Platini, una leonessa e la Coppa dei Campioni
Un capitolo del nuovo libro di Michele Dalai, che racconta la storia di un criminale torinese di periferia
Feltrinelli ha pubblicato Onora il babbuino, il nuovo romanzo di Michele Dalai, scrittore ed editore di Baldini e Castoldi. Il libro è ambientato a Torino e racconta la storia di Cardo, figlio di un carabiniere che decide di vivere di espedienti, tra belle donne, gioco d’azzardo e droghe, protetto dalla sua gang e da una leonessa chiamata Kira. Di seguito il dodicesimo capitolo del libro, quando Cardo si presenta davanti allo stadio Combi per mostrare Kira al suo eroe Michel Platini, prima che la Juventus parta per Atene per giocare la finale della Coppa dei Campioni del 1983.
***
Ho avuto tante donne io, quante non te ne puoi nemmeno immaginare.
Cardo era una malattia contagiosa, a un certo punto se la volevano prendere tutti.
La reputazione fa miracoli, è la cosa più importante che abbiamo, senza reputazione siamo come gli alberi di Natale che non hanno le palle colorate.
Hai presente che tristi i boschi di montagna con tutti quei minchia di abeti verdi che non lampeggiano?
Ecco cosa siamo senza reputazione, alberi senza le palle.
Io ne avevo e ne ho ancora, scoparsi Cardo era di moda perché se lo era scopato un’amica e l’amica di un’amica. Certo, ti senti un po’ puttana dopo un po’ ma sono cose che ci si abitua alla svelta.
Alla fine impari che è anche divertente, te ne stai lì a casa sul divano e il campanello suona continuamente, arrivano una dopo l’altra e sono tutte diverse.
Alte.
Basse.
Magre.
Grasse.
Sposate.
Sposate con uno che conosci.
Sposate con un tuo amico.
Sposate con l’amico di uno che conosci.
Migliori amiche di una sposata con l’amico di uno che conosci e che ti sei scopato la sera prima.
Lei, non l’amico di uno che conosci. Sempre meglio chiarire.
Devi solo fare lo sforzo di aprire il cancello e farle entrare, il resto è tutto un no cosa fai, dai ti prego fallo!
Quando ero famoso poi era anche peggio.
Certo che sono stato famoso, che cazzo mi significa quella faccia?
Sono stato sui giornali io, tutti i telegiornali d’Italia hanno parlato di Cardo.
Colpa del leone.
Te l’ho detto di Kira, vero?
Che bella bestia, che animale meraviglioso Kira.
Se è vero che gli occhi del cane lupo sono fantastici, quella leonessa era elegante e seduttrice che minchia se solo avesse avuto la parola e se non m’avesse sempre fatto un po’ schifo l’idea di ingroppare un leone quella sarebbe stata la femmina della mia vita.
Lei lo sapeva bene e teneva lontane tutte le altre, quello fu un periodo difficile per Cardo e per le signore che venivano a farsi festeggiare. Per evitare che facesse una carneficina dovevo rinchiudere Kira e quella faceva il diavolo a quattro.
Te l’ho già detto?
Pazienza, meglio per te, magari impari qualcosa.
Kira era un dono del Signore e una punizione del Demonio nella stessa bestia, sceglieva lei quando essere una cosa e quando l’altra, ma a un certo punto fui costretto a portarmela dietro ovunque perché non mi fidavo più a lasciarla da sola in casa o in carrozzeria.
Quegli arnesi lì quando crescono lo fanno seriamente, mica per scherzare come un gatto. Diventano enormi e pericolosi e scelgono loro chi rispettare, che poi c’è tutta quella storia del territorio che complica ancora di più le cose.
Se ero uno da ufficio c’era poco da fare, ma per fortuna l’ufficio è l’ultimo posto al mondo in cui cercarmi e al chiuso non ci so stare. Io amo stare all’aperto, il vento in faccia e se non ce n’è accelero io, che in questa minchia di pianura l’aria a volte è un lusso che nemmeno a fare le gioiellerie la trovi.
Cardo invece lo trovavi in giro a tutte le ore sul suo carro attrezzi rosso fiammante, perché il colore è importante e se vuoi dare l’impressione di essere il più veloce devi avere il colore della macchina giusta.
