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  • Martedì 12 novembre 2013

Le “magliette bianche” a Taiwan

È il movimento più sorprendente della storia recente del paese: è composto soprattutto da giovani, chiede diritti e democrazia e gli importa meno della Cina comunista

Protesters hold placards during an anti-military rally in front of Taiwan’s presidential office in Taipei on August 3, 2013. Tens of thousands of Taiwanese took to the streets on August 3 in protest over the death of a young conscript who died from alleged abuse. AFP PHOTO / Mandy CHENG (Photo credit should read Mandy Cheng/AFP/Getty Images)

Protesters hold placards during an anti-military rally in front of Taiwan’s presidential office in Taipei on August 3, 2013. Tens of thousands of Taiwanese took to the streets on August 3 in protest over the death of a young conscript who died from alleged abuse. AFP PHOTO / Mandy CHENG (Photo credit should read Mandy Cheng/AFP/Getty Images)

Taiwan è un piccolo stato di cui sentiamo parlare poco – ne leggiamo, soprattutto sulle etichette “made in Taiwan” – ma che ha una storia politica particolare e interessante: ed è una storia da qualche mese sembra sul punto di cambiare, anche se non si sa ancora quanto, grazie a un nuovo movimento politico sostenuto soprattutto da giovani e studenti. O forse è già cambiata e la nascita del nuovo movimento ne è il sintomo più evidente.

Taiwan comprende le isole di Formosa, Pescadores, Quemoy e Matsu: da decenni rappresenta l’ “altra Cina”, quella non comunista conosciuta anche come “Repubblica di Cina”, “Cina Taipei” o semplicemente “Taipei”. Dalla formazione nel 1949 della Repubblica Popolare Cinese, cioè la Cina comunista, la politica nazionale di Taiwan è stata dominata dal tema dei rapporti con la Cina continentale: per decenni il centro della discussione tra i due principali partiti del paese, il Partito Nazionalista e il Partito Democratico Progressista, è stato fino a che punto dovesse spingersi l’autogoverno. Di recente però le cose sembrano essere cambiate: un nuovo gruppo politico composto soprattutto da giovani, e ribattezzato “l’esercito delle magliette bianche” (per il colore delle magliette che i suoi sostenitori indossano nelle manifestazioni pubbliche), è diventato da pochi mesi il movimento sociale più sorprendente della politica taiwanese: e per la prima volta si parla di un gruppo che non rivolge la sua attenzione ai rapporti con la Cina comunista ma a temi generali come i diritti civili e la democrazia.

L'”esercito delle magliette bianche” è un movimento nato nell’estate del 2013, un po’ per caso. Liulin, un dottore che aveva appena finito il suo anno di leva nell’esercito di Taiwan, venne a sapere della storia di Hung Chung-chiu, un ragazzo 24enne morto a causa dell’eccessivo sforzo fisico a cui era stato sottoposto come punizione per avere portato nella sua base militare un telefono con una fotocamera. Per Liulin non si trattava solo di un episodio isolato ma di uno dei tanti atti di violenza compiuti dal governo di Taiwan, spesso accusato di abusare dei suoi cittadini e violarne i diritti civili. Liulin pubblicò due appelli online, in modo da incontrare altre persone arrabbiate per le violenze delle autorità: il primo riscosse poco successo mentre il secondo, pubblicato su Facebook e diffuso su altri social media, fu letto da migliaia di persone e circolò rapidamente.

Il 3 agosto, dopo una serie di altri appelli online, decine di migliaia di sostenitori dell'”esercito delle magliette bianche” (circa 250mila secondo la stampa locale) si ritrovarono di fronte all’ufficio presidenziale di Taiwan: molti di loro tenevano in mano il disegno di un occhio sanguinante – un’allusione al governo del Grande Fratello del romanzo “1984” di George Orwell – e cantavano canzoni sulla rivoluzione tratte dal musical “Les Miserables” (i testi erano stati riscritti in dialetto taiwanese). La protesta ottenne i suoi risultati: nel giro di pochi giorni il governo di Taiwan decise di istituire una commissione speciale per indagare sui casi di cattiva condotta militare. Alcuni provvedimenti, comunque, erano già stati presi: il ministro della Difesa si era dimesso e 18 funzionari dell’esercito erano stati accusati per essere coinvolti nella morte di Hung Chung-chiu.

L’ “esercito delle magliette bianche” è un movimento senza un leader riconosciuto formalmente, un po’ come il movimento statunitense “Occupy”. Ha una struttura orizzontale e ha sviluppato nel tempo un approccio sempre più decentrato, che gli ha permesso di occuparsi di una serie di questioni molto varie – dalle centrali nucleari agli accordi commerciali con la Cina comunista. Al suo interno ci sono diversi gruppi ma il nucleo centrale dietro le proteste ha adottato il nome di “Citizen 1985”. Come racconta il Washington Post, i membri del gruppo fanno le riunioni via Skype, votano con un “+1” o “-1”, scrivono e condividono i documenti su Google Docs.

Secondo diversi osservatori sarà difficile per il movimento mantenere il suo slancio iniziale: l’unica altra protesta dopo quella del 3 agosto scorso si è tenuta circa un mese fa, quando di fronte al palazzo presidenziale taiwanese si sono presentate solo 60mila persone: alcuni sostenitori del gruppo hanno provato a giustificare la bassa partecipazione, spiegando che il tema della protesta era un complicato accordo commerciale, che inevitabilmente ha meno impatto ed è più difficile da spiegare rispetto alla morte di un soldato.