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  • Lunedì 19 maggio 2014

Le foto del “land-grabbing” in Indonesia

Il reportage di Alessandro Rota – in mostra al Politecnico di Milano – racconta l'espropriazione delle terre e la deforestazione per produrre olio di palma

Provincia di Jambi, in Indonesia.
(Alessandro Rota)
Provincia di Jambi, in Indonesia. (Alessandro Rota)

Land-Grabs: Indonesia è un progetto realizzato nel settembre 2013 dal fotografo italiano Alessandro Rota. Le immagini raccontano la pratica del land-grabbing, ovvero l’acquisizione – a volte forzata – di grandi porzioni di terra da parte di società nazionali o straniere che la utilizzano per lo sfruttamento industriale. La pratica avviene da centinaia di anni in molte zone della terra, ma negli ultimi tempi è diventata particolarmente frequente e spesso violenta, ed è sempre più criticata da organizzazioni internazionali e ong a causa dei danni verso le comunità locali e l’ambiente.

In Indonesia il land-grabbing è legato alla coltivazione di olio di palma – di cui è tra i maggiori produttori al mondo – che viene utilizzato come olio da cucina e per altri prodotti alimentari, tra cui i biscotti, come lubrificante industriale, base per detergenti liquidi e cosmetici, e per la produzione di biodiesel. L’olio di palma rappresenta l’11 per cento delle esportazioni dell’Indonesia e secondo Sawit Watch, un’organizzazione indonesiana che si oppone al land-grabbing, in Indonesia ci sono 3,2 milioni di ettari di piantagioni, soprattutto nell’isola di Sumatra. Ogni anno 330 mila ettari di foresta sono trasformati in nuove piantagioni e 650 investitori, il 75 per cento stranieri, chiedono di acquisire nuovi terreni forestali per convertirli in piantagioni. Il fenomeno è stato favorito dall’approvazione di una legge del 2001 che concede al governo il diritto di rilasciare le licenze per l’acquisizione o l’affitto della foresta, da cui dipendono per il loro sostentamento circa 50 milioni di indonesiani. Nel 2011 l’Indonesia era la più grande zona di coltivazione industriale di olio di palma al mondo, con 11,5 milioni di ettari, seguita dalla Malesia con quattro.

Oltre ai danni ambientali e alla deforestazione, le piantagioni di olio di palma sono criticate per i danni alle comunità indigene e gli squilibri economici che contribuiscono ad accentuare: accade spesso che le aziende esproprino gli abitanti dalle loro terre, che le ottengano in cambio di somme irrisorie, che non dividano con loro i proventi come pattuito o che si rifiutino di abbandonare i terreni alla scadenza della concessione. Ci sono stati numerosi scontri tra le società, i contadini e gli indigeni che abitavano le piantagioni, che nel corso degli anni hanno portato a manifestazioni, proteste, arresti e alla nascita di gruppi e organizzazioni che rivendicano la terra o cercano di comprare dallo stato le licenze delle terre, per tener lontani i gruppi industriali.

Nel 2011 è stata fondata la “Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile” (RSPO), un’organizzazione che rappresenta tutte le parti in causa nella produzione dell’olio e che cerca di risolvere i conflitti che vi sono legati. Nel 2013 si è svolta la prima conferenza generale dell’RSPO, che però non sembra portare a grandissimi risultati. Secondo Sawit Watch, nel 2010 almeno 663 comunità erano in conflitto con più di 172 società in tutta l’Indonesia, e al momento le cause in corso sono circa 50.

Le fotografie di Rota mostrano le piantagioni, l’occupazione delle terre da parte di agricoltori, leader dei movimenti contro il land-grabbing e contadini che rivendicano la terra dalle grandi aziende, oltre a scene di vita quotidiana soprattutto nella provincia di Jambi, nell’isola di Sumatra. Land-Grabs: Indonesia sarà in mostra al Politecnico di Milano nell’ambito del Milano Photofestival 2014 fino al 26 maggio. Altri progetti di Alessandro Rota, che si può segure su Twitter, si trovano sul suo sito. Sul Post avevamo già pubblicato il suo reportage Radical Routes, sulla vita “alternativa” di comuni, collettivi e cooperative anti-capitaliste nel Regno Unito.