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  • Martedì 8 settembre 2015

Joe Biden si candida o no?

Non si sa, in effetti, e dice di non saperlo neanche lui: ma l'ipotesi è realistica, lui ne parla, e lo scopriremo presto

(Olivier Douliery/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Olivier Douliery/picture-alliance/dpa/AP Images)

Con l’accoglienza festosa e incoraggiante che il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ricevuto durante la manifestazione del Labor Day a Pittsburgh, l’ipotesi di una sua candidatura alle primarie del Partito Democratico per la presidenza del 2016 occupa oggi di nuovo spazio su molti siti e giornali americani. Da mesi si parlava di lui come di un possibile e importante candidato dei Democratici: le voci sono diventate più solide con la pubblicazione di un articolo sul New York Times del 3 agosto, nel quale la giornalista Maureen Dowd dava conto delle esplorazioni e dei colloqui preliminari che lo staff di Biden stava facendo per preparare una sua possibile candidatura. Dowd, nell’articolo, scriveva anche che per alcune sue fonti Biden avrebbe deciso entro l’inizio di settembre. Ora viene invece considerato possibile un annuncio per il primo ottobre. Teoricamente Biden potrebbe candidarsi anche più avanti, fino all’inizio del 2016, ma a quel punto le sue possibilità di vittoria si ridurrebbero molto.

A oggi Biden non ha ancora preso ufficialmente una posizione (a Pittsburgh ha risposto ai giornalisti con una battuta: «Correrò un pezzo di questa parata»): nei giorni scorsi, però, ha iniziato un breve tour – che si è concluso appunto lunedì – durante il quale, secondo Politico, ha pronunciato un discorso simile a uno stump speech, cioè il discorso-base con dei passaggi fissi ripetuto da un candidato durante i comizi di una campagna elettorale. L’intervento conclusivo a Pittsburgh è stato descritto come un momento di grande successo. Biden è stato accolto con molto entusiasmo e, secondo diversi giornali che l’hanno raccontato, ha dimostrato una grande vitalità politica: ha parlato come fosse già un candidato in corsa per le elezioni: e, tra gli altri, lo ha scritto anche l’editore conservatore Rupert Murdoch, su Twitter. Il discorso più esplicito su una sua possibile candidatura Biden l’ha fatto giovedì 3 settembre, quando ha ammesso pubblicamente che ci sta pensando sul serio. Biden stava partecipando a un incontro in una sinagoga di Atlanta. La prima domanda che gli è stata rivolta è stata a che punto era la sua candidatura alla presidenza. Biden ha risposto parlando molto lentamente e sembrando spesso sul punto di commuoversi. A un certo punto della sua risposta ha anche fatto un implicito riferimento alla morte recente di suo figlio Beau, che aveva 47 anni ed era considerato un politico molto promettente. Dopo la sua morte, sono circolate molte voci secondo cui lo stesso Beau avrebbe chiesto a suo padre di candidarsi. Ha detto Biden:

Sarò sincero. Il fattore più rilevante nella mia decisione è la disponibilità o meno mia e della mia famiglia ad avere l’energia emotiva per supportare una mia candidatura. Non sarebbe appropriato [candidarmi], a meno che io non possa andare dal mio partito e dagli americani e dire loro che dedicherò tutto il mio cuore e le mie energie per quest’incarico. Tutti parlano di altri fattori: gli altri candidati, la mia abilità nel raccogliere soldi o nel mettere in piedi una struttura organizzativa. Non sono fattori rilevanti. L’unico fattore in campo è: ce la posso fare, io? Può farcela la mia famiglia a sostenere un compito arduo ma che sarebbe orgogliosa di portare avanti in circostanze normali? E la risposta più onesta che posso darvi è: non lo so. Cose del genere non rispettano date fisse. Se posso arrivare a questa conclusione e rendere tutto questo fattibile, non esiterò a farlo. Ma devo essere con voi e con tutti quelli che me l’hanno chiesto. In questo momento non posso guardarvi negli occhi e dirvi “So di poterlo fare”.

