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  • Sabato 17 ottobre 2015

L’ISIS e Assad stanno collaborando sul gas?

Un'inchiesta del Financial Times racconta come le due parti in guerra abbiano creato di fatto delle "joint venture" in Siria per continuare a produrre elettricità

(Kyodo via AP Images)
(Kyodo via AP Images)

Un’inchiesta del Financial Times ha raccontato come è cambiata la gestione di alcune centrali elettriche a gas in Siria con l’avanzata dello Stato Islamico (o ISIS). Secondo il Financial Times, l’ISIS collabora da diverso tempo con lo stato siriano per lo sfruttamento delle riserve di gas della Siria, che servono a produrre il 90 per cento dell’elettricità da cui sia l’ISIS che il governo dipendono: è uno sviluppo interessante, soprattutto perché, almeno formalmente, l’ISIS è uno dei gruppi che combattono contro il regime siriano di Bashar al Assad. Il Financial Times ha cercato di capire quanti e quali impianti siano oggi controllati dall’ISIS e quali di fatto siano stati trasformati in “joint venture” con il governo di Assad.

Già in passato in diversi avevano parlato di una collaborazione tra ISIS e governo sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi siriani, in particolare di quelli situati nella Siria orientale e controllati dai miliziani dello Stato Islamico. Il Financial Times ha scritto però di avere scoperto che la cooperazione sul gas usato per la produzione di energia elettrica è superiore rispetto a quella già studiata in precedenza sul petrolio: secondo decine di funzionari siriani che lavorano nel settore dell’energia, gli accordi tra governo siriano e ISIS riguardano soprattutto la fornitura di servizi alla popolazione, piuttosto che scambi di tipo economico.

Secondo il Financial Times, l’ISIS controlla almeno otto centrali elettriche in Siria, tra cui tre idroelettriche e l’impianto a gas più grande del paese. L’accordo tra l’ISIS e il regime – hanno raccontato diversi funzionari – si basa su una formula semplice: lo stato siriano e le società private di gas pagano gli stipendi degli impiegati e forniscono i macchinari e il resto dell’equipaggiamento alle installazioni di gas. Poi l’ISIS e il regime si dividono l’elettricità prodotta dal metano, mentre l’ISIS usa i combustibili prodotti dagli impianti di raffinazione.

Il governo siriano ha smentito la ricostruzione del Financial Times. Il ministro del Petrolio e delle Risorse Naturali siriano ha diffuso un comunicato scritto che dice: «Non c’è coordinamento con i gruppi terroristici riguardo questa materia», ma ha ammesso che alcuni impiegati pubblici continuano a lavorare sotto l’ISIS «per la necessità di salvaguardare la sicurezza e l’integrità di quelle installazioni». Il governo siriano sostiene che le due parti si sono scontrate per la gestione delle infrastrutture energetiche del paese e che questo dimostra che non esiste alcuna collaborazione. Secondo alcuni analisti però gli scontri si sviluppano perché entrambe le parti vogliono ottenere condizioni migliori per la gestione di quelle risorse. Il proprietario di una società energetica siriana, che è voluto rimanere anonimo per questioni di sicurezza, ha detto al Financial Times: «Bisogna pensare a quello che succede come manovre tattiche per ottenere vantaggi. È un negoziato come quelli tra le bande mafiose nella Chicago degli anni Venti. Uccidi e combatti per influenzare l’accordo, ma l’accordo continua a essere valido».

Secondo alcune testimonianze raccolte dal Financial Times, le condizioni dei lavoratori negli impianti controllati dall’ISIS non sono per niente buone. Ahmed – non è il suo nome vero – è un siriano di 25 anni che è finito a lavorare nell’impianto a gas di Tuweinan, nella Siria centrale, controllato dall’ISIS. Ahmed ha parlato con il Financial Times al telefono e ha raccontato di avere assistito a diversi episodi di violenza dei miliziani dell’ISIS sui lavoratori dell’impianto (Ahmed ha anche assistito all’uccisione di una persona). Marwan, un siriano che lavora per la Syrian Gas Company, la compagnia statale siriana che si occupa dello sfruttamento del gas, ha spiegato che per un lavoratore normale non è possibile decidere a quale impianto essere assegnato: solo chi appartiene alla setta religiosa degli alauiti – quella di Assad – o chi è sunnita ma ha conoscenze politiche che contano può sperare di ottenere un buon lavoro in un’area controllata dal governo.

L’ISIS, scrive il Financial Times, ha nominato degli “emiri” incaricati di monitorare le operazioni e negoziare con il regime tramite dei mediatori. All’interno degli impianti, il rispetto delle pratiche religiose dell’ISIS è garantito dagli uomini di Hisba, la polizia che si occupa del mantenimento della moralità. Chiunque violi le regole riceve come punizione 75 frustrate. L’impianto di Tuweinan continua a funzionare nonostante sia finito sotto il controllo dell’ISIS, ma lentamente i suoi lavoratori sono diminuiti da 1.500 a 300. In altri impianti, dice il Financial Times, le cose vanno meglio, ma è comunque difficile sapere nel dettaglio la situazione della gestione delle risorse in Siria, a causa della scarsità delle informazioni che arrivano dai territori controllati dall’ISIS.