L’Italia al Sei Nazioni ha ancora senso?
Le grandi difficoltà della nazionale di rugby erano in qualche modo previste, ma in molti si chiedono le ragioni dei mancati progressi
Due settimane fa la nazionale italiana di rugby ha perso la sua terza partita del Sei Nazioni contro la Scozia, che di solito è considerata la squadra più abbordabile del torneo – esclusa l’Italia – e anche quella con cui, nella storia della competizione, l’Italia ha vinto più volte. Nella prima partita del torneo la nazionale italiana aveva perso contro la Francia dopo aver disputato una buona partita, che aveva fatto sperare a molti di poter competere quasi alla pari con le altre squadre o quanto meno evitare figuracce. La settimana dopo però era arrivata una pesante sconfitta contro l’Inghilterra, che aveva immediatamente ridimensionato le aspettative e l’entusiasmo dei tifosi, e forse anche dei giocatori. Sabato scorso ha perso anche contro l’Irlanda, in quella che è stata probabilmente la sua peggiore partita nel Sei Nazioni degli ultimi anni: l’Italia concluderà il Sei Nazioni all’ultimo posto (che vuol dire cucchiaio di legno, l’11esimo in 17 edizioni) e se non vincerà l’ultima partita contro il Galles – cosa estremamente improbabile, visto che il Galles è una delle nazionali più forti del torneo – finirà il torneo senza aver vinto una partita (che vuole dire cappotto). L’ultima vittoria della nazionale italiana nel Sei Nazioni risale a più di un anno fa, e l’anno precedente non vinse nemmeno una partita del torneo.
Uno dei peggiori Sei Nazioni di sempre
La prima partita aveva inizialmente nascosto i problemi con cui l’Italia aveva iniziato il Sei Nazioni. La Francia non giocò per niente bene e la nazionale italiana, nonostante i suoi molti limiti, disputò una buona partita. Nelle partite successive però, sono venuti fuori tutti i problemi e soprattutto il grande divario tecnico con le altre squadre, le cui condizioni hanno accentuato la debolezza dell’Italia: la Scozia, che solitamente è la nazionale più debole del torneo insieme all’Italia, quest’anno è una squadra molto più forte e infatti ha vinto due partite e ha giocato praticamente alla pari degli avversari nelle sconfitte contro Galles e Inghilterra. La più debole è l’Irlanda, che comunque sta vivendo solo un periodo di transizione e rimane una nazionale composta da molti giocatori di primo livello.
La classifica del Sei Nazioni dopo quattro giornate
Nella partita di sabato contro l’Irlanda anche i meno appassionati di rugby o quelli che conoscono meno le regole hanno potuto accorgersi facilmente dell’inferiorità dell’Italia: per tutti gli ottanta minuti i giocatori italiani hanno sbagliato anche i passaggi e i movimenti più elementari, hanno subìto la miglior condizione fisica e la forza degli avversari e non sono mai riusciti a difendere bene. Il punteggio di 58 a 15 è una disfatta paragonabile a una sconfitta per 5 o 6 a zero nel calcio. L’Italia ha segnato la maggior parte dei suoi punti nei minuti finali della gara, quando il distacco fra le due squadre era già considerevole e l’attenzione degli avversari di conseguenza era diminuita.
Le ragioni delle difficoltà
Che questo potesse essere un torneo molto difficile per l’Italia, era noto già da prima del suo inizio: la rosa iniziale dei convocati era composta da molti giocatori esordienti e inesperti, e tanti titolari non sono stati convocati perché infortunati o perché non utilizzati abbastanza nei propri club. Giocatori fondamentali come Andrea Masi, esperto tre quarti centro dei London Wasps, Simone Favaro, flanker dei Glasgow Warriors, il ventiseienne Joshua Furno e i promettenti Tommaso Allan, Luca Morisi e Andrea Manici sono stati lasciati fuori per i motivi citati sopra: con il capitano Sergio Parisse e pochi altri sono i giocatori migliori su cui la nazionale può contare in questo momento. Altri, come Martin Castrogiovanni e Leonardo Ghiraldini, non sono in buone condizioni fisiche o stanno ancora recuperando da vecchi infortuni e hanno giocato solo spezzoni di gara.
L’allenatore della nazionale, il francese Jacques Brunel (che nei prossimi mesi lascerà la squadra), ha preferito portare con sé giocatori inesperti al posto di altri considerati più forti ma che in questa stagione hanno giocato poco, per “allargare la base”, ovvero per far guadagnare esperienza ai giovani e per poter avere più scelte nei momenti di bisogno, quando i giocatori più forti sono indisponibili. In molti hanno criticato Brunel per le sue scelte, sostenendo che non si possono fare così tanti esperimenti in un torneo importante come il Sei Nazioni, che è l’unica competizione rilevante a cui l’Italia può partecipare ogni anno.