La Ferrari, scimunito, ne esistono altre?
Cardo aveva un carroattrezzi rossoferrari e sfrecciava a tutti gli incroci di Collegno, Nichelino e fino a Moncalieri.
Dove c’era un incidente arrivava Cardo, Carrozzeria Lussemburgo pronta per servirla, capo…
Perché, non posso parlare di me in terza persona? Chi cazzo saresti tu per deciderlo, Nostro Signore Gesù Cristo amministratore delegato di tutti i santi del cielo? Parlo come pare a me, se decido di raccontare le cose come se eran capitate a un altro sono affari miei, lo facevano in tanti, lo fanno ancora.
Napoleone, per esempio.
Anche Ravanelli e quei minchia di tronisti che vanno in televisione, tutta gente importante e famosa, come Cardo in quegli anni.
Quando Kira fu un problema troppo grosso, decisi di portarla con me.
Che spettacolo, ragazzo…!
Io e Kira sul carro rosso a tutta velocità, lei con la capoccia enorme fuori dal finestrino per prendere aria come fosse un volpino qualsiasi. Ogni tanto ai semafori cercava di saltare fuori per mangiarsi i cani che incrociavamo o prendere a zampate le vecchie con i carrelli della spesa, ma la tenevo legata al piantone dello sterzo e non riusciva a saltare fuori.
Che coppia eravamo, sulla bocca di tutti.
Che poi grazie a quella pubblicità io sulla bocca di tutte ci finivo veramente.
Sai come funziona…
“Lo conosci Cardo, quello di Collegno?”
“Dici quello che ha il leone in macchina?”
“Lui.”
“Che uomo…”
Kira faceva bene il suo lavoro, cosa che ogni tanto gliene avrei pure lasciata una o due di quelle cristiane che mi permetteva di portare a casa, anche solo per ringraziarla.
A quei tempi non era vietato tenere una bestia meravigliosa del genere, ma mica perché non era pericolosa.
No.
Solo perché nessuno degli avvocati che scrivono le leggi si era mai impicciato del caso: a nessuno era venuto in mente che forse avere un pitone di quattro metri come animale da compagnia poteva essere una sciocchezza, e allora sotto con tutta l’arca di Noè.
Scimmie, serpenti, leonesse, uccelli colorati e con tre culi, più strano era l’animale che ti mettevi in casa e più cresceva la reputazione.
Sempre storie di reputazione come vedi.
Sai quando hanno scritto la legge, sai perché?
Per colpa di Cardo.
Quella volta ho combinato un casino bello grosso, la volta che sono diventato famoso.
Che ore sono?
Certo che ho l’orologio, ma voglio controllare se facciamo la stessa ora. Quasi ci siamo. Sei pronto?
Bene.
Questa però voglio raccontartela.
Te lo ricordi Platini?
Certo che sai chi è, adesso è un tizio elegante che fa battute spiritose e si strizza le chiappe del culo dentro ai completi costosi da signori, ma io non parlo di questo Platini e nemmeno di un altro.
Quello di cui ti voglio raccontare è Michel Platini trent’anni fa, portento di giocatore con la faccia del francese sciupafemmine, quello che giocava per divertirsi e minchia se divertiva anche me. Hai presente uno che sembra che gli riesce tutto facile e che gioca con te per farti una cortesia?
Quello era Michel, il mio Michel.
Teneva due gambe magre e sottili come i chiodi, portava i capelli ricci un po’ lunghi ma come se voleva dirti che non aveva né tempo né voglia di pettinarli ma neanche di farli crescere. Dice che l’Avvocato gli telefonava continuamente e mica che quello chiamava qualsiasi stronzo, sant’uomo dell’Avvocato.
A me piacevano quelli così, come l’Avvocato e Michel Platini, non il calcio in sé, chi cazzo se ne frega.
Da piccolo ho scelto la Juventus perché sapevo che mio padre ci teneva, non volevo dargli un dispiacere. Voglio dire uno in più oltre a tutti gli altri.
