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  • Martedì 10 settembre 2013

Il racconto di Quirico

Il lungo articolo pubblicato sulla Stampa sui 152 giorni di prigionia («Lo dico forse in termini un po' troppo etici, ma veramente in Siria io ho incontrato il paese del Male»)

Italian journalist Domenico Quirico (C) gestures to journalists, who kidnapped in Syria in early April, after disembark from the airplane on September 9, 2013 at Ciampino military airport in Rome. AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO (Photo credit should read ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
Italian journalist Domenico Quirico (C) gestures to journalists, who kidnapped in Syria in early April, after disembark from the airplane on September 9, 2013 at Ciampino military airport in Rome. AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO (Photo credit should read ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Domenico Quirico, giornalista della Stampa liberato domenica sera dai ribelli siriani dopo 152 giorni di prigionia, ha scritto oggi sul suo giornale un lungo articolo, in cui ha raccontato la storia del suo sequestro. Quirico ha scritto di come lui e Piccinin siano stati “traditi” da due uomini che credevano fidati, e di come siano stati sequestrati e poi picchiati e umiliati, lasciati senza cibo, e trasferiti e venduti da un gruppo all’altro di ribelli siriani, da Qusayr verso Homs. Per Quirico la Siria è diventata un paese diverso rispetto a quello che era prima della guerra, in cui anche gli anziani e i bambini non hanno paura di essere cattivi: «Lo dico forse in termini un po’ troppo etici, ma veramente in Siria io ho incontrato il paese del Male».

Siamo entrati in Siria il 6 aprile con il consenso e sotto la protezione dell’Armata siriana libera, come tutte le volte precedenti. Ho cercato di raggiungere Damasco e di verificare di persona le notizie sulla battaglia decisiva di questa guerra civile, come faccio sempre. Ma ci hanno detto che avremmo dovuto aspettare alcuni giorni prima di poter raggiungere la capitale siriana e così abbiamo accettato la proposta di andare in una città che si chiama Al Qusayr, vicina al confine libanese, che in quei giorni era assediata da Hezbollah, fedele alleato del regime di Assad.

Siamo arrivati ad Al Qusayr con un convoglio di rifornimenti della stessa Armata siriana libera, un lungo viaggio nella notte a fari spenti passando sulle montagne perché il regime controllava la strada. Siamo stati bombardati da un Mig vicino a un Ticunin, un mulino dell’epoca bizantina. Eravamo sul fiume Oronte, in una zona in cui nella storia gli imperi si sono costruiti ma si sono anche sgretolati. Lì si è combattuta la battaglia fra Ramses II e gli Ittiti. Lì la storia è ovunque, nelle colline, nelle pietre. La città era già devastata e distrutta dai bombardamenti dell’aviazione e così la sera successiva abbiamo deciso di tornare dal luogo in cui eravamo partiti per sapere se era possibile intraprendere il viaggio verso Damasco.

Abbiamo chiesto di essere accompagnati da uomini dell’Armata siriana libera e siamo partiti a bordo di un’auto con due persone con cui abbiamo condiviso la cenn. Pensavamo fossero due uomini fidati. Invece probabilmente sono stati loro a tradirci e a venderci. All’uscita della città siamo stati affrontati da due pick-up con a bordo uomini con il viso coperto. Ci hanno fatto salire sui loro mezzi, poi ci hanno portato in una casa e ci hanno picchiato sostenendo di essere uomini della polizia di regime. Nei giorni successivi invece abbiamo scoperto che non era vero, perché erano dei ferventi islamisti che pregavano cinque volte al giorno il loro Dio in modo flautato e dotto. Poi, il venerdì hanno ascoltato la predica di un predicatore che sosteneva la jihad contro Assad. Ma la prova decisiva l’abbiamo avuta quando siamo stati bombardati dall’aviazione: era chiaro che quelli che ci tenevano in ostaggio erano ribelli.

(continua a leggere sulla rassegna stampa del comune di Torino)