10 anni di Protocollo di Kyoto

Il più famoso accordo internazionale sul clima e l'ambiente entrò definitivamente in vigore il 16 febbraio 2005 dopo anni di negoziati: da molto si discute di come superarlo

Il 16 febbraio di 10 anni fa entrò definitivamente in vigore il cosiddetto “Protocollo di Kyoto”, il più famoso documento sottoscritto in ambito internazionale per ridurre l’emissione dei gas serra, cioè quei componenti inquinanti nell’atmosfera che sono ritenuti una delle principali cause del cambiamento climatico. Il trattato incide soprattutto sui paesi già economicamente sviluppati, ritenuti i primi responsabili dell’attuale situazione, mentre prevede vincoli più morbidi per quelli in via di sviluppo. Dal 2005 a oggi sono cambiate molte cose e la comunità internazionale sta provando, da anni e con alterni successi, a superare Kyoto per raggiungere nuovi accordi più adatti ai tempi: e che quindi coinvolgano economie di grande sviluppo recente come Cina o India.

Da Rio de Janeiro a Kyoto
La prima conferenza dove furono affrontati in modo esteso i problemi legati al cambiamento del clima fu organizzata dalle Nazioni Unite nel 1992 a Rio de Janeiro, in Brasile. L’incontro portò all’adozione della “Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici”, un trattato che però non dava limiti obbligatori per quanto riguardava le emissioni di gas serra ai singoli paesi ma indicava la necessità negli anni seguenti di adottare protocolli con regole sulle emissioni. Il trattato entrò in vigore nel 1994 e fu la base per i successivi incontri che portarono all’approvazione del primo protocollo, firmato a Kyoto in Giappone tre anni dopo. L’ONU chiese la sua ratifica ai propri membri, operazione che richiese circa 8 anni per essere completata. Formalmente il Protocollo divenne effettivo il 16 febbraio del 2005, anche se nel frattempo molti stati avevano già iniziato ad applicarlo.

Prima fase
L’obiettivo fondamentale del Protocollo di Kyoto è ridurre le emissioni di gas inquinanti derivanti dall’attività umana: anidride carbonica, metano, ossido di azoto, esafluoruro di zolfo, perfluorocarburi e idrofluorocarburi. La prima fase è durata dal 2008 al 2012 e ha coinvolto 37 paesi più quelli dell’Unione Europea, che si sono impegnati a ridurre le loro emissioni del 5 per cento rispetto a quelle del 1990. Al momento non è chiaro se l’obiettivo sia stato mantenuto: l’ONU terminerà le proprie valutazioni entro la fine dell’anno o entro i primi mesi del 2016. I dati preliminari sono però incoraggianti e si parla del 22,6 per cento di riduzione di emissioni. A questa fase non hanno però partecipato alcuni dei più grandi produttori di gas serra come gli Stati Uniti e la Cina. Secondo gli analisti la riduzione non è comunque solo dovuta ai sistemi per inquinare meno.

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Seconda fase
Alla fine della prima fase, nel 2012 si decise di avviarne una seconda con una nuova serie di impegni per i paesi partecipanti fino al 2020. Si chiama “emendamento Doha”, dal nome della capitale del Qatar, dove è stato discusso ed entrerà in vigore solo quando sarà stato ratificato dai tre quarti dei partecipanti al Protocollo di Kyoto. Il problema è che la ratifica della seconda fase è ancora in alto mare, nonostante gli inviti ricorrenti delle Nazioni Unite per incentivare i paesi partecipanti a discutere e ad aderire all’iniziativa.

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Meccanismo di sviluppo pulito
Il “meccanismo di sviluppo pulito” è un sistema previsto dal Protocollo di Kyoto che di fatto permette di trattare le emissioni come un bene che può essere scambiato. Un’azienda attiva in un paese industrializzato con vincoli sui gas serra può farsi carico della realizzazione di progetti per la riduzione delle emissioni in paesi in via di sviluppo, dove non sono applicate limitazioni. In questo modo i paesi in via di sviluppo possono avere da subito tecnologie più moderne e meno inquinanti, mentre le aziende dei paesi sviluppati possono ottenere crediti sulle emissioni per bilanciare le loro produzioni inquinanti, se non riescono a ridurle efficacemente. Il sistema è stato criticato perché di fatto fornisce strade alternative alle aziende che inquinano, permettendo loro di continuare a inquinare. L’Unione Europea ha inoltre un proprio sistema di scambio dei crediti legati alle emissioni.

Futuro
Il 16 febbraio 2007 Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica sottoscrissero la “Dichiarazione di Washington”, un documento non vincolante che avrebbe dovuto portare al superamento del protocollo di Kyoto e che prevedeva nuovi vincoli e sistemi di scambio per il 2009, ma che non ha portato a qualcosa di concreto. Nello stesso anno ci fu l’infruttuosa Conferenza sul cambiamento climatico di Copenhagen; nel 2010 furono stipulati gli accordi di Cancun, conclusi con un vago impegno verbale di 76 paesi responsabili dell’85 per cento delle emissioni inquinanti di ridurre la quantità di gas emessi nell’atmosfera. Anche in quel caso in realtà non ci furono passi avanti significativi e a oggi le speranze più grandi sono risposte nel documento sottoscritto nel 2012 a Doha. Per quest’anno è prevista una importante conferenza sul clima a Parigi, organizzata sempre dalle Nazioni Unite, ma non è detto che porti a qualcosa di concreto.

Mentre la comunità internazionale tergiversa e si susseguono iniziative di singoli gruppi di paesi, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha continuato a produrre studi e analisi allarmanti sul cambiamento climatico. Uno dei più duri rapporti è stato pubblicato nel novembre del 2014: entro il 2050 più di metà dell’energia del pianeta dovrà essere prodotta da fonti a basse emissioni di inquinanti atmosferici (tra cui l’energia nucleare), mentre i combustibili fossili dovranno completamente essere eliminati come fonte di energia entro il 2100. Questa riduzione, dice il rapporto, è assolutamente necessaria per limitare a 2°C l’incremento di temperatura sulla Terra nel corso dei prossimi cento anni.

Se queste indicazioni non saranno seguite, «le continue emissioni di gas serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti di lunga durata in tutte le componenti del sistema climatico, aumentando la possibilità di severe, pervasive e irreversibili conseguenze per l’umanità e per l’ecosistema». Le uniche soluzioni per raggiungere gli obiettivi fissati nel rapporto sono lasciare le riserve di combustibili fossili dove si trovano al momento, cioè sottoterra, oppure sviluppare tecnologie in grado di “catturare” le emissioni di gas serra. Visto che queste tecnologie non sono state ancora sviluppate in maniera efficace, l’utilizzo di fonti di energie rinnovabili o a basse emissioni sembra l’unica soluzione a breve termine.