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  • Martedì 16 giugno 2015

Jeb Bush alla fine si è candidato

L'ex governatore della Florida, e figlio e fratello di ex presidenti, lo ha annunciato nel suo primo comizio: è dimagrito parecchio, ha parlato molto in spagnolo e poco di politica estera

di Ed O'Keefe e Philip Rucker - The Washington Post

Jeb Bush (AP Photo/David Goldman)
Jeb Bush (AP Photo/David Goldman)

Jeb Bush, figlio e fratello di ex presidenti degli Stati Uniti, ha iniziato ieri ufficialmente a Miami (Florida) la sua campagna elettorale per la Casa Bianca, promettendo di riformare Washington e di portare il paese verso una nuova espansione economica. Nel corso di un comizio davanti a un pubblico piuttosto chiassoso e ricco di neri e latinoamericani, nello stato che ha governato per oltre 8 anni, Bush si è presentato come un amministratore compassionevole e collaudato che vorrebbe aggiustare le cose che non funzionano nel governo federale e fermare la politica del rischio calcolato, che porta i politici americani ad affrontare i problemi soltanto quando diventano enormi e complicatissimi. «Porteremo Washington, la capitale statica di un paese dinamico, a non creare più problemi. Torneremo al fianco delle libere aziende e delle persone. Lo so che possiamo aggiustare questa cosa, perché l’ho già fatto in passato», ha detto Bush.

Con la madre, l’ex first lady Barbara Bush, seduta in prima fila, Jeb Bush – che è molto dimagrito negli ultimi sei mesi – si è confrontato con la storia della sua famiglia: per lui è sia un’opportunità che un peso, dal punto di vista elettorale. Suo padre e suo fratello, George H.W. Bush e George W. Bush, non erano al comizio, ma Jeb Bush li ha evocati lo stesso dicendo di avere incontrato il suo primo presidente il giorno in cui era nato e il secondo quando era stato portato a casa dall’ospedale. Ma poi ha aggiunto che il semplice fatto di avere una stirpe come questa non è sufficiente per ottenere la nomination repubblicana. «Nessuno merita questo lavoro per via del curriculum, del partito, dell’anzianità o della famiglia. Non è il turno di nessuno: è un test per tutti ed è aperto, esattamente come dovrebbe essere una competizione per diventare presidente», ha detto Bush.

Parlando davanti a centinaia di sostenitori all’interno di una palestra di un college di Miami, Bush ha usato parole ispirate per descrivere ciò che ha definito «una nazione piena di anime caritatevoli». Sembrava fosse determinato a presentare una nuova faccia del partito Repubblicano, più accogliente, guardando sia alle elezioni presidenziali sia alle primarie. Non ha mai fatto riferimento diretto a qualsiasi altro candidato del partito, ma ha attaccato direttamente Hillary Rodham Clinton, dicendo che la candidata Democratica data per favorita attende «primarie senza suspense, per un’elezione che non porterà al cambiamento» per succedere al presidente Obama e «per proseguire con la stessa agenda politica usando un nome diverso». Ha poi aggiunto che «la presidenza non dovrebbe passare da un liberal a un altro».

Bush ha fatto riferimento alle cose fatte da governatore della Florida, incarico che ha mantenuto dal 1999 al 2007. Il suo governo, ha detto, ha portato a nuovi posti di lavoro, a un aumento dei redditi, a tagli delle tasse e a conti pubblici in ordine. «Non abbiamo bisogno di un altro presidente che sia solo il più importante membro della svogliata élite di Washington. Io sono stato un governatore riformatore, non il semplice socio di un club», ha detto Bush durante il comizio. Da presidente, ha poi aggiunto, prenderebbe decisioni ambiziose per quanto riguarda una riforma del fisco, annullando alcune regole volute da Obama e seguendo un approccio più serio per «ridurre il ruolo del governo federale».

Bush ha annunciato un piano ambizioso per portare a una crescita economica del 4 per cento all’anno, che secondo lui porterebbe a 19 milioni di nuovi posti di lavoro: «È possibile e può essere fatto». Ma non aveva invece preparato nulla di scritto nel suo discorso sulla riforma dell’immigrazione, un problema di cui si è occupato per anni e che divide moltissimo gli elettori Repubblicani. Solo quando una ventina di persone si è alzata in piedi per contestarlo sul tema, Bush ha deciso di occuparsene: «Il prossimo presidente degli Stati Uniti approverà una riforma significativa dell’immigrazione», ha detto abbandonando per un momento il discorso che stava leggendo dal gobbo.

Il comizio di lunedì è stato significativamente diverso da buona parte di quelli organizzati dagli altri candidati Repubblicani, e che hanno attirato più che altro elettori bianchi. Bush ha parlato nel campus del Miami Dade College, dove c’è uno dei più grandi corpi studenteschi latinoamericani, e ha riempito la palestra con sostenitori asiatici, neri e latini, giovani e vecchi, che hanno mostrato cartelli della campagna elettorale in inglese e in spagnolo. Prima che Bush salisse sul palco, una famiglia di cantanti cubani si è esibita con una serie di canti tradizionali. Poi un pastore battista nero ha definito Bush «un uomo di profonde convinzioni». La madre colombiana di una bambina disabile ha parlato di ciò che lui ha fatto in passato, con una presentazione in spagnolo. L’ex vicegovernatore di Bush si è rivolto alla folla dicendo: «È come una grande famiglia: la famiglia Bush, la grande famiglia Bush». Il senatore della Florida Don Gaetz ha invece detto che Bush «è la nuova Florida, è la nuova America, è il nuovo partito Repubblicano».

