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  • Mercoledì 24 giugno 2015

La decisione di Obama sulle famiglie degli ostaggi

Gli Stati Uniti non perseguiranno più i parenti delle persone rapite all'estero che cercano di negoziare con i terroristi e pagare un riscatto

Barack Obama a San Francisco, 19 giugno 2015. (AP Photo/Carolyn Kaster)
Barack Obama a San Francisco, 19 giugno 2015. (AP Photo/Carolyn Kaster)

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato che il governo federale non perseguirà più penalmente le famiglie degli ostaggi americani detenuti all’estero che cercheranno di pagare un riscatto per la liberazione dei loro parenti. Obama ha detto che pur restando valido il divieto di fare concessioni ai sequestratori, il governo darà sostegno alle famiglie durante le trattative: potrà comunicare e negoziare con coloro che tengono in ostaggio cittadini americani o aiutare le famiglie che cercano di ottenere la loro liberazione. Il dipartimento di Giustizia statunitense «non intende aggiungere al dolore delle famiglie» anche il pensiero di «trovarsi ad affrontare un processo penale». Obama ha assicurato che, quando sarà possibile farlo, le famiglie potranno ricevere rapidamente informazioni sui loro parenti sequestrati e sugli sforzi del governo per recuperarli. Obama firmerà una direttiva presidenziale e un ordine esecutivo.

La decisione annunciata oggi, scrive il New York Times, è stata presa da Obama lo scorso dicembre, dopo i rapimenti e le decapitazioni di prigionieri americani compiuti dallo Stato Islamico (o ISIS): Obama era stato accusato di non aver fatto abbastanza per ottenere la loro liberazione. Nell’agosto del 2014 lo Stato Islamico aveva diffuso il video dell’assassinio di James Foley, un giornalista statunitense che era stato rapito in Siria nel novembre del 2013. L’ISIS aveva chiesto agli Stati Uniti un riscatto di diversi milioni di dollari – 132,5 milioni, cioè circa 100 milioni di euro – in cambio del rilascio di Foley. Il governo americano si era rifiutato di pagare e aveva inviato un team di forze speciali per cercare di liberarlo, senza riuscirci. Diane Foley, la madre del giornalista ucciso, aveva criticato pubblicamente il governo dicendo che tutti gli sforzi della famiglia «erano considerati una seccatura» e che la liberazione del figlio «non sembrava essere negli interessi strategici degli Stati Uniti».

Gli Stati Uniti sono uno fino dei pochi paesi al mondo a non considerare il pagamento del riscatto come strumento per ottenere la liberazione dei propri cittadini presi in ostaggio all’estero da gruppi terroristici, preferendo sempre un’azione di tipo militare: in questo modo il governo americano spera di scoraggiare eventuali rapimenti di suoi cittadini da parte di gruppi ribelli o terroristici. In realtà in almeno un caso il governo si è comportato diversamente, trattando e trovando un accordo con i talebani afghani. Nel giugno del 2014 il presidente Obama ha annunciato la liberazione del sergente Bowe Bergdahl rapito nel 2009 dai talebani afghani: Bergdahl era stato liberato in cambio del rilascio di cinque leader talebani detenuti nella prigione americana di Guantanamo a Cuba.

Nel nuovo piano voluto da Obama è prevista la creazione di una squadra della Casa Bianca per supervisionare la situazione degli ostaggi, la nomina di un inviato speciale presso il Dipartimento di Stato per curare i rapporti tra il governo degli Stati Uniti e i paesi dove si trovano gli ostaggi e una squadra dei servizi segreti in grado di lavorare sulla declassificazione di informazioni da poter condividere con i membri delle famiglie.