Il cibo “sano” non esiste

Come la comunicazione delle aziende alimentari ci inganna su quello che mangiamo, chiamandolo "raffinato" o "arricchito"

di Michael Ruhlman – Washington Post

(JEAN-FRANCOIS MONIER/AFP/Getty Images)
(JEAN-FRANCOIS MONIER/AFP/Getty Images)

Di recente, ho visto in un supermercato una donna che sistemava un cartone di latte scremato magro sul nastro della cassa. «Posso chiederle perché compra del latte magro?», le ho chiesto: il termine “magro” fa riferimento al contenuto di grassi nel latte. La donna mi ha risposto: «Perché non ci sono grassi, no?». «E sa con cosa sostituiscono i grassi?», le ho chiesto. La donna quindi ha sollevato il cartone, per leggere sull’etichetta quale fosse il secondo ingrediente dopo il latte scremato: «Mmm… Sciroppo di glucosio». Mi ha guardato perplessa e ha rimesso il cartone sul nastro con il resto della spesa.

Evidentemente non aveva neanche pensato di porsi la domanda, accettando piuttosto l’idea comune secondo cui i grassi – elemento essenziale della nostra dieta – debbano essere evitati quanto più possibile. E perché mai avrebbe dovuto mettere in dubbio questo concetto, dal momento che lasciamo che siano aziende alimentari, pubblicitari e ricercatori alimentari a pensare al nostro posto? Negli anni Settanta, nessuno dubitava del fatto che le uova fossero un fattore di rischio per gli infarti, come sostenuto dai nutrizionisti. Oggi sono diventate un alimento così amato che negli Stati Uniti molte persone allevano le proprie galline ovaiole. Ci sono molti altri esempi simili di confusione e disinformazione sul tema del cibo.

«Gli Stati Uniti non avranno mai una filiera alimentare sana», ha detto Harry Balzer, analista di NPD Group (una società che si occupa di ricerche di mercato) e critico bonario dei consumatori alimentari americani. «Mai. Perché non appena qualcosa diventa popolare, troveranno un motivo per dire che non è sano». Balzer ha usato il termine più pericoloso di tutti, “sano”. Tutti, dai medici ai nutrizionisti, passando per riviste alimentari e giornali, ci dicono di mangiare cibo sano. Diamo per scontato che un’insalatona sia sana e un Big Mac con le patatine non lo sia. Vi rivelerò un segreto: le nostre amate insalatone non sono “sane”. Ma noi crediamo che lo siano, confondendoci. Non sono sane: sono nutrienti. Possono essere deliziose se preparate bene, e forse le foglie di insalata nei campi sono state coltivate in modo sano. Ma l’insalata nel vostro piatto non è sana, e descriverla come tale fa passare in secondo piano il fatto più importante: la vostra insalata è ricca di nutrienti di cui il vostro corpo ha bisogno. Non è però solo una questione di terminologia. Se mangiaste solo insalata, vi ammalereste. La terminologia è il punto di partenza.

«Il termine “sano” è abusato», dice Roxanne Sukol, specialista di medicina preventiva al Cleveland Clinic, direttrice medica di Wellness Enterprise e nutrizionista autodidatta («Alla scuola di medicina non ci hanno insegnato niente sull’alimentazione»). «Il cibo non è sano. Noi siamo sani. Il cibo è nutriente. Faccio sempre caso alle parole: sono fondamentali per dare alle persone gli strumenti giusti per capire cosa mangiano. Siamo tutti molto confusi». Lo scorso marzo la Food and Drug Administration degli Stati Uniti (FDA) – l’ente governativo che si occupa di cibo e farmaci – ha inviato una lettera a un’azienda produttrice di barrette di frutta secca, in cui si sosteneva che l’uso della parola “sano” sulle confezioni dei suoi prodotti rappresentasse una violazione (troppi grassi nelle mandorle). L’azienda ha risposto con una petizione firmata da diversi cittadini che chiedevano all’FDA di rivalutare la definizione del termine.

