Il contestato articolo di Seymour Hersh sulle armi chimiche in Siria
È uscito domenica, oggi è su Repubblica: accusa Obama di aver mentito e scagiona Assad, ma è stato molto screditato
Domenica 9 dicembre il sito della London Review of Books, periodico letterario e politico britannico, ha pubblicato un articolo del famoso giornalista statunitense Seymour Hersh sull’attacco chimico compiuto il 21 agosto scorso a Ghouta, a est di Damasco, in Siria. L’articolo, che si intitola «Whose Sarin?» mette in dubbio la ricostruzione ufficiale dell’amministrazione statunitense e di Barack Obama sugli eventi di quella notte – confermata anche da successivi rapporti di diverse organizzazioni internazionali non governative, tra cui Human Rights Watch – che sostiene che a compiere l’attacco sia stato il regime siriano del presidente Assad.
Hersh è conosciuto in tutto il mondo per avere vinto un premio Pulitzer nel 1970 grazie a uno scoop sulla strage di My Lai (Vietnam). Nell’articolo sulla Siria sostiene che gli Stati Uniti avrebbero diffuso solo una parte delle informazioni in loro possesso: non avrebbero detto, per esempio, di essere stati a conoscenza del fatto che un gruppo di ribelli – gli estremisti/qaedisti di Jabhat al Nusra – fosse in grado di produrre gas sarin. In pratica, con una serie di argomentazioni, Hersh sostiene implicitamente che l’attacco sarebbe stato compiuto dai ribelli siriani e non dal regime di Damasco, come ampiamente accettato in questi ultimi mesi, accusando Obama di avere mentito.
L’articolo di Hersh – che in Italia è stato tradotto e pubblicato da Repubblica martedì 10 dicembre – è stato criticato duramente da diversi giornalisti ed esperti di armi chimiche e di Siria. Il Washington Post e il New Yorker, a cui l’articolo era stato inizialmente proposto, hanno rifiutato di pubblicarlo: il primo perché ha ritenuto le fonti usate da Hersh non all’altezza e non abbastanza solide per gli standard del giornale (da tempo la reputazione e l’affidabilità di Hersh sono molto contestate); il secondo perché, dice Hersh, “non interessato” al pezzo (il New Yorker non ha commentato direttamente il rifiuto). In questo caso uno degli articoli più puntuali di critica a Hersh è stato pubblicato da Foreign Policy ed è scritto da Eliot Higgins, che il New Yorker ha definito «il migliore esperto sulle munizioni usate nella guerra in Siria». Higgins è conosciuto molto in rete per essere il titolare del blog Brown Moses, e si è occupato a lungo e con grande competenza di guerra siriana.
I missili usati nel bombardamento chimico
Il 16 settembre un team indipendente delle Nazioni Unite ha consegnato un rapporto definitivo al segretario Ban Ki-moon, in cui è stato confermato che durante il bombardamento chimico del 21 agosto sono stati usati dei missili terra-terra contenenti gas sarin. Nel suo articolo Hersh cita un professore di tecnologia e sicurezza nazionale del Massachusetts Institute of Technology, Theodore Postol, per dimostrare che quei missili molto probabilmente sono stati fabbricati in maniera artigianale (sottinteso: quindi dai ribelli) e che sono simili – ma non identici – ad alcuni missili in dotazione all’esercito siriano.
Higgins crede però che Hersh si sia perso molte ricostruzioni successive all’attacco del 21 agosto, o che le ignori: per esempio, spiega che i missili usati a Ghouta sono “missili Volcano”, che entrambi gli schieramenti della guerra in Siria hanno sempre riconosciuto in passato appartenere alle forze governative. Inoltre il sistema usato per lanciare i missili Volcano è lo stesso che si vede in un video pubblicato su YouTube da una milizia fedele alle forze governative di Assad. Non si ha alcuna prova invece che un sistema simile – come gli stessi missili, del resto – sia in possesso dei ribelli (qui ci sono le ricostruzioni in 3D dei missili e dei loro sistemi di lancio, con relativi video esemplificativi).
La gittata e la traiettoria dei missili
C’è poi un altro punto contestato da Higgins, centrale nella ricostruzione della tesi di Hersh: Postol dice che i missili usati a Ghouta hanno gittata massima di 2 chilometri e che quindi è impensabile che l’attacco sia arrivato da una base militare dell’esercito siriano, visto che la più vicina si trovava a circa 9 chilometri da Ghouta. Higgins ha scritto però di avere parlato con Richard Lloyd, un collega di Postol, che gli ha confermato che lavorando sulla sezione anteriore del missile, l’ogiva, è possibile aumentare di oltre un chilometro la sua gittata, arrivando così potenzialmente a superare la distanza dei due chilometri. Higgins aggiunge:
«Nel giugno 2013 le forze governative siriane hanno iniziato l’operazione Qaboun, per prendere il controllo dei quartieri di Qaboun e Jobar. Questa mappa, prodotta da Storyful, usa i marcatori blu per mostrare i luoghi dell’impatto dei missili contenenti sostanze chimiche, riportati dai comitati locali dopo il 21 agosto; le posizioni dei due attacchi sono indicate con il rosso. Tutti questi luoghi si trovano all’interno di un’area che non era distante più di 2,5 chilometri da dove l’operazione Qaboun si stava compiendo, il che significa che quello avrebbe potuto essere un punto di partenza per l’attacco col sarin del 21 agosto.»
