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  • Domenica 12 luglio 2015

Bernie Sanders, che sfida Hillary Clinton da sinistra

Il politico americano del momento è un senatore di 73 anni che si definisce socialista e sta generando molta curiosità

Bernie Sanders (AP Photo/Jim Mone)
Bernie Sanders (AP Photo/Jim Mone)

Nella cronaca politica statunitense da qualche settimana si parla parecchio di Bernie Sanders, un senatore Democratico del Vermont che ha 73 anni e si è candidato alle primarie del Partito Democratico. Lo scorso aprile, quando Sanders ha annunciato la sua candidatura, molti ne hanno parlato in termini sarcastici: Sanders è noto per essere molto di sinistra, è deputato da decenni e si è dichiarato più volte “socialista”, che nella politica americana è una specie di insulto.

Ancora oggi nessuno crede davvero che Sanders abbia una possibilità contro Hillary Clinton, ma i giornali riportano però da giorni, con una certa enfasi e sorpresa, i numeri degli spettatori presenti ai comizi di Sanders (che nemmeno lui stesso si aspettava): 10mila persone in Wisconsin il 2 luglio, 7.500 persone nel Maine quattro giorni dopo, e così via. Negli ultimi giorni, inoltre, diversi sondaggi indicano che Sanders ha recuperato su Clinton in Iowa e nel New Hampshire – cioè i primi due stati in cui si voterà durante le primarie Democratiche, da febbraio del 2016 – ed è attualmente il suo avversario più accreditato.

hil bernie (Un grafico realizzato dallo Huffington Post che mostra la media dei sondaggi più diffusi e affidabili in Iowa)

Praticamente tutti gli analisti e gli esperti di campagne elettorali, comunque, stanno invitando alla cautela: è piuttosto comune che i candidati più radicali partano molto bene e che si sbriciolino nel corso dell’anno. Sanders, inoltre, non ha nemmeno lontanamente i soldi e i sostenitori di Hillary Clinton, ed è praticamente sconosciuto fra gli elettori afroamericani: i sondaggi dicono che i suoi sostenitori sono quasi esclusivamente uomini bianchi. Questo secondo molti è il vero motivo per cui Hillary Clinton dovrebbe preoccuparsi, nel lungo periodo.

Chi è, cosa vuole
Sanders è nato a New York nel 1941 da due genitori di origine ebrea. Da studente si avvicinò al movimento per i diritti civili. Nel 1964 si laureò in Scienze Politiche all’università di Chicago. Fece poi parte del Liberty Union Party, un partito di estrema sinistra del Vermont. Dopo aver tentato senza successo di farsi eleggere governatore e senatore del Vermont, lasciò il partito. Nel 1981 fu invece eletto sindaco di Burlington, una città del Vermont di circa 40mila abitanti: fu poi rieletto per tre volte, fino al 1989. Nel 1991 iniziò la sua lunga carriera da deputato nella Camera del Vermont, che si è conclusa solo nel 2007 quando è stato eletto al Senato federale. Nel 2012 Sanders è stato rieletto al Senato dopo avere ottenuto il 71 per cento dei voti contro il suo sfidante Repubblicano.

Da senatore, Sanders ha spesso preso posizioni molto nette sulla diseguaglianza economica, il cambiamento climatico e il salario minimo. Il Washington Post ha raccontato in breve i punti salienti di un suo comizio di fine giugno a Rochester, nel Wisconsin.

Nel suo discorso di circa un’ora, Sanders ha criticato ferocemente la “classe dei milionari” e promesso che se diventerà presidente farà pagare il giusto quantitativo di tasse alle grandi aziende. Gran parte del suo discorso si è incentrato sul miglioramento delle condizioni delle classi povere e medie: secondo Sanders è possibile ottenere risultati del genere rendendo gratuita l’università, garantendo vacanze e permessi a ciascun lavoratore e alzando il salario minimo a 15 dollari l’ora [l’ultima proposta dei Democratici e appoggiata da Obama – alzarlo fino a 10,10 dollari – è stata respinta dal Congresso nella primavera del 2014]

Sanders ha però anche alcune posizioni più vicine ai “libertari” – quelli che chiedono il minor intervento possibile dello Stato – che all’ala sinistra dei Democratici. In passato ha difeso l’utilizzo privato delle armi e durante una recente intervista con CNN ha detto che in caso di omicidio con armi da fuoco le aziende che producono armi hanno la stessa responsabilità «di una fabbrica di martelli, se qualcuno spacca la testa a un’altra persona con un martello». Riguardo la proposta di togliere i benefici fiscali alle chiese che non riconoscono i matrimoni omosessuali – resi legali da una storica sentenza di poche settimane fa – Sanders ha detto che non se la sente di «spingersi fino a lì» e di rispettare «le persone che hanno un punto di vista diverso».

