Come eri vestita?

Gli abiti che le donne stuprate indossavano nel momento dell’aggressione, fotografati da Katherine Cambareri

come eri vestita?

Well, What Were You Wearing? (Bè, ma com’eri vestita?) è il progetto della fotografa americana Katherine Cambareri che ha ritratto su uno sfondo nero gli abiti che alcune donne stuprate indossavano quando sono state violentate.

Cambareri ha spiegato che, come ogni giovane donna che vive in un campus universitario, ha sentito parlare moltissimo di violenza sessuale e che spesso la domanda più frequente che le vittime si sentono rivolgere è cosa indossassero quando sono state stuprate, stabilendo una sorta di correlazione tra il modo di vestire e la violenza (“se l’è cercata”). Cambareri ha deciso di fotografare i loro vestiti proprio per dimostrare che non esiste alcun tipo di abbigliamento che possa provocare una violenza: «L’aggressione sessuale si verifica perché una persona ha deciso di aggredire un’altra persona e per nessun altro motivo». Cambareri ha detto anche che spera che le persone siano a disagio guardando queste immagini, in modo da capire che la domanda “come eri vestita?” non è una domanda valida.
Cambareri ha iniziato il progetto lo scorso settembre, cercando con degli status su Facebook delle donne che avevano subito violenza disposte a prestarle i loro vestiti. Le ragazze che hanno risposto non erano tutte al college quando sono state violentate, ma hanno tutte tra i venti e i venticinque anni.

L’idea per il progetto le è venuta dopo aver letto il libro Senza consenso di Jon Krakauer, che racconta la storia di alcune ragazze stuprate nella piccola città universitaria di Missoula, in Montana. Gli stupri che avvengono in questi contesti sono più difficili da denunciare per le vittime: spesso i responsabili sono conoscenti, le violenze avvengono durante una festa, quando le ragazze – alcune delle quali hanno una vita sessuale attiva – hanno volontariamente bevuto bevande alcoliche; per questa ragione si sentono responsabili di ciò che è successo loro o temono che non saranno credute anche denunciando la violenza.