In difesa dei selfie

James Franco – attore, dottorando in letteratura e professionista del selfie - ha spiegato sul New York Times il successo degli autoscatti con lo smartphone (secondo lui)

Giovedì 26 dicembre l’attore e regista James Franco ha scritto un articolo sul New York Times per spiegare il suo rapporto con i selfie e il motivo per cui secondo lui gli utenti di Instagram e in generale di tutti i social network ne siano così tanto attratti. Franco è un personaggio particolare: è uno degli attori più apprezzati della sua generazione, ha una grande popolarità online, ha scritto delle sceneggiature, è laureato in Letteratura, ha tenuto corsi universitari e sta facendo un dottorato a Yale.

“Selfie” è una parola che ha ottenuto grande popolarità negli ultimi mesi, con relative discussioni sui cambiamenti sociali che questa popolarità comportasse. Pochi mesi fa la parola “selfie” è stata introdotta dall’Oxford Dictionaries Online nel suo vocabolario: indica quindi ufficialmente “una fotografia che uno scatta a sé stesso, in genere con uno smartphone o una webcam, e che viene caricata su un social media”. Franco è stato accusato di pubblicarne troppi sui social network, tanto da essere stato ribattezzato addirittura “il re dei selfie”.

Franco scrive che pubblicare un selfie è diventato il modo più semplice e veloce di raccogliere il maggior numero di condivisioni o “like” e di attirare l’attenzione, al contrario di quando viene pubblicata la foto di un progetto d’arte o di una poesia, per esempio. Ed è proprio “attirare l’attenzione” la cosa al centro della questione: in quest’epoca di informazioni velocissime e in quantità sempre maggiori il vero potere è riuscire ad attrarre le persone, catturare la loro attenzione, perché “l’attenzione è potere”. Se sei famoso, qualcuno a cui le persone sono interessate, il selfie offre qualcosa di ancora più potente poiché arriva dal punto di vista più privilegiato di tutti.

I selfie che si scattano i personaggi famosi, spiega Franco, hanno valore indipendentemente dalla qualità della foto: sono la testimonianza di un momento intimo che riguarda qualcuno della cui vita il pubblico è curioso – molto spesso sono quelle stesse foto per cui i paparazzi ucciderebbero e per cui le riviste pagherebbero cifre altissime. I personaggi famosi che pubblicano i propri selfie conoscono il potere della loro immagine e sanno che uno dei modi per rafforzarla è proprio condividere materiale che li mostri da una prospettiva diretta, privilegiata e umana.

Ho scoperto che Instagram funziona come il mondo del cinema: funziona se riesci ad alternare “qualcosa per loro” con “qualcosa per te” cioè per ogni foto di un libro, di un quadro o di una poesia, cerco di postare un selfie con un cucciolo, un selfie in topless o un selfie con Seth Rogen, perché sono tutte cose che generalmente piacciono molto.

Secondo Franco, nella nostra cultura visiva i selfie mostrano (e non dicono) come ti senti, dove sei, cosa stai facendo. Rappresentano un’evoluzione nelle nostre relazioni virtuali, riescono a completare la comunicazione di un SMS, per esempio, perché un’immagine tende a essere spesso più chiara delle parole.

Io sono abbastanza deluso quando guardo un account e non vedo alcun selfie, perché voglio sapere con chi ho a che fare. Nella nostra epoca di social networking il selfie è il nuovo modo di guardare qualcuno negli occhi e dire: “Ciao, questo sono io”.