Schettino va giudicato, non umiliato
La pena chiesta per il comandante della Concordia non è esagerata, scrive Goffredo Buccini sul Corriere, ma lo sono gli insulti del pm che gli ha dato dell'idiota
Goffredo Buccini sul Corriere della Sera scrive del processo sul naufragio della Costa Concordia e del suo imputato più famoso, l’ex comandante Francesco Schettino, per cui la procura ha chiesto una condanna a 26 anni di carcere. Buccini dice che la richiesta non è sproporzionata, qualora venisse accertata la colpa di Schettino, ma che i commenti e gli insulti rivolti a Schettino dal procuratore di Grosseto siano fuori luogo e finalizzati a «un annullamento del reo» piuttosto che alla sua condanna.
Il pm ha definito Schettino «bicefalo, tanto che per lui possiamo coniare il profilo dell’incauto idiota» e ha aggiunto, durante la sua requisitoria: «Dio abbia pietà di Schettino, perché noi non possiamo averne alcuna».
In Olanda, «Schettino» è il titolo di un surreale spettacolo di cabaret: monologhi sui leader da evitare. In America i repubblicani l’hanno usato come epiteto contro Obama: «Sei uno Schettino, abbandoni il Paese per andare in giro a raccogliere voti». A Taiwan ne hanno fatto un raccapricciante cartone animato. Dalle Alpi a Lampedusa, quel cognome è usato ormai come sinonimo di fellonia, in un meccanismo di de-umanizzazione che trova un precedente di potenza analoga soltanto in Girolimoni: il fotografo incastrato come pedofilo assassino dalla polizia fascista era peraltro innocente, ma girolimoni! è stato lungo tutto il Novecento insulto corrente per l’adulto che va con le ragazzine.
Insomma, diciamolo chiaro: per garantire a Francesco Schettino un processo non gravato da una montagna di emotività e pubblica riprovazione, bisognerebbe forse rifugiarsi in un igloo del polo o in una capanna della foresta amazzonica. È normale che sia così. Nel caso del naufragio del Giglio, col suo carico di morte, dolore e vergogna per l’Italia, non c’è certo da menar scandalo per l’indignazione popolare. Tuttavia qualcosa colpisce nella requisitoria terminata ieri a Grosseto contro il capitano che mandò la Costa Concordia a sbattere sugli scogli, mettendosi quindi in salvo prima dei suoi passeggeri. E non è la pena richiesta di 26 anni e tre mesi («quasi l’ergastolo, manco Pacciani…», hanno commentato i difensori): certo durissima ma, a nostro avviso, non sproporzionata ai fatti in un’ipotesi di colpevolezza.