Ogni tanto andavo allo stadio con lui, la mamma mi costringeva a mettere la maglia di lana e sopra papà mi infilava quella della Juve, una minchia di palombaro con l’orticaria sembravo. Passavo tutta la partita a grattarmi perché quelle robe lì erano fatto con sa il cazzo cosa, sembravano cucite insieme con tutte le spine di un rovo di more, soffrivo come un pazzo e così quando a papà è passata la voglia o forse nessuno gli regalava più i biglietti ho smesso anche io.
Troppe altre cose da fare.
Le femmine, gli affari, la vita.
Chi minchia se ne fotte di andare a strillare con le vene del collo di fuori per undici stronzi che tanto rivedi al night dopo tre ore che la partita è finita?
Meglio berci insieme e fottergli le donne, senza tutto il freddo e le maglie di lana tra i coglioni.
Ma Platini no, io lo amavo.
Tu che sei istruito sai come si chiama uno che all’improvviso fa una cosa che nessuno si aspetta?
Fantasista? Fa schifo al cazzo ma facciamo che si dice così.
Michel era uno fuori dagli schemi, gli altri correvano come somari e lui rallentava, gli altri rallentavano per ragionare e lui sgroppava come un cavallo elegantissimo. Metteva la palla dove pareva a lui e mi aveva convinto a tornare allo stadio.
Che uomo, che artista.
L’anno che è arrivato, dopo poche partite tutti hanno iniziato a rompere i coglioni. Devi sapere che per prendere lui avevamo mandato via Brady, un irlandese pallido che sembrava un prete buono.
Come chi?
L’avevamo mandato via io e l’Avvocato, che cazzo lo chiedi a fare?
La Juventus lo aveva mandato via, sei più contento così?
Bravo, sempre importante la precisione, anche quando uno ti minaccia con le armi come sto per fare io.
Brady era bravo e aveva fatto il suo dovere e tutti avevano cominciato a chiedersi perché cazzo lo avevano sostituito con questo nipote di emigranti con la faccia smorta come uno che ha appena avuto una brutta polmonite e si deve ancora riprendere.
Poi lo avevano capito.
Minchia se l’avevano capito!
Quello era un genio, partita dopo partita aveva iniziato a fare gol e non si era più fermato.
Segnava in tutti i modi, amico mio.
Di destro, di sinistro, di testa, di petto, di culo e non escludo che abbia anche usato il cazzo per fare gol, sono sicuro che l’ha usato almeno una volta.
Com’è come non è Platini si era caricato sulle spalle uno squadrone, quella era gente che aveva appena vinto un Mondiale e che giocava a memoria.
Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli, Paolo Rossi e in panchina quello matto, quello che fischiava sempre e che non si capisce mai che cazzo dice.
Quello.
Insomma alla fine non abbiamo vinto lo scudetto ma il francese aveva segnato una caterva di gol ed eravamo arrivati alla finale della Coppa dei Campioni.
No, si chiamava proprio Coppa dei Campioni e basta e quell’anno la finale era ad Atene.
25 maggio 1983, io non c’ero.
Ho paura degli aerei, amico mio, se il Signore Iddio padre di Cristo voleva farmi volare mi riempiva di piume e mi piazzava una coda proprio sopra il culo così potevo usarla come timone per arrivare all’incirca sopra la tua testa e cal- colando bene le correnti cagarci con gioia, ma siccome non me le ha fatte io non volo.
Non vado nemmeno sott’acqua…
Ecco, bravo, il Santissimo non mi ha fatto le branchie e nemmeno una faccia da scemo lesso come la tua che in mezzo ai pesci ci sta bene.
Cardo cammina fiero sulla terra e se deve andare in acqua ci va su una cazzo di barca.
Certo, avrei potuto prendere la macchina e partire un po’ prima, ma in quel periodo c’era molto lavoro e poi dove cazzo lasciavo Kira, mica potevo chiedere a un amico se mi reggeva il leone per due o tre giorni.
Così ho pensato che se non potevo accompagnare Michel ad Atene, almeno dovevo salutarlo prima che partiva.
La squadra si allenava al Combi, un vecchio stadio che a quei tempi non era così vecchio e che avevano dedicato a un vecchio giocatore che povero cristo non aveva nemmeno fatto a tempo a diventare vecchio perché era morto molto prima.