Riformulando le parole di Sukol: gli alimenti non sono sani, lo saremmo noi se mangiassimo cibo nutriente. Le parole hanno un peso, e quelle che usiamo per il cibo hanno un peso ancora maggiore. Le sottilette non possono essere definite formaggio, ma piuttosto “alimento a base di formaggio” o “prodotto a base di formaggio”. Le “patatine” in sacchetto dovrebbero essere chiamate “snack”. Oggi i prodotti alimentari confezionati possono essere etichettati quasi indiscriminatamente come “naturali” o “100% naturali” (e quale sarebbe la differenza, poi?). Una parola che crediamo di capire è “proteine”. Le proteine fanno bene, no? Fanno sviluppare muscoli forti, e hanno effetti positivi per la salute. È per questo che i “beveroni proteici” sono un business multi-miliardario. Gli affettati in genere, invece, non hanno una connotazione positiva in termini di salute perché crediamo abbiano un alto contenuto di grassi. Ma possono essere un veloce spuntino proteico.

Visto come è facile trasformare il linguaggio legato al cibo, non sorprende che i consumatori siano confusi. Sappiamo davvero cos’è la “carne separata meccanicamente”, un ingrediente comune negli hamburger di tacchino e würstel di pollo, resa popolare dal nostro amore per i prodotti con pochi grassi? «Sa che cos’è?», mi ha chiesto un proprietario di un negozio di alimentari. «In sostanza, sono carcasse di pollame buttate in una specie di centrifuga per insalata gigante». Tutto ciò che rimane nel cestello della centrifuga insieme alla carne – pezzi di cartilagine (proteine!), nervi (mi bastano i miei, grazie), vasi sanguigni, frammenti di ossa – viene raschiato via e aggiunto agli altri ingredienti. Un’altra parola critica in campo alimentare è “raffinato”. Di solito è usata in riferimento all’aspetto, a modi e gusti eleganti e colti, o a qualcosa privo di impurità. Eppure, il termine è stato usato dalle aziende alimentari per definire la farina di grano da cui sono eliminati l’endosperma e la crusca, e dove rimane solo amido puro, privo delle fibre, oli, ferro e vitamine che rendono il grano nutriente. Non è raffinato, «è svuotato», dice Sukol. «Farina svuotata da tutti gli elementi nutritivi che la rendono preziosa per il nostro corpo, ma che ne riducono la permanenza sugli scaffali». E dal momento che è stata svuotata, ora dobbiamo “arricchirla”. “Arricchita”: è una cosa buona, giusto? Aggiungere, migliorare. Le aziende alimentari aggiungono il ferro che hanno eliminato durante il processo di raffinazione, ma non in quantità sufficienti. «La farina raffinata era carente di vitamina B e ferro», racconta Sukol, «Quindi, ci hanno aggiunto vitamine e ferro. E come la definiscono? Arricchita. Peccato solo che fino agli anni Novanta si siano dimenticati di aggiungere l’acido folico e la vitamina B9». Secondo Sukol, però, non conosciamo gli effetti a lungo termine di queste aggiunte – per non parlare di digliceridi e solfati, combinati con la carenza di fibre – sul nostro metabolismo. Ad oggi, ha detto Sukol, ci sono stati casi di diabete e sindrome metabolica.

Saremo sani se mangiamo cibo nutriente. Il cibo può essere nutriente o non esserlo. Noi siamo sani o non sani. Se mangiamo cibo nutriente, potremmo migliorare il nostro stato di salute.
Non si tratta di un giudizio sulle vostre scelte alimentari. Se avete voglia di cibo spazzatura, fate pure: io lo adoravo da bambino. Ma cercate di essere informati su quello che mangiate. Comprate pure latte magro, se vi piace. Sappiate però cosa state mettendo nel vostro corpo e perché. Perché – e qui arriva il giudizio – grasso non è male. Stupido, è male. E finché non avremo informazioni più complete e un linguaggio condiviso chiaro per definire cosa mangiamo, scegliere in modo intelligente sarà sempre più difficile.

©The Washington Post 2016