Rickie Lee Jones ha 60 anni

Nove canzoni per riascoltare la sua voce inconfondibile che o la ami o la odi (ma di solito, la ami)

Carhaix-Plouguer, FRANCE: US singer Rickie Lee Jones performs on the stage of the 16th edition of the Vieilles Charrues music festival, 22 July 2007 in Carhaix, western France. AFP PHOTO FRED TANNEAU (Photo credit should read FRED TANNEAU/AFP/Getty Images)
Carhaix-Plouguer, FRANCE: US singer Rickie Lee Jones performs on the stage of the 16th edition of the Vieilles Charrues music festival, 22 July 2007 in Carhaix, western France. AFP PHOTO FRED TANNEAU (Photo credit should read FRED TANNEAU/AFP/Getty Images)

Rickie Lee Jones è una cantautrice rock americana che oggi compie 60 anni, e che è ancora in giro a fare dischi e concerti. Questa è una raccolta delle sue migliori canzoni messa insieme da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, nel suo libro Playlist, La musica è cambiata

Rickie Lee Jones
(1954, Chicago, Illinois)
Era nata a Chicago ma da giovane si trasferì a Los Angeles: lavorava come cameriera, si fece amica di un giro di musicisti e si fidanzò con Tom Waits. Lo scavalcò rapidamente alla conquista del mondo, con il suo primo disco del 1979, e per il rock americano fu il personaggio dell’anno: non solo per la musica e le parole, ma anche come icona di un’eleganza snob e intellettuale. Grande cantautrice, un superdebole per il jazz e una vocetta inconfondibile che o la ami o la odi. Ma di solito, la ami.


Company


(Rickie Lee Jones, 1979)
Quando Russ Titelman, leggendario produttore della Warner Bros, sentì il demo con alcune canzoni di questa Rickie Lee Jones che dovevano essere selezionate per essere cantate dai suoi artisti, fu fulminato da “Company”. “Sì, sono pezzi interessanti” disse Lenny Waronker della Warner che gli aveva passato la cassetta. “No, io parlo di lei, della voce di lei: chi è?” chiese Titelman. E da lì cominciò tutto.

Chuck E.’s in love
(Rickie Lee Jones, 1979)
Il suo primo singolo, grande successo. Quello del titolo è Chuck E. Weiss, musicista californiano del giro: Tom Waits, che allora stava con Rickie Lee Jones (le foto dei due sono nella copertina di Blue Valentine), riattaccò dopo una telefonata di Weiss e le riferì la sintesi della conversazione, “Chuck E. è innamorato”. Il suono è molto Los Angeles, jazz-pop e un po’ piano bar, e la pausa centrale in cui lei cerca Chuck E. in giro fu da subito una cosa memorabile.

Skeletons
(Pirates, 1981)
“Certi ragazzini guardano i cartoni in tivù, certe ragazzine ascoltano dischi tutto il giorno. Ma cosa lasciano dietro di sé, gli uccelli e le loro ali, al loro piccolo che è nel nido a costruire aeroplanini?”. La metafora un po’ involuta, ma piuttosto alata, conclude la triste storia di una giovane coppia in cerca di un luogo migliore per il bambino che verrà, quando lui viene ucciso per sbaglio dalla polizia.

Pirates
(Pirates, 1981)
Al secondo disco non stava più con Tom Waits ma andava ancora forte. Il primo singolo furono due canzoni con una fava: la canzone swingata alla Rickie Lee Jones, e la ballata romantica alla Rickie Lee Jones.

Satellites

(Flying cowboys, 1989)
A non saperlo, non è facilissimo capire come si chiami la canzone se si ascolta solo la contrazione sillabica ripetuta nel ritornello. Il sassofono è di Bob Sheppard, del Peter Erskine trio: aveva lavorato con gli Steely Dan e Walter Becker se l’era portato venendo a produrre il disco di Rickie Lee Jones.

Don’t let the sun catch you crying
(Flying cowboys, 1989)
Date retta a una canzone, non lasciate che il sole vi becchi a piangere. Se poi non avete niente di cui piangere, fate in modo di trovarvi un baretto sulla spiaggia, all’ora in cui tutti sono andati via e il sole sta tramontando. E passate al barman questa, di cui viene da immaginare una cover di Jack Johnson, se fosse meno inibito sui lenti. Sarebbe stata buona anche per quella scena finale di Scarface, ad averci pensato.

Hi-Lili hi-lo
(Pop pop, 1991)
Malgrado sia stata da subito stimata come una delle migliori cantautrici in circolazione, Rickie Lee Jones ha sempre avuto un debole per le cover. Perché ha sempre avuto un debole per il jazz, che chiama “standards” le cover (la differenza da una cover è che uno standard dovrebbe avere una pregressa aura di “classico”). Nel 1991 fece un disco di standards jazz, ma arrangiati a metà strada. Lei alla chitarra e una squadra di colossi del jazz al resto. Questa filastrocca dolcissima l’aveva scritta Bronislaw Kaper – un immigrato polacco che divenne un prolifico compositore di musiche da film – insieme a Helen Deutsch, per il film Lili con Leslie Caron.

The ballad of the sad young men
(Pop pop, 1991)
Fran Landesman ha ottant’anni ed è stata poetessa beat, autrice teatrale e scrittrice di canzoni. È nata a New York ma vive a Londra da molto tempo. Scrisse “The ballad of the sad young men” per un musical nel 1959 (è anche autrice di “Spring can really hang you up the most”, cantata da Rickie Lee Jones nello stesso disco). Divenne uno standard jazz rapidamente: poi la prima versione pop di successo fu di Roberta Flack. Il testo è diventato involontariamente patrimonio della cultura gay.
All the sad young men singing in the cold
Trying to forget that they’re growing old
All the sad young men choking on their youth
Trying to be brave, running from the truth.

Cycles
(It’s like this, 2000)
Una delle più belle canzoni mai scritte per Frank Sinatra. L’autrice è Gayle Caldwell, a sua volta cantante e attrice. Parla di prendere delle gran botte dalla vita, e saper abbozzare. “So I’m down, and so I’m out…”.

foto: FRED TANNEAU/AFP/Getty Images