C’è poi un ultimo punto ripreso da Higgins: il blogger britannico ha chiesto a Dan Kaszeta, esperto di armi chimiche, la sua opinione sulla possibilità sostenuta da Hersh che il gas sarin si possa fabbricare artigianalmente, con attrezzature anche piuttosto limitate. Kaszeta ha spiegato che la produzione del sarin è molto costosa e impegnativa, specialmente per un gruppo di ribelli privi di grandi risorse: oltre a un grande impegno economico, richiede un impianto apposito e decine di persone qualificate a seguire il processo. Niente di tutto questo è stato documentato finora. Kaszeta, come giudizio complessivo, ha scritto su Twitter:
I’ve been reading Seymour Hersh’s latest re 8/21 and Syria. He’s months behind the dialogue and data.
— Dan Kaszeta (@DanKaszeta) 9 Dicembre 2013
Higgins ha spiegato in sintesi a Daniele Raineri del Foglio le cose che non funzionano dell’articolo di Hersh: «Hersh appare ignaro di tutte le prove che confermano che quel tipo di razzo è in dotazione al governo siriano. Abbiamo video pubblicati dallo stesso governo siriano in cui si sparano quei razzi, video del dicembre 2012 in cui i razzi sono lanciati dalla base governativa di Mezzeh e altre prove. Sappiamo anche che il governo siriano stava conducendo una campagna militare nel quartiere a nord dell’area colpita il 21 agosto, il che corrisponde alla gittata dei razzi, anche se supponessimo fosse soltanto di 2-2,5 chilometri».
L’amministrazione Obama ha mentito, dice Hersh
Un altro punto centrale della tesi di Hersh è che prima del 21 agosto i servizi di intelligence statunitensi non avevano avuto alcuna informazione sulle intenzioni di Assad di compiere un attacco chimico. Secondo Hersh questo è un punto a favore dell’ipotesi che non sia stato il governo di Damasco a ordinare l’attacco chimico, specie data l’intensa attività di intelligence che i servizi americani e israeliani svolgono in Siria dall’inizio della guerra. Hersh sostiene inoltre che gli Stati Uniti avrebbero un sistema segreto di sensori dentro la Siria che monitora i movimenti di testate in grado di trasportare sostanze chimiche: ma nessun movimento è stato registrato prima del 21 agosto. Secondo Hersh, che cita funzionari e consulenti dei servizi segreti e delle forze armate (tutti anonimi), l’amministrazione Obama avrebbe raccontato una versione falsa sull’attacco a Ghouta: avrebbe alterato tempi e sequenza delle informazioni che gli erano state messe a disposizione dai servizi segreti, in modo da far sembrare di avere ottenuto quelle informazioni il 21 agosto, in “tempo reale”, e non in un momento successivo, come Hersh sostiene.
Questa seconda parte della versione di Hersh è stata oggetto delle critiche di Joanna Paraszczuk e Scott Lucas pubblicate lunedì 9 dicembre sul sito di EAWorlsView, un progetto a metà tra accademia e giornalismo sviluppato dall’Università di Birmingham, in Inghilterra. Per quanto riguarda il sistema di monitoraggio degli spostamenti delle armi chimiche, i due autori si limitano a dire che la teoria di Hersh si basa sull’assunto – per loro non vero – che nell’agosto scorso quel sistema di monitoraggio fosse completo ed effettivo al 100 per cento. E poi c’è un punto più importante, che smonterebbe l’intera tesi di Hersh. I due autori sostengono che non è vero che l’amministrazione Obama non avesse ricevuto alcuna informazione di un possibile attacco chimico siriano da parte della sua intelligence: il problema è piuttosto interpretare gli indizi e le informazioni raccolte, e metterle insieme e valutarle per la loro importanza. Scriveva il Wall Street Journal lo scorso 22 novembre:
«Mentre il 18 agosto le truppe siriane combattevano le forze ribelli alla periferia di Damasco, gli Stati Uniti hanno cominciato a intercettare alcuni segnali poco rassicuranti. A una speciale unità siriana che gestisce le armi chimiche è stato ordinato di avvicinarsi alla linea di divisione dei due schieramenti, hanno detto alcuni funzionari dell’intelligence, e di iniziare la miscelazione di sostanze tossiche. […] Le agenzie di intelligence non hanno tradotto le intercettazioni in inglese ed è per questo che la Casa Bianca non sapeva che il regime siriano stesse pianificando l’attacco.»
Invece di cercare altre fonti e accertare come andarono veramente le cose, scrivono Paraszczuk e Lucas, Hersh è arrivato subito alla conclusione che Obama ha deciso consapevolmente di ricostruire i fatti a suo modo, con l’obiettivo di far passare Assad come il cattivo (paradossalmente, rischiando così di dover intervenire militarmente in Siria, opzione che l’amministrazione americana ha cercato di evitare in tutti i modi negli ultimi mesi). Oltretutto, aggiungono i due, così facendo Hersh ha lasciato da parte una critica dura che si sarebbe potuto fare a Obama relativa a tutta questa storia: a causa dei problemi di comunicazione interni all’amministrazione, la Casa Bianca non è riuscita a elaborare una strategia per fermare l’attacco chimico prima che venisse compiuto.
Dopo la pubblicazione dell’articolo Shawn Turner, il portavoce del direttore della National Intelligence, ha detto a The Hill che la ricostruzione di Hersh è «tutta falsa». Nel frattempo, viste le polemiche, è intervenuta anche la London Review of Books, che ha fatto sapere di avere controllato le fonti con attenzione e minuzia.
Foto: Seymour Hersh (AP Photo/Paul Sakuma)