L’amnistia di Togliatti, 70 anni fa

Voluta dall'allora leader del Partito Comunista, portò alla liberazione di migliaia di ex criminali fascisti subito dopo la guerra

(ANSA)
(ANSA)

Il 22 giugno del 1946, esattamente 70 anni fa, entrò in vigore la cosiddetta “amnistia di Togliatti”, che portò alla cancellazione di tutti i reati commessi fino al 18 giugno di quell’anno tranne quelli più gravi. Migliaia di ex membri del partito fascista e loro collaboratori furono liberati dalle carceri o furono esonerati dai loro processi. L’amnistia aveva preso il nome dal leader del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, all’epoca ministro della Giustizia. Lo storico Mimmo Franzinelli, nel suo libro “L’amnistia di Togliatti“, ha calcolato che circa 10 mila fascisti furono liberati.

Tra loro c’erano anche personaggi di primo piano del regime, i cosiddetti gerarchi che costituivano il cerchio ristretto di Benito Mussolini: alcuni, come Dino Grandi e Luigi Federzoni, erano rimasti fedeli a Mussolini soltanto fino al 1943, quando nella notte tra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò Mussolini. Altri, come Renato Ricci e Junio Valerio Borghese, avevano combattuto nelle fila della Repubblica di Salò accanto all’esercito tedesco che all’epoca occupava il nord Italia. Ma l’amnistia riguardò anche centinaia e centinaia di funzionari minori del regime, agenti della polizia segreta, informatori e capi del partito locale.

Ci furono proteste e insurrezioni in diverse città quando i tribunali liberarono personaggi locali particolarmente odiati. A Casale, un gruppo di ex fascisti rischiò di essere linciato e il governo inviò l’esercito e 12 carri armati per mantenere la situazione sotto controllo. Negli archivi personali di Togliatti si trovano decine di lettere e petizioni con cui ex partigiani e membri del partito protestavano contro l’amnistia e minacciavano addirittura di fare propaganda contro il partito se l’amnistia non fosse stata ritirata. L’aspetto più curioso, infatti, fu che l’amnistia fu scritta e promossa proprio dal leader del partito che più di tutti era stato perseguitato dal fascismo e che più duramente aveva lottato contro il regime. In tutte le fasi della Resistenza, i partigiani comunisti non furono mai meno della metà del totale dei combattenti: furono loro e i loro leader a catturare e fucilare Benito Mussolini, e lo fecero in maniera sbrigativa (ancora oggi gli storici discutono su chi esattamente diede l’ordine di uccidere l’ex dittatore, catturato vivo mentre cercava di fuggire in Svizzera).

La decisione di approvare un’amnistia fu presa all’unanimità dal governo di allora, presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, ma Togliatti, scrive Franzinelli nel suo libro, scrisse il testo dell’amnistia quasi da solo. La legge prevedeva che venisse escluso dal provvedimento chi aveva commesso reati particolarmente efferati, ma era scritta in modo tale da permettere moltissime eccezioni. Pochi giorni dopo la pubblicazione della legge, per esempio, furono liberati quattro membri della banda Koch, un gruppo di torturatori fascisti che per mesi a Roma aveva fatto praticamente quello che voleva.

Negli anni successivi Togliatti si giustificò dicendo che furono i magistrati ad aver applicato l’amnistia in modo troppo permissivo. In parte aveva ragione: numerosi magistrati erano rimasti al loro posto nonostante fossero compromessi con il fascismo (nella Suprema corte di cassazione sedevano magistrati che pochi anni prima facevano parte del Tribunale per la difesa della razza). Ma il fatto che la magistratura non fosse stata “de-fascistizzata” e che la legge fosse piena di buchi e scappatoie sono entrambe responsabilità di Togliatti. Storici come Franzinelli e Sergio Luzzatto hanno scritto in anni recenti che l’amnistia faceva parte di una precisa strategia di Togliatti e di parte della leadership comunista: il partito voleva accreditarsi come una forza popolare, inserita nell’arco costituzionale e moderata, con cui era possibile dialogare e che sarebbe potuta rimanere al governo per un tempo indefinito, e quindi desiderosa di mettersi alle spalle gli anni della guerra e iniziare un percorso di riconciliazione nazionale.

Non era facile però per il PCI convincere gli Stati Uniti, le forze alleate e il resto del governo, che nel Partito Comunista vedevano ancora una forza sovversiva in grado di provocare un’insurrezione da un momento all’altro. Per quanto questi timori fossero in gran parte esagerati, il partito aveva davvero una struttura “parallela”, organizzata in maniera paramilitare, con depositi segreti di armi. Con l’amnistia da un lato Togliatti protesse i suoi stessi militanti da eventuali processi – c’erano state parecchie uccisioni sommarie anche da parte dei partigiani nelle settimane subito dopo la fine della guerra – dall’altro rafforzò la sua immagine di uomo politico responsabile, lontano dagli estremismi e pronto a trovare compromessi. Fu una strategia che funzionò solo a breve termine. Poco più di un anno dopo, nell’autunno del 1947, De Gasperi espulse i comunisti dal governo: non sarebbero più tornati.