Insomma, hai capito.
Son lì che ci penso e che mi dispero perché non posso andare ad Atene quando mi dico: Cardo, che minchia e minchia, perché non vai al Combi oggi stesso e saluti Michel, che a lui magari gli fa anche piacere.
Non che ci conoscevamo, ma lo avevo visto un po’ di volte in giro e avevo capito che ammirava me e il leone, che eravamo gente al suo livello, gente e bestie al suo livello.
Tra di noi uomini speciali ci si intende.
E allora mi rispondo: Bravo, Cardo, sei un genio. Esci Kira dal cortile, montala sul carro e vai!
Che a me capita spesso di parlare da solo, dicono che succede sempre alle persone molto intelligenti e a quelle che fanno le pubblicità degli assorbenti in televisione, la differenza è che quelle si mettono anche a correre e a cantare all’improvviso, come se l’assorbente l’hanno riempito di anfetamine.
Quindi senti che ho fatto: ho messo il guinzaglio a Kira e l’ho infilata nella cabina del carro, sono salito anche io e sono partito per il Combi. Prima di mettere in moto però mi sono ricordato di chiedere a un amico a che ora si allenavano di preciso, che poi glielo spieghi tu a un leone di centoquaranta chili che deve stare al sole ad aspettare Platini.
“Fanno la rifinitura alle tre.” “Che cazzo fanno?”
“La rifinitura.”
“Che cos’è?”
“Cosa?”
“La rifinitura.”
“Ah, non lo so, tipo che scendono in campo e corrono ma solo un po’ meno della mattina perché sono vicini alla partita.”
“Grazie.”
“Prego.”
Alle 2 e 50 parcheggio il carro rossoferrari davanti al Combi.
Alle 2 e 51 scendo Kira dalla portiera del passeggero. Alle 2 e 51 e pochissimo dopo Kira inizia a tirare ventre a terra come se deve mangiarsi tutto lo stadio e la gente che sta davanti al cancello scappa gridando.
Alle 2 e 52 ci siamo solo io e Kira davanti al cancello e a molti metri di distanza ci sono tutti gli altri, giustamente muti, giustamente rispettosi.
La reputazione e il rispetto sono tutto.
Alle tre il cancello si apre lentamente, le due ante si separano e nel mezzo passa la luce e si vede il campo verde, le tribune vuote.
Penso: Minchia la tecnologia, come cazzo si apre bene questo cancello automatico.
Poi mi accorgo che il cancello non è elettrico, automatico e meccanico nemmeno per sogno e tu ti chiederai perché e se non te lo chiedi chieditelo.
Perché?
Perché sbuca lui.
Piccolo come un uomo che gli hanno segato le gambe, con una testa enorme e la faccia cattiva come quella del diavolo porco, una cosa che a guardarlo tutto insieme ti rendi conto che i suoi genitori l’han proprio fatto incazzare al Signore Iddio, glieli hanno fatti girare di brutto.
Ora tu devi sapere che quando vedo un nano io mi metto a ridere, è più forte di me. I nani e quelli con i capelli molto ricci mi fanno ridere, io mica riesco a prenderli sul serio, porca puttana, e non c’è niente da fare, non è una questione di rispetto e di educazione, è così e basta.
Negli anni ci ho lavorato su ma allora ero ancora troppo giovane e ragionavo poco.
Perché prova a indovinare come aveva i capelli quel nano?
Bravo, una cofana enorme di capelli ricci neri, sembrava un pupazzetto di Maradona però con la faccia cattiva, uno di quelli che appendi allo specchietto retrovisore solo che questo non l’avresti appeso perché c’era da cagarsi addosso e uno può mica spaventarsi ogni volta che fa una retromarcia oppure controlla chi ha dietro.
Ci troviamo così, io e il nano uno di fronte all’altro, nel mezzo qualche metro e dietro di noi tutti in silenzio.
Il nano guarda me che guardo lui che guarda il leone che guarda il nano e mica capisce bene che cazzo è quella cosa lì e allora guarda me.
“Porti via quella bestia!”
Il nano ha una voce strana che andrebbe bene su un bambino di sei anni ma non su di lui.