Perché va così bene?
Fondamentalmente perché al momento raccoglie i consensi di tutte le persone che per vari motivi non vogliono votare Clinton e che voterebbero volentieri un candidato più di sinistra: il Washington Post ipotizza che Sanders abbia per ora ottenuto il consenso delle persone che erano inclini a votare Elizabeth Warren, una senatrice “di sinistra” molto apprezzata dall’ala radicale del partito democratico (che però ha escluso nettamente una sua candidatura). Sempre secondo il Washington Post, però, Sanders potrebbe riuscire a raccogliere consensi anche fra i Repubblicani.

Sanders potrebbe diventare il candidato preferito dai Repubblicani, ma non solo perché si oppone fermamente a Clinton. Non è difficile notare che alcune sue posizioni possono apparire interessanti per gli elettori “libertari” che nel 2012 votarono per Ron Paul, e che preferirebbero Sanders a suo figlio Rand Paul (che si è candidato con un profilo un pelo più “istituzionale” per le primarie repubblicane del 2016). Le sue posizioni tendenti al “compromesso” su alcune questioni sociali potrebbero anche attrarre degli elettori seccati dalla loro forte politicizzazione.

Insomma, che possibilità ha?
Sanders ha ottime possibilità di influenzare il dibattito politico statunitense e nelle primarie Democratiche, soprattutto nei primi mesi del 2016, ma secondo la grandissima parte degli esperti non ha possibilità di battere Clinton. Lo dicono sia gli stessi sondaggi che oggi vengono citati dai giornali – che secondo Nate Silver possono al massimo farlo vincere in Iowa e New Hampsire, ma perdere in tutti gli altri stati – sia alcune considerazioni base sulle campagne presidenziali negli Stati Uniti, ben riassunte su Slate da Jamelle Bouie.

Le primarie per la presidenza non sono gare di popolarità. Sono più vicine a dei negoziati, nei quali interessi collettivi e individuali si vengono incontro per decidere una singola leadership e la linea da tenere. La persona in questione deve parlare a chiunque: sia alle fazioni più estreme, sia ai politici più potenti, sia agli elettori comuni e ai ricchi finanziatori. Ciascun candidato deve dimostrare che può essere a capo di una campagna nazionale, che può raccogliere soldi e vincere dibattiti. Clinton ha già dimostrato di poter fare tutto questo, nelle scorse primarie del 2008.

Sanders, invece, è un candidato affascinante perché porta un messaggio “vivo” ma sotto-rappresentato nella politica americana. Ma le stesse caratteristiche che lo rendono unico – la relativa indipendenza dal partito democratico, una critica netta della politica americana corrente – lo rendono inadatto per la candidatura di un grosso partito: figuriamoci quella dei Democratici. Le componenti più moderate del partito non appoggeranno mai un candidato così di sinistra come Sanders: e gli elettori più smaliziati saranno scettici sulle sue capacità di vincere davvero le elezioni, anche se sono d’accordo con le sue idee.

La candidatura di Sanders potrebbe pragmaticamente essere di aiuto alla campagna di Clinton: per capire per esempio in che modo correggere il tiro su alcune questioni, e cercare di attrarre alcune fasce di elettorato per ora poco interessate a Clinton (come i maschi di sinistra, per esempio). Oppure, secondo altri, potrebbe avere l’effetto di attrarre la campagna elettorale democratica su argomenti più “liberal”, costringendo Clinton a spostare a sinistra il suo approccio su alcuni temi e renderla meno efficace alle elezioni presidenziali, quando dovrà cercare il voto degli elettori moderati e Repubblicani.