essere trattati in modo duro e severo dalla polizia quando vengono fermati, ma anche che questa disparità non emerge dai dati rispetto all’uso delle armi da parte della polizia. Insomma, secondo questo studio non è vero che i poliziotti sparino più ai neri che ai bianchi. Lo studio ha aperto una grossa discussione, e sembra mettere in discussione una percezione piuttosto diffusa.
Cosa dice lo studio
L’autore del nuovo studio è Roland G. Fryer Jr., giovane e stimato professore di economia ad Harvard, che è nero. Ha detto che la rabbia per la morte di Michael Brown, Freddie Gray e altri lo ha spinto a studiare la questione («Protestare non è il mio genere di cosa, io mi occupo di dati»).
Fryer ha esaminato 1.332 sparatorie avvenute tra il 2000 e il 2015 in 10 grandi dipartimenti di polizia di Texas, Florida e California. Le informazioni più dettagliate, che hanno portato alle conclusioni poi contestate, le ha ottenute dalla polizia di Houston. Lui e i suoi ricercatori si sono basati sull’analisi dei verbali della polizia e sulle risposte degli agenti fornite nei resoconti a domande come: “Quanti anni aveva il sospettato?”, “Quanti poliziotti erano sulla scena?”, “Erano per lo più bianchi?”, “Si trovavano lì per una rapina, un’attività violenta, un blocco del traffico o qualcos’altro?”, “Era notte?”, “L’ufficiale ha sparato dopo essere stato attaccato o prima di un eventuale attacco?”. Fryer dice che quello che ha scoperto «è il risultato più sorprendente di tutta la sua carriera».
La ricerca conferma che gli uomini neri e le donne nere vengono trattati in modo diverso quando hanno a che fare con le forze dell’ordine (che al 90 per cento sono composte da bianchi): e cioè che è molto più facile che vengano perquisiti, ammanettati, intimiditi o spinti a terra rispetto ai bianchi, anche quando non sono armati o si dimostrano collaborativi. Ma quando si tratta di sparatorie, cioè di un uso estremo della forza da parte degli agenti, la ricerca – facendo riferimento alla città di Houston – dice che non agisce alcun particolare pregiudizio razziale: bianchi e neri vengono uccisi con la stessa frequenza, i neri avrebbero semmai meno probabilità rispetto ai bianchi di essere colpiti con un’arma da fuoco e nei casi esaminati la polizia ha fatto ricorso a un uso estremo della forza senza prima essere stata attaccata soprattutto quando i sospettati erano bianchi.
Precisazioni, cautele e critiche
Lo stesso Fryer, nel presentare la ricerca, ha precisato che non si tratta di un’analisi definitiva e che sarebbero necessari molti più dati per capire la situazione nel suo insieme. Il lavoro si concentra solo su quello che accade dopo che la polizia ha fermato i sospettati, e non per esempio sul rischio stesso di essere fermati: e altre ricerche hanno infatti dimostrato che i neri hanno più probabilità di essere fermati rispetto ai bianchi.
Il New York Times aggiunge anche che i risultati potrebbero non valere per altre città, e che comunque non smentiscono la percezione diffusa del razzismo all’interno della polizia: l’uso letale della forza da parte degli agenti, tra l’altro, è estremamente raro. Negli anni considerati da Fryer ci sono stati 1,6 milioni di arresti a Houston e gli agenti hanno sparato 507 volte. L’uso non letale della forza è invece molto più comune e in questi casi Fryer ha confermato una serie di differenze razziali che corrispondono sia alla percezione comune che ad altri numerosi studi in materia.
Lo studio di Fryer, scrive poi il Guardian, utilizza campioni di dati molto piccoli e porta a «conclusioni semplicistiche». Il Guardian dice anche che ci sono altre gravi carenze nella ricerca: «Per comprendere l’uso letale della forza, Fryer ha esaminato i rapporti della polizia di una sola città: Houston. Lì ha scoperto che i neri avevano o meno probabilità di essere colpiti da un agente o che non c’era alcuna differenza tra neri e bianchi. Anche se i dati di Houston erano accurati, non è certo la città più rappresentativa del paese». Lo studio poi tratta i rapporti di polizia come fonti imparziali, che presuppongono che tutti gli agenti abbiano preso decisioni giuste e oggettive circa l’uso letale della forza.
Lo studio, infine, non è stato sottoposto a “peer review”, cioè a una revisione da parte di altri specialisti e studiosi per verificarne l’idoneità alla pubblicazione scientifica. E ci sono molti altri studi che arrivano a conclusioni diverse: un’indagine del Guardian stesso dice che nel 2015 le persone nere uccise dalla polizia negli Stati Uniti sono quasi il triplo rispetto alle persone bianche.
Anche altri analisti e il Washington Post, pur riconoscendo alla ricerca ricchezza e importanza, hanno fatto delle critiche molto simili a quelle del Guardian: la ricerca si basa, innanzitutto, sui resoconti della polizia «che raccontano solo una parte della storia» e che «potrebbero non essere del tutto accurati». Ci sono poi molti casi ben documentati di falsa testimonianza fornita da parte degli agenti e altri studi ancora mostrano come i poliziotti tendano a considerare i neri come persone più pericolose rispetto ai bianchi. Inoltre, per arrivare a una conclusione più accurata, lo studio dovrebbe mettere a confronto situazioni simili in cui sono coinvolti sospettati bianchi e sospettati neri per capire se nei due casi vengano effettivamente prese decisioni differenti. Non è chiaro infine, scrive il Washington Post, che cosa implichi questa ricerca in altri luoghi. Ciò che è vero per Houston («una grande città multiculturale») potrebbe non essere vero altrove.