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  • Giovedì 14 maggio 2015

L’incredibile storia di due sopravvissuti della guerra tra Iran e Iraq

Due soldati nemici – un iraniano e un iracheno – si sono salvati la vita a vicenda, a trent'anni di distanza

Ann Shin, giornalista del New York Times, ha raccontato la storia molto bella e intensa di due uomini, un iracheno e un iraniano, in cui si è imbattuta un po’ per caso nel 2012 a Vancouver, in Canada. I due uomini, Zahed Haftlang e Najah Aboud, si incontrarono per la prima volta durante la guerra tra Iraq e Iran che durò otto anni – tra il 1980 e il 1988 – e che è considerata ancora oggi uno dei conflitti più violenti del Ventesimo secolo. Allora erano nemici: Haftlang aveva solo 13 anni e combatteva per l’Iran, mentre Aboud combatteva per l’esercito iracheno. La loro storia, ha raccontato Shin, cominciò il giorno del loro primo incontro e condizionò la vita di entrambi per i successivi trent’anni, fino a oggi.

La guerra iniziò nell’estate del 1980, quando l’allora presidente iracheno Saddam Hussein invase a sorpresa il sud dell’Iran, un’area ricca di petrolio. L’attacco aveva però anche ragioni politiche: l’anno precedente in Iran c’era stata una Rivoluzione guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini che aveva trasformato il paese in una teocrazia islamica. Hussein voleva destabilizzare il nuovo regime religioso iraniano, che annunciava tra le altre cose di voler esportare la rivoluzione anche all’estero.

Zahed Haftlang si arruolò nelle forze iraniane quando aveva solo 13 anni, per andarsene da casa e non subire più i maltrattamenti del padre: fu uno dei molti bambini soldati che il regime iraniano fece combattere nella guerra contro l’Iraq. Aboud aveva tra i 18 e i 19 anni; era felice della sua vita, ha raccontato al giornalista. Aveva un lavoro, una ragazza che amava e un figlio che sarebbe nato poco dopo il suo arruolamento. Non voleva andare in guerra ma il regime di Hussein lo costrinse, insieme a migliaia di altri ragazzi iracheni. I due si incontrarono per la prima volta durante la battaglia di Khorramshahr, una città nel sud-ovest dell’Iran che era stata conquistata dagli iracheni nelle prime fasi della guerra. Per riconquistare la città gli iraniani cominciarono ad attaccare i bunker iracheni, uno dopo l’altro: da una parte c’era Haftlang, dall’altra Aboud.

Aboud ha raccontato: «Uno dei missili iraniani cadde a due metri dal mio bunker. Cercai di uscire dal bunker ma non ci riuscii». Aboud rimase a terra ferito: vide che un soldato iraniano, Haftlang, si stava avvicinando e pensò che sarebbe morto da lì a poco. Haftlang aveva paura a sua volta: come ha raccontato a Shin, molto spesso i soldati iracheni feriti avevano addosso degli esplosivi che attivavano per evitare di essere catturati vivi dai nemici, e per uccidere allo stesso tempo i soldati iraniani.

«Haftlang: Trovai un soldato iracheno pieno di sangue. Piangeva e mi pregava. Che Dio ti benedica, che Dio ti salvi. Non capivo quello che mi diceva.

Aboud: Cercò subito nel mio taschino. Voleva derubarmi. C’era un piccolo libro sacro, il Corano. Me l’aveva dato mia madre e mi aveva detto: “Figlio mio, questo ti proteggerà. Tienilo con te”. Avevo dentro una fotografia, con la mia fidanzata e il suo bambino.

Haftlang: Per quella foto, cambiai idea. Decisi di salvarlo.»

Haftlang mise i corpi dei soldati iracheni morti uno sopra l’altro e nascose Aboud lì dietro. Gli diede degli antidolorifici e lo tenne in quella posizione per tre giorni, finché non fu in grado di portarlo in un ospedale militare. La battaglia di Khorramshahr fu vinta dagli iraniani: Haftlang e Aboud continuarono a combattere ed entrambi furono fatti prigionieri dall’esercito nemico negli anni successivi. I genitori di Haftlang, credendolo morto in guerra, si erano trasferiti in un’altra provincia dell’Iran. Haftlang non aveva più nessuno a casa sua. Arrivò in Canada in nave, trovò un lavoro a Vancouver, ma una volta lì entrò in un difficile periodo di depressione.

Aboud fu liberato invece solo nel 2000 e i suoi fratelli lo convinsero a trasferirsi in Canada insieme a loro. Entrambi furono portati alla VAST, la Vancouver Association for Survivors of Torture, un centro che si occupa di persone che sono sopravvissute a traumi di guerra. Si incontrarono, cominciarono a parlare e si riconobbero (il momento, molto intenso, è stato raccontato da Haftlang e Aboud dal minuto 12 circa del video del New York Times). Questa volta fu Aboud ad aiutare Haftlang.

Oggi entrambi vivono a Vancouver e si definiscono “fratelli”. Shin ha scritto: «Per me la storia trascende la frequente copertura negativa che si fa sui fatti del Medio Oriente. In contrasto con lo scenario della guerra, la storia di Najah e Zahed è una sorprendente affermazione di umanità, trasversale ai confini politici». Shin sta continuando a seguire la storia di Haftlang e Aboud, anche dopo la pubblicazione del video documentario sul New York Times. La storia integrale e gli aggiornamenti si possono seguire qui.

nella foto: Najah Aboud, dal video documentario del New York Times