Quasi un ex giocatore di football su tre avrà problemi neurologici
Lo ha detto la NFL: secondo il New York Times è l'ammissione più onesta di sempre sul tema da parte della federazione americana
La National Football League, la federazione che regola e gestisce il campionato di football americano, ha fatto sapere che si aspetta che il 28 per cento degli ex giocatori della propria lega – cioè circa seimila su 19mila e 400 in totale – svilupperà problemi neurologici a lungo termine. Il dato è emerso recentemente durante il processo che la NFL sta subendo dopo che più di 4500 ex giocatori le hanno fatto causa per non averli informati dei rischi neurologici di una carriera nel football e anzi, di averli negati per anni. Secondo il New York Times, il recente comunicato della NFL «è la più onesta ammissione fatta fino ad ora del fatto che gli atleti professionisti [di football americano] subiscono gravi danni cerebrali a un tasso molto più alto rispetto alla normale popolazione».
Secondo un documento preparato dagli avvocati degli ex giocatori – che parla di numeri simili a quelli resi noti dalla NFL – si prevede inoltre che al 14 per cento degli ex giocatori verrà diagnosticato il morbo di Alzheimer e a un altro 14 per cento una forma di demenza. La causa è iniziata nel 2012, e da allora non si è ancora arrivati alla decisione definitiva di un risarcimento nei confronti degli ex giocatori.
Nel football, metà della squadra titolare (si gioca in 11) ha il compito di bloccare gli avversari e favorire la circolazione della palla: e sono molto frequenti blocchi, scontri, collisioni nei quali si utilizza praticamente ogni parte del corpo, fra cui la testa. Negli ultimi anni sono emerse diverse storie di ex atleti morti pochi anni dopo il ritiro a causa di malattie neurologiche sviluppate da un numero eccessivo di commozioni cerebrali: fra le malattie associate a una carriera nel football americano ci sono state il morbo di Alzheimer, la SLA, varie forme di demenza, il morbo di Parkinson e la encefalopatia traumatica cronica (abbreviata in CTE), una grave malattia neurodegenerativa che può essere diagnostica con sicurezza solo dopo la morte e collegata alla cosiddetta “demenza pugilistica” (una malattia nota sin dagli anni Trenta a causa della quale ex pugili soffrono di perdita della memoria a breve termine, difficoltà nei movimenti e diminuzione delle capacità motorie e cognitive).
(Il football americano e le commozioni cerebrali)
La NFL ha continuato per anni a negare che la pratica ad alti livelli del football potesse comportare a lungo termine disturbi neurologici. La prima commissione indipendente creata dalla NFL per occuparsi del problema nacque solo nel 2012, tre anni dopo che la federazione aveva riconosciuto l’esistenza del problema. Nel 1993 ne fu creata una presieduta da Elliot Pellman, il medico della squadra dei New York Jets: Pellman però era un reumatologo e già all’epoca si sospettò che non fosse qualificato per guidare la commissione. Negli anni, poi, si scoprì che era anche il medico personale di Paul Tagliabue, un avvocato americano che ricoprì il ruolo di capo della NFL fino al 2006. Nel 2003 la commissione della NFL stabilì che le commozioni cerebrali non avevano effetti a lungo termine, causando molte polemiche.
Una prima offerta di patteggiamento da parte della NFL era stata rifiutata nel gennaio 2014 dalla giudice Anita Brody perché stabiliva una cifra fissa come risarcimento a ciascun giocatore: un nuovo patteggiamento – che prevede comunque dei limiti massimi di risarcimento: 5 milioni di dollari per la SLA, 3,5 per il morbo di Parkinson, e così via – è stato accettato da Brody e gli ex atleti hanno tempo fino al 14 ottobre per fare ricorso o rinunciare alla causa, che costerà alla NFL circa 765 milioni di dollari (circa 590 milioni di euro). Intorno alla decisione di Brody, però, ci sono state diverse critiche: potranno accedere al risarcimento della NFL solo i giocatori con più di cinque anni di carriera professionistica – non sono inclusi nell’accordo nemmeno quelli che giocano ora nella NFL – e con varie riduzioni a seconda dell’età dell’ex atleta (più un ex giocatore è anziano, in sostanza, e meno soldi otterrà). Inoltre, un gruppo di ex atleti che probabilmente soffre di CTE non verrà risarcito perché i sintomi della malattia – che in molti casi influiscono sull’umore del paziente e non sulle sue capacità mnemoniche o neurologiche, almeno all’inizio – non sono stati considerati fra quelli rilevanti ai fini del risarcimento.
foto: HENNY RAY ABRAMS/AFP/Getty Images