Possiamo fidarci delle recensioni online?

Ormai le consultiamo per qualsiasi cosa, ma un nuovo studio dice che dovremmo tenerne meno conto (soprattutto su Amazon)

Da anni si discute di quale peso dare alle recensioni che si trovano online su prodotti, ristoranti, libri e film: uno dei primi importanti studi sul tema risale al 2007, quando già Amazon era molto diffuso negli Stati Uniti ma poco noto altrove. Oggi la questione è ancora più dibattuta, dato che le recensioni sono sempre più diffuse per qualsiasi prodotto e negozio e che diversi studi indicano che la stragrande maggioranza dei consumatori le tiene in gran conto. Un nuovo studio pubblicato due mesi fa dal Journal of Consumer Research, e riassunto dal New York Times, suggerisce per esempio che le recensioni su Amazon siano molto poco obiettive, se messe a confronto con le recensioni degli esperti di Consumer Reports, un’affidabile ONG che da decenni valuta in maniera indipendente i prodotti venduti negli Stati Uniti. Ma non c’è solamente un problema di discrepanza fra reale qualità del prodotto e percezione del cliente.

Un primo ordine di problemi è legato al pregiudizio di una parte degli utenti nei confronti di un certo prodotto. Su FiveThirtyEight, un sito di news americano che si occupa di statistica, un recente articolo ha mostrato per esempio che diversi utenti maschi di IMDb – uno dei siti più famosi che si occupano di cinema – tendono a dare voti più bassi della media ai film o alle serie tv rivolti principalmente a un pubblico femminile. Questa cosa nel tempo è diventata nota anche agli utenti di IMDb, pur senza basi scientifiche: se una commedia romantica ha un voto tra 6 e 7, probabilmente è una bellissima commedia romantica; se un film di fantascienza ha un voto tra 7 e 8, potrebbe essere un film mediocre che piace molto solo agli appassionati (soprattutto maschi). Gli studi su IMDb però lo confermano: Sex and the City, forse la più famosa serie tv rivolta perlopiù alle donne, ha un voto medio da parte degli utenti di IMDb di 7 su 10, inferiore di 0,3 punti rispetto alla valutazione media di una serie molto popolare. Andando più a fondo, si scopre però che le utenti donne hanno assegnato alla serie mediamente 8,1 punti, mentre gli utenti maschi – il 40 per cento di quelli che in totale hanno recensito la serie – solamente 5,8 punti.

C’è poi un problema di scarsi filtri alle recensioni: a meno che non scriva cose offensive, chiunque può commentare un ristorante su Tripadvisor, un film su Metacritic o un prodotto su Amazon a prescindere dalle competenze che ha sul tema o dalla sua reale esperienza, magari influenzata dal prezzo alto di un dato prodotto o dalla riconoscibilità del brand se non completamente inventata. Su Amazon in particolare, da tempo esiste poi il problema delle recensioni finte, cioè commissionate e pagate dai venditori per far apparire meglio il proprio prodotto: di recente Amazon ha detto di aver denunciato più di mille utenti che hanno preso soldi per postare recensioni false, e poche settimane fa ha fatto causa a tre rivenditori che hanno pagato dei commentatori per postare recensioni false.

Negli anni i siti che permettono di commentare e valutare negozi o prodotti hanno cercato di correggere alcuni problemi relativi alle recensioni cercando di non togliere a nessuno la possibilità di scriverne una. Amazon da anni pubblica una classifica dei propri recensori più apprezzati, alcuni dei quali sono diventati delle piccole celebrità. Anche Tripadvisor ha un meccanismo simile, mentre siti specialistici come Metacritic e Ratebeer – un sito che permette di valutare migliaia di birre da tutto il mondo, sia industriali sia artigianali – permettono di allegare al proprio voto una breve recensione scritta, che dovrebbe dare un’idea della competenza effettiva di chi scrive. Insomma, è vero che i gusti sono gusti, ma in teoria ci si dovrebbe fidare di più di un utente che assegna alla birra belga Stella Artois un voto medio, commentando «leggermente affumicata, dall’aroma chimico. Dolce, ma dimenticabile dopo un sorso», rispetto a un utente che le dà il voto massimo scrivendo: «Questa è la miglior birra che abbia mai bevuto. Hmmmmmmmmmmm… oh cavolo, ne vorrei una proprio ora!».