Biden ha 72 anni, è stato un espertissimo e rispettato senatore del Delaware, si è già candidato alla presidenza due volte senza successo (nel 1988 e poi nel 2008) ed è un Democratico molto amato e popolare, famoso per l’atteggiamento cordiale e alla mano che lo ha fatto imbattere in più di una gaffe e lo ha reso simpatico a moltissimi, ma anche per una storia personale molto drammatica e difficile: nel 1972, poche settimane dopo la sua prima elezione in Senato, la moglie e la figlia di un anno morirono in un incidente stradale, a cui sopravvissero invece gli altri due figli, Beau e Hunter.

Biden si è trovato in mezzo alle voci di una possibile candidatura più per forza di cose che per una sua fortissima ed esplicita convinzione: dopo il rifiuto della popolare senatrice “di sinistra” Elizabeth Warren a candidarsi, è rimasto l’unico potenziale candidato democratico riconoscibile in tutti gli Stati Uniti, e forse il solo che ha davvero qualche possibilità di mettere in pericolo la candidatura di Hillary Clinton. Come hanno fatto notare in molti, i punti forti di Biden sono proprio quelli in cui Clinton è più debole. Secondo un sondaggio dell’università di Quinnipiac del 30 luglio, il 57 per cento degli intervistati non considera Clinton onesta e affidabile e il 52 per cento ritiene che non si preoccupi dei loro problemi; secondo lo stesso sondaggio Biden viene considerato onesto e degno di fiducia – le qualità più ricercate in un presidente – dal 58 per cento degli intervistati che sono anche convinti, al 57 per cento, che lui si preoccupi davvero dei loro problemi.

Finora Biden ha comunque fatto alcuni passi concreti in vista di una sua candidatura. Amy Chozick ha scritto sul New York Times che i consiglieri di Biden già alcune settimane fa hanno incontrato con molta discrezione alcuni potenziali sostenitori e leader democratici che non si sono ancora schierati con Hillary Clinton, e che potrebbero decidere invece di puntare su Biden. Il 22 agosto Biden ha incontrato proprio Elizabeth Warren, in quello che lei stessa ha definito «un lungo incontro». Il New York Times ha anche fatto notare che la Florida del sud, la zona dove Biden ha tenuto la parte iniziale del suo piccolo tour, è uno dei posti migliori in tutto il paese per la raccolta di soldi in vista di una campagna elettorale.

I moltissimi fattori che vanno contro una possibile candidatura di Biden, però, sono stati più volte elencati nelle scorse settimane, ed efficacemente sintetizzati da Francesco Costa sul Foglio:

Giornalisti, sondaggisti, esperti e strateghi sono unanimi nel dire che la strada per una candidatura di Joe Biden alle presidenziali – una candidatura credibile e non velleitaria, all’altezza di un vicepresidente – sia particolarmente impervia. Biden è parecchio avanti con gli anni – ne compie 73 a novembre – ed è in giro da tantissimo tempo. Le sue posizioni politiche non sono così radicalmente distanti da quelle di Hillary Clinton: sarà difficile batterla puntando soprattutto su un tema di discordia molto grosso, come fece Barack Obama con la guerra in Iraq tra il 2007 e il 2008. Inoltre Hillary lavora alla sua candidatura da mesi, anzi, da anni: ha già aperto centinaia di comitati in tutto il paese, raccolto una montagna di soldi e messo insieme il più grande numero di dichiarazioni di sostegno dall’establishment del partito che si sia mai visto per un candidato che non è un presidente uscente.

