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  • Martedì 3 febbraio 2015

L’incredibile finale del Super Bowl

Mattia Ferraresi racconta sul Foglio la meraviglia di mezza America per come Seattle abbia regalato la vittoria agli impopolari New England Patriots

New England Patriots' Brandon Browner (39) celebrates as strong safety Malcolm Butler (21) intercepts a pass from Seattle Seahawks quarterback Russell Wilson during the second half of NFL Super Bowl XLIX football game Sunday, Feb. 1, 2015, in Glendale, Ariz. (AP Photo/Matt Rourke)
New England Patriots' Brandon Browner (39) celebrates as strong safety Malcolm Butler (21) intercepts a pass from Seattle Seahawks quarterback Russell Wilson during the second half of NFL Super Bowl XLIX football game Sunday, Feb. 1, 2015, in Glendale, Ariz. (AP Photo/Matt Rourke)

Il Super Bowl, la finale del campionato NFL di football americano giocata nella notte tra domenica e lunedì, è finita con la vittoria dei New England Patriots, ma soprattutto è finita in un modo incredibile per gli appassionati dello sport, statunitensi e non. Con pochi secondi da giocare e la concreta possibilità di ribaltare lo svantaggio, il quarterback dei Seattle Seahawks, che si divide la responsabilità della scelta con l’allenatore Peter Carrol, ha provato una giocata rischiosa invece che approfittare con prudenza della forza del suo compagno più popolare, e delle azioni che ancora aveva a disposizione. E gli è andata malissimo.

Mattia Ferraresi racconta oggi sul Foglio cosa è successo e come siano tutti increduli e delusi, fuorchè a Boston:

New York. Ma perché ha lanciato? Perché non ha fatto fatto andare Marshawn Lynch in “beast mode” a spaccare la difesa e entrare nella red zone? La bestia un modo lo trova sempre. E la meta era lì, a una yard di distanza, 91 centimetri e rotti che nel football fanno la differenza fra la vittoria e la sconfitta, l’ha insegnato a tutti Tony D’Amato in Any Given Sunday. Tutta l’America tranne Boston s’è svegliata con quella domanda in testa: per quale inspiegabile motivo ha lanciato? Perché rischiare di essere intercettati e umiliati? Se lo chiedono al bar, in televisione, nella sala d’attesa del medico, se lo chiede il presidente degli Stati Uniti e la casalinga disperata, se lo domanda il malato di football e quello che ha guardato il Super Bowl per un minimo di senso del dovere sociale, più concentrato su Katy Perry che su Julian Edelman. Se lo chiedevano ad alta voce anche gli stessi giocatori dei Seattle Seahawks nello spogliatoio dopo la partita, mentre si leccavano ferite che forse non si rimargineranno mai.

Perché si può vincere e si può perdere da uomini – altra lezione di Tony D’Amato – e quella di domenica sera è stata una sconfitta da mezzuomini, di quelle che possono originare une delle leggendarie maledizioni dello sport americano, che poi vanno avanti per decenni. E’ stata la “decisione peggiore della storia del Super Bowl” (Seattle Times), “un orrendo crampo al cervello nel momento peggiore in assoluto” (Sports Illustrated), “la più scellerata giocata della storia” (Espn). Perché, dunque? Pete Carroll, l’allenatore in capo, dice che avevano ancora tre down e un timeout, erano certi di portare a casa la vittoria a venti secondi dalla fine, si trattava di aspettare, di non strafare, ma la palla è stata disgraziatamente intercettata e tutto è cambiato. Per quanto i data journalist di vox.com si sforzino di costruire grafici intorno alla ratio della scelta di Carroll ha ragione il linebacker Bruce Irwin: “Non lo capirò mai, bro”. Gli americani danno risposte più dirette, e quasi tutte coinvolgono qualche parente stretto del coach di Seattle.

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L’intercetto che ha consegnato il titolo ai New England Patriots

Foto (AP Photo/Matt Rourke)