Il Sei Nazioni forse sarebbe potuto andare diversamente solo se fossero stati reintegrati nella rosa alcuni giocatori indisponibili ma in fase di recupero, o se i giocatori giovani avessero dimostrato di sapersela cavare fin da subito, cosa che per ora non è successa. Nessuno dei giocatori più importanti è riuscito a recuperare e per giunta se ne sono aggiunti altri alla lista degli infortunati: Edoardo Gori, il mediano di mischia più forte della nazionale e uno dei primi in Europa, si è infortunato nella partita contro la Scozia e ha dovuto saltare quella contro l’Irlanda. Bisogna dire però che negli anni precedenti, anche quando l’Italia poteva schierare una rosa più esperta di questa, i risultati non sono stati poi così diversi.
Le critiche e i problemi più profondi
Sergio Parisse, capitano della nazionale italiana di rugby e uno dei più forti giocatori al mondo, ha provato a spiegare al termine della partita dove sta il problema del rugby italiano. Secondo Parisse (e secondo molti altri commentatori) è una questione di mancanza di esperienza internazionale: le squadre italiane di club sono gestite male, il livello nazionale è molto basso e i giocatori non hanno praticamente mai la possibilità di misurarsi con avversari forti come quelli che incontrano al Sei Nazioni. Parisse ha detto:
Alcuni ragazzi hanno imparato più un mese nel Sei Nazioni che due anni col club. Bisogna farsi qualche domanda.
Parisse ha poi spiegato che secondo lui bisogna mettere i giovani nella condizione di giocare partite importanti, ma ha anche detto che è tutto il movimento del rugby italiano che deve provare a cambiare strada e fare le cose in maniera diversa.
Un’involuzione? Sì, se si vede il risultato. C’è un cambio generazionale, sono tanti i ragazzi che muovono i loro primi passi: non è una scusa o un alibi. Questa è la realtà, bisogna restare positivi e aiutarli a crescere per il futuro. C’è da capire che si può sempre migliorare e come movimento dobbiamo renderci conto che bisogna cambiare strada e vedere se le cose finora fatte ci hanno dato risultati o no.
L’Italia partecipa al Sei Nazioni dal 2000: da allora ha giocato 84 partite e ne ha vinte solo 12, per 5 volte non ha vinto nemmeno una partita.
Le prestazioni dell’Italia in effetti non sembrano migliorare mai, nonostante negli ultimi anni il rugby italiano sia diventato più ricco e popolare. La federazione ha un bilancio annuale tra i 40 e i 50 milioni di euro; altri contributi vengono versati ogni anno dagli organi internazionali per favorire lo sviluppo dello sport. Secondo alcuni esperti, oltre all’esperienza internazionale, finora al rugby italiano è mancato anche lo sviluppo delle retrovie, cioè dei club e dei settori giovanili, che paragonati a quelli delle cinque federazioni europee più importanti sono ancora più indietro di quanto lo sia la nazionale nel Sei Nazioni.
Da diverso tempo e soprattutto nei paesi britannici, si parla spesso di che senso abbia la permanenza dell’Italia nel Sei Nazioni. Per molti la nazionale italiana non è stata in grado negli anni di beneficiare della propria partecipazione al torneo, e risulta ancora troppo debole se confrontata con le altre squadre. Altri chiedono che il Sei Nazioni introduca un sistema di promozioni e retrocessioni per dare la possibilità ad altre nazionali europee, come Romania e Georgia, di partecipare e crescere. Entrambe queste ipotesi, in ogni caso, sembrano altamente improbabili: il Sei Nazioni è un torneo a invito e non sembra che l’organizzazione che lo gestisce abbia intenzione di cambiare la sua struttura. Inoltre la nazionale italiana ha un contratto che la lega al Sei Nazioni fino al 2024.
C’è qualcosa da salvare?
Poco. Incassate le sconfitte, il cucchiaio di legno e il probabile cappotto, questo Sei Nazioni potrebbe essere servito solo ai giovani e agli esordienti per guadagnare minuti di gioco internazionali ed esperienza che in futuro potranno essere importanti: fra un paio di anni alcuni giocatori finora fondamentali arriveranno al termine della propria carriera e dovranno essere rimpiazzati.