Il messaggio che Bush ha provato a trasmettere era chiaro: in un gruppo affollato di candidati, lui è il Repubblicano di esperienza che può ampliare il consenso verso il partito tra le minoranze, che per lungo tempo hanno votato i Democratici. Bush, che era di ritorno da una visita di cinque giorni in Europa, ha ottenuto alcuni degli applausi più rumorosi quando ha criticato la politica estera di Obama: «Con la loro politica del chiamali al telefono, gli Obama-Clinton-Kerry ci lasciano in eredità crisi non risolte, violenze non contrastate, nemici non nominati, amici indifesi e alleanze a pezzi».

L’annuncio di Bush, 62 anni, è arrivato dopo sei mesi intensi di viaggi e di raccolte fondi, che avevano fatto dubitare pochi sul fatto che stesse per candidarsi. Mettendo alla prova i limiti delle attuali leggi che regolamento il finanziamento delle campagne elettorali e attingendo a una rete di finanziatori già coltivata dalla sua famiglia negli ultimi 30 anni, Bush ha messo insieme decine di milioni di dollari per un comitato di raccolta fondi (Super PAC) a lui amico, che funzionerà in modo indipendente dalle attività della sua campagna elettorale e attaccherà i suoi concorrenti mentre Bush cercherà di ottenere il consenso necessario nei primi stati dove si vota per le primarie.

La competizione per la nomination Repubblicana è molto incerta e Bush compete con una serie di rivali più giovani, compreso il suo ex delfino Marco Rubio, della Florida come lui. Bush ha fatto intendere che userà la sua esperienza per differenziarsi da Rubio e da altri senatori al loro primo mandato: «Non c’è modo di passare ad altri le proprie responsabilità quando sei governatore, non puoi nasconderti tra la folla degli altri legislatori o presentare un emendamento e poi definirlo un successo. Come la nostra nazione ha imparato dal 2008, essere stati amministratori diretti è tutta un’altra cosa e non c’è qualcosa che possa sostituire questa esperienza». Per presentare Bush sul palco, Gaetz ha usato frasi più ficcanti: «La presidenza degli Stati Uniti non è come una bicicletta cui si possono mettere le rotelle: il Repubblicano della Florida che può vincere è Jeb Bush».

Bush ha poi lasciato Miami per volare in New Hampshire, per quattro giorni di campagna elettorale in uno stato molto importante per le sue prime speranze. Mercoledì dovrebbe andare in Iowa, dove gli elettori conservatori sono ancora molto scettici sulle sue possibilità. Nel South Carolina, giovedì, dovrebbe dare qualche informazione in più sul suo programma per quanto riguarda la politica estera e quella militare. Venerdì intende essere a Washington per la sua prima raccolta fondi ufficiale da candidato, poi ritornerà in Florida per una raccolta fondi a Tampa.

Il comizio di ieri aveva comunque qualcosa della riunione familiare. Oltre a sua madre, John Ellis Bush – chiamato Jeb dalla madre per via delle sue iniziali – c’erano sua moglie, Columba, i loro tre figli con le loro rispettive famiglie, più i nuovi arrivati Neil Bush e Doro Bush Koch. C’era anche la famiglia politica allargata del nuovo candidato: circa 400 ex collaboratori e sostenitori che parteciparono ad altre sue campagne elettorali in passato.

Da quando ha lasciato il suo incarico da governatore nel 2007, Bush ha avuto una carriera da uomo d’affari piuttosto redditizia, lavorando anche con il suo figlio più giovane, Jeb Jr., nel campo degli investimenti finanziari e immobiliari. Fino allo scorso anno ha anche lavorato come consulente speciale per la banca britannica Barclays. Politicamente, Bush è rimasto tra i sostenitori più attivi di una riforma delle leggi sull’immigrazione e sulla scuola. Il suo impegno su entrambi i temi è considerato un punto debole dai conservatori, che non vogliono un alleggerimento delle leggi sull’immigrazione o l’intervento dello stato federale nelle politiche locali sull’istruzione. Ma lunedì il pubblico per Bush era più ampio della base dei conservatori, e lui si è impegnato a portare la sua campagna elettorale “ovunque, parlando con tutti”.

Verso la fine del suo discorso, Bush si è messo a parlare in spagnolo e ha chiesto direttamente ai latini il loro sostegno. Poi, in inglese, ha detto che «in qualsiasi lingua, il mio messaggio sarà ottimista». Ha concluso dicendo: «Non darò nulla per scontato. Parteciperò con il cuore e per vincere».

The Washington Post