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  • Mercoledì 30 aprile 2014

Oggi si vota in Iraq

Sono le prime elezioni parlamentari dal ritiro dei soldati americani: l'attuale primo ministro sciita Nuri al Maliki cerca il terzo mandato, tra mille guai

Iraqi women give the victory signs while showing their inked fingers after casting votes at a polling center in Baghdad, Iraq, Wednesday, April 30, 2014. A key election for a new Iraqi parliament was underway on Wednesday amid a massive security operation as the country continued to slide deeper into sectarian violence more than two years after U.S. forces left the country. (AP Photo/Khalid Mohammed)
Iraqi women give the victory signs while showing their inked fingers after casting votes at a polling center in Baghdad, Iraq, Wednesday, April 30, 2014. A key election for a new Iraqi parliament was underway on Wednesday amid a massive security operation as the country continued to slide deeper into sectarian violence more than two years after U.S. forces left the country. (AP Photo/Khalid Mohammed)

Oggi in Iraq si vota per eleggere il nuovo Parlamento, che a sua volta nominerà il primo ministro. Per gli iracheni sono le prime elezioni parlamentari dal ritiro dei soldati statunitensi tre anni fa: dovesse vincere l’attuale primo ministro, lo sciita Nuri al Maliki, otterrebbe un terzo mandato nonostante la grave crisi che ha coinvolto l’Iraq in particolare nell’ultimo anno, con grandi difficoltà del governo centrale di controllare intere zone del paese. Maliki è a capo di una coalizione di sciiti, che compete con coalizioni di sunniti, curdi e un gruppo di forze politiche laiche (qui un’infografica molto chiara di Al-Jazeera sul funzionamento di queste elezioni).

Secondo diversi esperti di politica irachena, comunque, l’esito delle elezioni non è per nulla scontato. Anche il governo statunitense, dopo avere appoggiato Nuri al Maliki nelle fasi iniziali della transizione dal regime di Saddam Hussein a un sistema semi-democratico, vede favorevolmente l’elezione di un nuovo primo ministro: un terzo mandato di al Maliki, dicono diversi documenti prodotti dall’intelligence e citati dal New York Times, potrebbe aumentare le divisioni settarie già molto forti, fino a spingere il paese in una guerra civile. Le preoccupazioni maggiori riguardano la concentrazione di potere che al Maliki si è assicurato negli ultimi anni, e il suo fallimento nel raggiungere degli accordi e compromessi con le altre fazioni presenti in Iraq – in particolari con i sunniti e i curdi – e nel combattere l’estremismo islamico. Nel corso degli anni la figura di al Maliki è diventata sempre più controversa. Ramzy Mardini, un esperto dell’Iraq al Consiglio Atlantico, ha detto: «Maliki non è un democratico. Non è un nazionalista o un ideologo. La sua ideologia e la sua dottrina sono basate sulla sopravvivenza. Per molti versi Maliki è un tipico governante arabo: paranoico e cospiratore».

Maliki potrebbe avere perso, tra gli altri, anche l’appoggio delle autorità religiose sciite della città santa di Najaf, nel sud dell’Iraq, in grado di condizionare la scelta del voto di moltissimi iracheni. Anche l’Iran, il cui governo sciita aveva in passato sostenuto e finanziato la candidatura di al Maliki nel tentativo di influenzare la politica irachena, avrebbe cominciato ad appoggiare i rivali sciiti dell’attuale primo ministro, dimostrando che l’obiettivo iraniano è mantenere un governo sciita a Baghdad, ma non necessariamente quello di al Maliki. In molti, soprattutto in Iraq, credono però che al Maliki manterrà il potere. Latif Rashid, consigliere del presidente iracheno Jalal Talabani, ha spiegato che al Maliki continua ad avere l’appoggio di molti iracheni, riluttanti a un cambio netto di leadership in un momento in cui le condizioni di sicurezza nel paese sono così precarie.

Dopo le elezioni ci sarà molto probabilmente un periodo molto confuso e lungo in cui le diverse forze politiche cercheranno di raggiungere un accordo e in qualche modo spartirsi gli incarichi di governo a seconda dei risultati ottenuti (secondo alcuni esperti questo periodo, non inusuale per la politica irachena, potrebbe durare anche un anno).

A Baghdad – una delle città irachene più colpite da attentati terroristici – sono state predisposte diverse misure di sicurezza, e il governo ha temporaneamente chiuso gli aeroporti e le principali strade dentro e fuori la città. Le violenze si sono intensificate nell’ultima settimana: nella sola giornata di lunedì, mentre i soldati e la polizia attrezzavano i seggi per le operazioni di voto, sono state uccise almeno cinquanta persone. L’esplosione di una bomba ha provocato la morte di almeno 30 persone in una manifestazione di curdi nella città di Khanaqin, mentre venerdì altre 31 persone erano state uccise da una serie di attentati che avevano colpito una manifestazione sciita a Baghdad.

Il problema più grande per il governo centrale rimane comunque la gestione della provincia occidentale di Anbar, da diversi mesi controllata in alcune sue parti dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS). L’ISIS è un gruppo estremista sunnita che fino a non molto tempo fa era affiliato ad al Qaida: nonostante la sua leadership sia stata disconosciuta dai vertici qaedisti, il suo potere ad Anbar rimane notevole, così come la sua importanza nello schieramento dei ribelli nella guerra civile siriana (i militanti dell’ISIS sono tra i gruppi ribelli più forti che stanno combattendo l’esercito siriano di Bashar al Assad).