“La bestia è con me, entriamo insieme.” “Porti via quella bestia immediatamente!” “Ascolti, signor Nano…”
“Come mi ha chiamato?”
“Le ho dato del lei, ho detto ascolti, signor Nano…”
“Porti via quella bestia e se ne vada, faccia alla svelta o chiamo le forze dell’ordine!”
Ora tu capisci che già sei nano e hai i capelli come se ti sono esplose due cariche di dinamite da cava in testa, già hai la voce di uno a cui hanno chiuso i coglioni nella portiera e poi sono partiti e se li sono portati via, ma non puoi essere anche così cafone, minchia non puoi!
“Senta, Nano, facciamo le cose semplici. Io non ce l’ho con lei, devo solo vedere Michel e fargli salutare l’animale, poi me ne vado con calma e non creo problemi a nessuno, è questione di cinque minuti.”
“La smetta di offendermi!”
“Ma non ti ho detto un cazzo, porca puttana, voglio solo salutare Michel, carogna di un brutto nano. Stiamo perdendo tempo sia io che tu, fammi entrare e la facciamo finita in un attimo.”
“Non posso farla entrare con quell’animale, è pericoloso. Non se ne parla nemmeno e poi glielo dico per l’ultima volta, la smetta di offendermi. Dovrebbe vergognarsi!”
Eh no.
Proprio non ci siamo.
Ma come, io arrivo e gli do del lei, chiedo educatamente di incontrare Platini e gli spiego che ci tiene anche Platini, stringo l’animale al guinzaglio e l’animale è pulito e mansueto come nemmeno tutti i cristiani che aspettano cento metri dietro messi insieme e tu mi fai una scena del genere?
Non ci siamo.
“Ascolta, mi stai facendo arrabbiare e non vuoi farmi arrabbiare, te lo garantisco. Non vuoi che Cardo si arrabbi e poi si ricorda chi sei e ti viene a cercare. Non vuoi che tutta la tua famiglia di nani ti pianga fino alla settima generazione, vero?”
A quel punto il nano fa una cazzata.
Succede sempre così nella vita, è una questione di centimetri. Un centimetro in meno e schivi il treno che non avevi visto perché ascoltavi le tue minchia di cuffie con la musica da negri, un centimetro in più ed eviti il vaso che una stronza con il pollice verde ha fatto cadere dal davanzale. Questione di centimetri e il nano, che per definizione di centimetri ne fa pochi, si muove in avanti quel che basta per fare innervosire Kira.
Basta un attimo, forse il nano è solo nervoso e fa quel movimento per caricare meglio la voce, forse vuole solo strillare e si sta riempiendo d’aria ma quello che l’animale vede è uno scherzo della natura con un sacco di pelo addosso che si muove di scatto verso di lei, un gomitolo di lana enorme che la invita a giocare.
Lo sanno anche i bambini che ai gatti piace giocare con i gomitoli, può essere che un nano non sappia che al leone piacciono i gomitoli più grandi?
Kira salta in avanti e io perdo l’equilibrio.
L’animale è intelligente ma non sta a pesare i dettagli.
Il guinzaglio è un dettaglio, Cardo (che poi sono io) pure e non è il caso di perderci tempo, quindi Kira mi tira in terra e mi trascina mentre corre verso il nano.
Quel giorno indosso la mia maglia preferita, aderente e nera come l’Africa dopo il tramonto, sono tutto profumato e in serata devo scopare, quindi tu capisci che finire pancia in giù e farsi trascinare per dieci metri da una leonessa non è la cosa che voglio, non quella che mi serve.
Allento la presa e lascio il guinzaglio, Kira è libera.
Quando se ne accorge si ferma per un secondo, povera bestia, è stupita da tanta grazia.
Prova a pensare di essere lei, guarda la scena con i suoi occhi, che anche se la vede in bianco e nero è sempre una cazzo di bella scena.
C’è lei, ci sono pochi metri, c’è il nano a forma di gomitolo e dietro un prato enorme con un sacco di cristiani che corrono dietro a un pallone.
Ora prova a pensare di essere il nano, non c’è bisogno che ti metti in ginocchio, immaginatelo e basta.
C’è un leone libero di fronte a te.