Le recensioni online hanno comunque guadagnato nel tempo uno spazio sempre più rilevante. Persino Google le ha integrate nelle sue ricerche, permettendo ai suoi utenti di lasciare un voto e una recensione ad esempio a negozi o locali. Yelp, la più importante app che negli Stati Uniti permette di valutare qualsiasi cosa, vale circa 3 miliardi di dollari. Per chi apre un’impresa di qualsiasi tipo, ottenere ottime recensioni può essere fondamentale: alla fine del 2014, sulla base di una segnalazione di Unione Nazionale Consumatori e Federalberghi, il garante italiano della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva multato Tripadvisor per 500mila euro perché non verificava l’autenticità dei giudizi postati sul proprio sito (la multa è stata poi annullata nell’estate del 2015). Secondo uno studio del 2015 della società di consulenza BrightLocal effettuata sul mercato nordamericano, il 92 per cento dei consumatori legge recensioni online prima di andare in un negozio – nel 2014 erano l’88 per cento – mentre la percentuale sale al 97 per cento per i consumatori che hanno un’età compresa fra 18 e 34 anni.

Lo studio sui commenti di Amazon riassunto dal New York Times ha invece preso in esame 344.157 recensioni di 1.272 prodotti di 120 categorie diverse. Gli autori della ricerca, che fanno parte della Leeds School of Business dell’università del Colorado, hanno rilevato che in metà dei casi un recensore di Amazon e il Consumer Reports non erano d’accordo su quale di due prodotti presi a caso fosse migliore dell’altro. Gli stessi autori hanno inoltre sottolineato una «discrepanza sostanziale» fra le valutazioni contenute nella recensione e il voto assegnato dallo stesso utente: in altre parole, sintetizza il New York Times, «un utente vede un numero – 4,6 stelline su 5 – e si fida molto di più di quanto dovrebbe».

Questa stortura produce risultati poco vantaggiosi per i consumatori, che magari si fidano distrattamente di alcune recensioni lette su Amazon, senza leggerle fino in fondo o capire da chi siano state scritte, e anche un po’ imbarazzanti per la stessa Amazon. Nella prima libreria fisica aperta da Amazon a Seattle, un’etichetta sotto alcuni libri segnala il voto che hanno assegnato a quel libro gli utenti di Amazon: un libro considerato oggettivamente un capolavoro come Lolita di Vladimir Nabokov ha 4,2 stelline su 5 – sul catalogo italiano sono ancora meno, 3,8 su 5 – cioè più o meno la stessa valutazione assegnata sullo store italiano all’edizione più popolare dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. A volte libri pubblicati autonomamente oppure da piccole case editrici ottengono voti più alti dei classici: Home is a Fire, il romanzo d’esordio dello scrittore Jordan Nasser, che racconta la storia di un ragazzo gay che vive a Manhattan che all’improvviso decide di tornare in Tennessee, dove è cresciuto, ha 4,9 stelline su 5: molto più di diversi classici della letteratura (su Goodreads, una specie di social network per appassionati di lettura, Home is a Fire ha 3,7 voti su 5).

Julie Law, una portavoce di Amazon, ha spiegato che «le recensioni dei clienti di Amazon riflettono l’opinione, i gusti e le perplessità di veri clienti, non di recensori professionisti. Ecco perché sono così potenti». Law ha spiegato che Amazon sta cercando di dare più risalto alle recensioni basate su oggetti effettivamente appena comprati, anche se per esempio ha detto che «non c’è nulla da aggiustare» nel sistema con cui vengono mostrati i libri nello store di Seattle.