E poi c’è un ulteriore fattore da non sottovalutare, noto a moltissimi giornalisti e analisti politici: la sua imprevedibilità. Biden è famoso per i suoi discorsi a braccio, le battute calzanti e un atteggiamento da “zio simpatico”, che al contempo è uno dei suoi limiti più evidenti. Scrive il Wall Street Journal:

I candidati presidenti tendono a leggere discorsi preparati, ad essere selettivi col proprio tempo e a parlare per slogan o parole chiave. Biden non fa nessuna di queste cose. Durante una delle sue soste in Florida, Biden ha parlato per 45 minuti dell’accordo sul nucleare iraniano a un pubblico di importanti capi ebrei-americani, dopo che aveva promesso di parlare solo per 10 minuti. A un certo punto ha detto: «posso andare avanti ancora, ma non lo farò». Ma poi l’ha fatto. Si è preso un po’ in giro dicendo di «aver parlato troppo», ma poi è andato avanti. Ha proseguito: «ultima cosa prima di partire con le domande», poi ha detto quella cosa e un’altra ancora e quindi ha detto: «ragazzi, l’ho già detto tre volte ma questo è l’ultimo punto». Poi ha introdotto il suo principale consigliere sulla politica estera spiegando che probabilmente stava pensando “di che diavolo stai parlando, Joe? Queste non sono le cose che ti ho scritto”. Il consigliere in questione, Colin Kajl, ha annuito e sorriso. Biden è rimasto a quell’evento altre due ore, ritardando il suo volo per Washington.

Battute e ritardi a parte, in Florida Biden ha parlato «come se fosse un candidato», ha scritto Politico. Ha lodato molto i giovani e gli immigrati – «sono persone come voi ad aver costruito questo paese» – e ha parlato del suo piano, condiviso con la Casa Bianca, di rendere gratuiti i primi due anni di università statale. Joe Trippi, un importante stratega democratico, poco prima del tour di Biden ha detto che sicuramente chiederà ad alcuni ricchi finanziatori cosa ne pensano di una sua eventuale candidatura: «credo che in questo momento ogni volta che fa questo tipo di cose valuti che tipo di reazione hanno le persone nei suoi confronti».

Intanto però, per quel che vale, Biden è ancora molto indietro rispetto a Clinton. In un sondaggio diffuso all’inizio di settembre da Reuters effettuato sugli elettori democratici, voterebbe Biden solamente il 17 per cento delle persone contattate, rispetto al 44 per cento ottenuto da Clinton e al 25 per cento di Bernie Sanders, l’attuale principale candidato “di sinistra” del partito democratico. Secondo un altro sondaggio del Washington Post, inoltre, è Clinton il candidato preferito dai Democratici moderati e “conservatori”: Biden, in pratica, al momento è un po’ “schiacciato” fra Clinton e Sanders: ma non è ancora ufficialmente candidato e quindi è possibile che per questo molti elettori non lo indichino nei sondaggi come il loro preferito. Se Biden si candidasse ufficialmente, la sua popolarità nei sondaggi probabilmente aumenterebbe; allo stesso modo, però, comincerebbe a essere oggetto di critiche e attacchi anche molto forti, come succede a tutti i candidati e come a Biden oggi capita pochissimo.

Come ha scritto Costa, però, per Biden esiste “una strada”, per quanto “impervia”.

Escludendo per ovvi motivi Barack Obama, se c’è una persona negli Stati Uniti che può pensare di ottenere con grande rapidità il denaro e la struttura organizzativa che serve per colmare quel divario, quella persona è Joe Biden. Nello scenario ipotetico in cui Hillary Clinton versi in grave difficoltà e gli elettori democratici comincino a dubitare seriamente delle sue possibilità di arrivare alla Casa Bianca, lo spauracchio di una presidenza Bush (o Rubio, o Walker) potrebbe allontanare da lei legioni di volontari: e d’altra parte molte delle persone che lavorano per lei alle primarie del 2008 avevano aiutato Barack Obama a sconfiggerla.

Sul fronte dei finanziamenti, in oltre trent’anni di carriera da senatore e sette da vicepresidente Biden ha messo insieme una rubrica telefonica abbastanza lunga da non rischiare di essere già stata interamente svuotata da Hillary: ed esattamente come avvenne con Obama nel 2008, le piccole donazioni raccolte online dagli elettori potranno fare una grande differenza e, messe insieme, pesare quanto gli assegnoni staccati dagli imprenditori oggi legati a Hillary. Tutto questo, comunque, sarebbe nettamente la parte più difficile da mettere insieme: il resto – i contenuti, le policy, la comunicazione – sarebbe in confronto relativamente semplice.