Poi scoppia il finimondo, finisce il secondo di pausa e sembra di stare su un campo di battaglia.
Il nano caccia un urlo assurdo, poi si gira e parte di corsa verso l’interno dello stadio.
Kira all’inizio quasi si spaventa, ma si riprende subito e parte alla rincorsa del suo nuovo amico.
Dietro ci sono io e dietro di me duecento persone che vedono il cancello aperto, un leone che corre e che forse sta per sbranare qualche giocatore.
Come cazzo la vinci la Coppa dei Campioni se ti sbranano la squadra?
Corriamo tutti e poco dopo corrono anche i giocatori che hanno visto il leone.
Ma a Kira non interessano loro, non le interessa nemmeno il pallone.
Kira vuole il nano, quel cazzo di nano arrogante.
Dentro allo stadio c’è il panico, non si capisce più niente. Alcuni dei giocatori scappano negli spogliatoi, quelli che non ci arrivano si nascondono chi in panchina, chi in tribuna. Uno si arrampica sul palo e si mette seduto sulla traversa. In tribuna c’è il presidente, uomo molto distinto, che si è perso l’inizio della scena ma ama gli animali, quindi tra un nano vestito da clown e un leone fiero e bellissimo non ha dubbi. Quando il presidente vede che la sua scorta punta le armi su Kira si mette a strillare anche lui, così forte che lo si sente anche nel casino infernale che c’è.
“Che cazzo fate? Sparate al nano, sparate al nano e non alla bestia!”
Sembrava ferragosto, figliolo. Quello o il giorno del giudizio.
A quel punto il nano inciampa, Kira gli è addosso in un balzo e inizia… a giocarci!
Lo prende a zampate e lo rotola e quello sviene.
I carabinieri non sparano perché al presidente si obbedisce sempre, il presidente parla come l’Avvocato e ti pare che un cazzo di appuntato si permette di fare di testa sua?
Arrivo di corsa e recupero il guinzaglio, riesco a trascinare via Kira e tutti si calmano.
I duecento che sono entrati dietro di me e che si sono messi a gruppi di dieci davanti ai giocatori per difenderli si rilassano e camminano verso le tribune.
Alcuni dei giocatori, quelli più coraggiosi, si avvicinano per toccare Kira che siccome è un po’ puttana da loro si fa accarezzare.
Il nano si risveglia e vuole denunciarmi ma viene licenziato sul posto.
Il presidente gli dice che non si era mai accorto di lui e che non avrebbe mai assunto uno così brutto, così stronzo e che odia gli animali. Ma soprattutto che non avrebbe mai assunto uno che spalanca il cancello a un leone.
Tutto bene quel che finisce bene?
Col cazzo.
Platini non c’è.
Esatto, Michel quel giorno non c’è, è rimasto a casa con il permesso della società. Che sfiga.
Ah, poi c’è anche un’altra sfiga.
Tra il pubblico c’è un cazzo di giornalista che è amico di un cazzo di giudice che conosce qualcuno alla cazzo di zecca dove si stampano le leggi. Il giornalista pensa che è una pazzia e uno schifo che uno può tenere un leone in casa.
Capisci che merda?
Puoi tenere un nano cattivo ma non un leone bravo, pulito ed educato.
Così mi fregano, fanno la regola e mi costringono a dare via Kira.
O almeno ci provano.
Che ore sono?
Manca pochissimo, spero tu sia pronto, amico mio, quasi ci siamo. Che dici?
Mi suona il telefono?
Grazie, non l’avevo sentito.
Il tempo di rispondere e andiamo, ok?
– Capo?
– Dimmi!
– Sono io…
– Purtroppo sì, sei tu.
– Sono tornato dove dovevo tornare.
– Bene…
– Sì!
– Non devi dirmi altro?
– Sì, una cosa…
– Devo pregarti?
– No, capo, non serve!
– Non riesci a farmi incazzare di nuovo, non ci riesci. Dimmi, in fretta!
– Volevo dirti che mi spiace per quello che è successo.
– Mi hai chiamato per questo?
– No, cioè anche. Mi sembra importante avere buoni rapporti in momenti come questo…
– Bene, va bene. Nessun problema. – Ah, capo…
– Dimmi!
– Sono entrati…