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  • Sabato 25 luglio 2015

La Finlandia starebbe meglio senza euro?

Secondo alcuni economisti “di sinistra” sì, perché non potendo svalutare la moneta dovrà tagliare gli stipendi: ma è un tema molto dibattuto

Il Café Kiasma del museo dell'arte contemporanea di Helsinki. (Sergi Reboredo/picture-alliance/dpa/AP Images)
Il Café Kiasma del museo dell'arte contemporanea di Helsinki. (Sergi Reboredo/picture-alliance/dpa/AP Images)

Negli ultimi giorni è molto condiviso online un articolo pubblicato dal Washington Post e intitolato «La Finlandia è l’esempio migliore per capire perché l’euro non funziona». È stato scritto dal giornalista economico Mike O’Brien e riprende e amplia molte critiche fatte all’euro e alla Finlandia da importanti economisti spesso definiti “di sinistra” come Paul Krugman: fra queste, la più importante è che a causa dell’euro la Finlandia ha avuto molte poche possibilità di rimediare ad alcuni recenti guai economici locali come il declino di Nokia – la più ricca e importante azienda finlandese della storia – e la contrazione del mercato della carta, uno dei prodotti storicamente più esportati del paese.

La Finlandia è uno dei paesi europei che più ha sofferto la recente crisi economica: dal 2008 a oggi il suo sistema economico si è contratto dell’8 per cento, la disoccupazione ha superato il 10 per cento e anche nel 2015 il rapporto fra deficit e PIL sarà superiore al 3 per cento (il limite considerato “sano” per i paesi dell’eurozona). Alle ultime elezioni politiche, tenute nell’aprile del 2015, è stato eletto un governo centrista con l’obiettivo di risolvere i problemi economici del paese. Il punto dell’articolo di O’Brien è che probabilmente la Finlandia sarebbe in difficoltà anche se avesse mantenuto la sua vecchia moneta – il marco finlandese – «ma il fatto è che la sua situazione è peggiorata proprio a causa dell’euro, che l’ha privata degli strumenti per rimediare a ciò che era accaduto».

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L’espansione e la contrazione del sistema economico finlandese, paragonata a quella di altri paesi.

La tesi di O’Brien
All’inizio del suo articolo, O’Brien elenca i tre principali problemi che hanno interessato la Finlandia: oltre al declino di Nokia – le cui entrate nel 2000 erano pari al 4 per cento del PIL nazionale – hanno contribuito alla crisi finlandese anche le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia, uno dei più importanti partner commerciali della Finlandia, e il progressivo restringimento del mercato della carta. Nel 2011 l’ex primo ministro Alexander Stubb disse che «in maniera un po’ paradossale, si può dire che l’iPhone abbia ucciso Nokia e che l’iPad abbia fatto lo stesso con il business finlandese della carta».

Secondo O’Brien, i problemi della Finlandia erano in qualche modo inevitabili: non si poteva evitare che Nokia finisse così, per esempio. Oggi però si può ipotizzare che nel caso la Finlandia avesse mantenuto il marco le cose sarebbero potute andare in modo diverso.

Quando in un sistema economico accade uno “shock” del genere, che sia colpa delle banche o dell’industria, l’economia deve ridurre i propri costi per riacquistare competitività. Ci sono solo due modi per farlo: svalutare la moneta, cosicché pagare gli stipendi costi di meno, oppure tagliare gli stipendi stessi. Ora, questa può sembrare una distinzione risibile, ma non lo è: è molto più facile e meno doloroso tagliare un valore (svalutare la moneta) piuttosto che tagliarne molti (gli stipendi delle persone). Con la svalutazione, inoltre, non sei costretto a licenziare nessuno. […] La Finlandia non ha potuto però adottare questa soluzione – cosa che farebbe normalmente un paese nella sua situazione – perché non ha una propria moneta: ha l’euro.

La Finlandia ha invece adottato la prima soluzione: il nuovo governo guidato dall’imprenditore Juha Sipila sta studiando alcune misure di austerità – fra cui una riforma del mercato del lavoro – che presenterà ai sindacati il 31 luglio. Data la grave situazione dell’economia finlandese, serviranno probabilmente diversi anni per rimetterla in sesto.

O’Brien spiega che il paragone più utile per capire cosa sarebbe successo nel caso in cui la Finlandia avesse conservato il marco è osservare cosa è accaduto alla Svezia: un paese dalle caratteristiche simili che però non è entrato nell’euro su indicazione di un referendum tenuto nel 2003. Finlandia e Svezia sono cresciute in modo molto simile dal 1989 al 2008. Entrambe hanno risentito della crisi, ma la Svezia ne è uscita meglio: dal 2008 al 2014 la sua economia si è complessivamente espansa di un punto di PIL, mentre quella finlandese ha oggi cinque punti in meno di PIL rispetto al 2008.

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Il tasso di variazione del PIL di Svezia e Finlandia, comparato: il valore 0 è assegnato al loro PIL del 1989.

Quelli che non la pensano come O’Brien
Tre giorni prima dell’articolo di O’Brien, l’ex primo ministro Alexander Stubb – oggi ministro delle Finanze – aveva detto al New York Times che gli scenari positivi sulla conservazione del marco finlandese sono «spazzatura»:

«All’inizio degli anni Novanta in Finlandia c’erano una crisi bancaria e una depressione economica, ed eravamo a malapena nella classifica dei primi 30 paesi al mondo per reddito pro capite. Poi abbiamo deciso di aprirci, e siamo diventati membri dell’Unione Europea. Oggi siamo più in alto nel reddito pro capite, appaiati a Svezia, Danimarca, Australia e Canada anche per quanto riguarda altri parametri. La svalutazione della moneta funziona un po’ come il doping: va bene nel breve termine, ma non dà benefici alla lunga. Come tutti gli altri paesi, abbiamo piuttosto bisogno di riforme e aggiustamenti strutturali».

Il New York Times ammette i problemi citati da Krugman e dagli altri economisti, ma introduce anche un altro tema: i legami con l’Unione Europea, che vanno molto al di là dell’euro e potrebbero essere la chiave per capire perché ad esempio i cittadini finlandesi non abbiano eletto un governo più “populista” (secondo l’Economist, durante l’ultima campagna elettorale i principali partiti «erano in disaccordo solo sulla rapidità e la composizione delle misure di austerità, e non sulla loro dimensione»):

Gli europei si stanno occupando della situazione a lungo termine, e dei vantaggi che l’euro e la sua simbolica integrazione potranno potenzialmente portare. Finora l’euro non ha dimostrato di riuscire a tenere in equilibrio le economie che lo utilizzano. Se riuscirà a portare vantaggi a lungo termine, è opinabile: ma la risposta può variare se ci troviamo a New York oppure a Espoo (in Finlandia).