Servono più leggi sul suicidio assistito, dice l’Economist

Ne parla sull'articolo di copertina dell'ultimo numero, raccontando i casi "di successo" di Oregon, Belgio e Olanda

( John Moore/Getty Images)
( John Moore/Getty Images)

L’Economist, uno dei più famosi newsmagazine al mondo, ha dedicato l’articolo di copertina del suo ultimo numero al tema del suicidio assistito, cioè la pratica di consentire a un paziente in condizioni di salute estreme di scegliere se assumere una sostanza per morire. L’Economist prende una posizione molto netta a favore dell’introduzione di leggi più estese sul suicidio assistito: scrive che decidere come morire è un «diritto» che va rispettato, al pari di scegliere chi sposare e del diritto ad abortire.

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Per il momento solo alcuni stati europei e americani hanno una legge che permette il suicidio assistito o altre forme di eutanasia. Il sostegno verso questa pratica «si sta allargando», dice l’Economist: 20 stati americani stanno esaminando altrettante leggi in materia, mentre nei prossimi mesi i parlamenti di Regno Unito e Germania discuteranno leggi simili. Inoltre, nei posti dove il suicidio assistito è permesso la pratica sta “funzionando”: in Oregon, dove una legge sul suicidio assistito è in vigore dal 1997, solamente 1327 persone hanno ricevuto il permesso dai medici di iniettarsi una sostanza per morire – perlopiù persone istruite, e motivate unicamente dal dolore – mentre solo due terzi di loro lo hanno fatto.

Secondo una delle critiche più frequenti fatte a leggi simili, facilitare l’accesso al suicidio assistito comporta consentire che chiunque, anche persone vulnerabili, possa morire senza solide motivazioni mediche. Altri ancora, in maniera più radicale, ritengono che la vita umana sia «sacra» (è il caso per esempio dei cattolici) oppure che portare a termine la propria vita sopportando il dolore sia una dimostrazione di dignità e coraggio. Spiega l’Economist che «questi punti di vista sono molto sentiti e meritano di essere presi seriamente. Ma anche la libertà e l’indipendenza sono causa di dignità. Entrambe aggiungono valore, e non lo sottraggono. In una società laica, è assurdo rinforzare la “sacralità” della vita in termini astratti, salvo poi rendere molte e singolari vite piene di dolore, miseria e sofferenza».

Una proposta
Per molti, secondo l’Economist, una buona base da cui partire per scrivere una legge sul suicidio può essere quella già in vigore in Oregon: consente ai medici di permettere il suicidio assistito a pazienti a cui rimangono meno di sei mesi di vita, nel caso ricevano un secondo parere positivo di un altro medico.

Noi vorremmo andare ancora oltre. L’Oregon, per esempio, insiste che sia il paziente stesso a somministrarsi l’iniezione, così da evitare che sia una persona che rimarrà ancora in vita ad effettuare l’eutanasia. Ma l’effetto pratico di questa misura è che le persone che hanno gravi impedimenti non possono chiedere aiuto per morire. E gli attivisti più accaniti in favore della campagna per consentire ai medici di effettuare l’iniezione sono proprio i pazienti che soffrono di malattie come la SLA, che causa una progressiva paralisi. Queste persone vogliono sapere che nel momento in cui non gli sarà possibile farlo da soli, riceveranno l’aiuto di qualcuno per morire, se lo desiderano. Permettere che a farlo siano i dottori glielo consentirà.

Due casi particolari
L’Economist riconosce due casi da trattare con molta cautela: quello dei bambini e quello delle persone che soffrono di malattie mentali. Nel penultimo numero del New Yorker è raccontata in un lungo articolo la storia di Godelieva De Troyer, una donna belga di 64 anni che è morta nel 2012 dopo essersi rivolta a una clinica per il suicidio assistito gestita da un famoso medico belga, Wim Distelmans. La storia è diventata molto nota in Belgio perché Distelmans ha soddisfatto le richieste di De Troyer – una malata cronica di depressione – senza avvisare la famiglia: uno dei figli di De Troyer ha scoperto della morte di sua madre solamente alcuni giorni dopo l’iniezione, e si è molto arrabbiato con Distelmans. In seguito è emerso che De Troyer aveva faticato molto per trovare tre medici che ritenessero incurabile la sua situazione, come richiede la legge belga, e che in generale aveva appena concluso una lunga relazione sentimentale.

L’Economist, nonostante prescriva che nei casi di malattia mentale «le misure di sicurezza devono essere forti, e dev’esserci un parere medico indipendente che certifichi la prognosi e le condizioni del paziente», conclude però che «le persone più determinate non sempre agiscono in maniera saggia, non importa quanti consigli ricevano».

Sarebbe sbagliato, quindi, negare a tutti il diritto di ottenere un suicidio assistito solamente per questa ragione. Un adulto maturo ha già la possibilità di compiere scelte di vita nette e irrevocabili, come cambiare sesso o abortire. Le persone meritano di avere la stessa autorità sulla propria morte. Invece di morire fra sconosciuti e avvolti da luci abbacinanti, ciascuno dovrebbe avere il diritto di concludere la propria vita quando si ritiene pronto, circondato o circondata dalle persone che ama.