La lettera di Giorgio Napolitano al Corriere sull’anniversario della sua rielezione

«Confido che stiano per realizzarsi condizioni che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità che un anno fa mi risolsi ad assumere»

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
10-02-2014 Roma
Politica
Senato - Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata
Nella foto Giorgio Napolitano, Enrico Letta, Piero Grasso

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
10-02-2014 Rome (Italy)
Senate - Memorial day 
In the photo Giorgio Napolitano, Enrico Letta, Piero Grasso
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 10-02-2014 Roma Politica Senato - Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata Nella foto Giorgio Napolitano, Enrico Letta, Piero Grasso Photo Roberto Monaldo / LaPresse 10-02-2014 Rome (Italy) Senate - Memorial day In the photo Giorgio Napolitano, Enrico Letta, Piero Grasso

A pochi giorni dal primo anniversario della sua storica rielezione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scritto al Corriere della Sera per fare un bilancio di questi dodici mesi e alludere al momento in cui potrebbe lasciare l’incarico. Napolitano scrive di «aver pagato allo spirito di fazione un prezzo nei consensi convenzionalmente misurabili» ma che non dubita «della giustezza della strada seguita», riconosce l’accelerazione di queste settimane sulle riforme e scrive di avere fiducia «che stiano per realizzarsi condizioni di maggior sicurezza, nel cambiamento, per il nostro sistema politico-costituzionale, che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità che un anno fa mi risolsi ad assumere entro chiari limiti di necessità istituzionale e di sostenibilità personale».

Caro direttore,
a distanza di un anno, lei ha, nella sua lettera, voluto innanzitutto rievocare lo stato di paralisi istituzionale e il clima di opinione in cui maturò una concentrica pressione perché io – nonostante la netta contrarietà da me precedentemente espressa – accettassi di essere rieletto presidente. Non è superfluo il richiamo a quelle circostanze, visto che da non pochi sono state rimosse o distorte; e perciò la ringrazio, oltre che, s’intende, per il suo caloroso apprezzamento circa la mia decisione di un anno fa e più in generale circa il mio operato.

Quel che peraltro interessa non solo lei personalmente e uno sperimentato «quirinalista» come Marzio Breda, ma il Corriere e i suoi lettori, è un qualche bilancio dell’esperienza da me vissuta «restando ancora un po’» – come lei aveva auspicato – nelle funzioni di presidente. Le dico subito che non intendo soffermarmi su fatti, atteggiamenti, intrighi che hanno concorso a gettare ombre e discredito – ben al di là di ogni legittima critica e riserva – sulla mia persona e sull’istituzione che rappresento. L’essenziale è che mi sia sempre sforzato di mantenere la serenità indispensabile per fare il mio dovere, per rispondere alle esigenze del Paese e della sua vita democratica. Comunque, è possibile e utile una qualche riflessione oggettiva, come premessa per il bilancio che mi si chiede di abbozzare. E in primo luogo sono stato e sono portato a riflettere sulla persistente, estrema resistenza, che viene dagli ambienti più disparati, all’obbligo nazionale e morale di garantire la continuità dei percorsi istituzionali, e con essa primordiali interessi comuni, anche attraverso avvicinamenti e collaborazioni, sul piano politico, che s’impongono in via temporanea fuori delle naturali affinità e della dialettica dell’alternanza. Dal non riconoscimento di quest’obbligo, di questa necessità, sono scaturite nel corso dell’ultimo anno reazioni virulente che hanno contagiato, sorprendentemente, ambienti molto diversi.

È stato duro, quindi, procedere nel compito che mi spettava – divenuto davvero, come lei ha detto, «faticoso e ingrato» – del promuovere la formazione di un governo di ampia coalizione, il solo possibile nel Parlamento uscito dalle elezioni del febbraio 2013, e nel sollecitare un programma di rilancio della crescita e dell’occupazione, e di contestuale, imprescindibile avvio di riforme economico-sociali e istituzionali già troppo a lungo ritardate. Che questo processo si sia messo in moto, e di recente decisamente accelerato, senza essere bloccato da una crisi e susseguente ristrutturazione della maggioranza di governo né, più tardi, dal cambiamento politico sfociato in una nuova compagine e guida governativa, mi fa considerare positivo il bilancio dell’anno trascorso. Essermi a tal fine «esposto» personalmente, sempre nei limiti del mio ruolo costituzionale, e aver pagato allo spirito di fazione un prezzo nei consensi convenzionalmente misurabili, non mi fa dubitare della giustezza della strada seguita.

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