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  • Mercoledì 28 agosto 2013

Intorno alla Siria

Il Regno Unito proporrà al Consiglio di Sicurezza dell'ONU una risoluzione che condanna "l'attacco con armi chimiche di Assad" chiedendo "soluzioni per tutelare i civili"

Aggiornamento delle 16:30
Il National Security Council del Regno Unito, il comitato che si occupa dei temi legati alla sicurezza nazionale britannica istituito nel 2010 dall’attuale primo ministro, David Cameron, ha concordato durante una riunione a Londra che “il mondo non può ignorare l’inaccettabile uso” di armi chimiche da parte del regime siriano. La crisi siriana sarà discussa giovedì 29 agosto dal Parlamento britannico, mentre nel pomeriggio di mercoledì il Regno Unito presenterà una propria bozza per una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nella mattina di mercoledì, Cameron ha annunciato che il testo della bozza condanna “l’attacco con armi chimiche di Assad” e chiede l’autorizzazione per attuare “soluzioni per tutelare i civili”. Oltre al Regno Unito, gli Stati Uniti e la Francia, favorevoli a un intervento militare, fanno parte del Consiglio di Sicurezza Russia e Cina, fino a ora contrarie a un attacco esterno in Siria.

A est di Damasco, dove si è verificato l’attacco in cui si sospetta siano state utilizzate armi chimiche, gli ispettori delle Nazioni Unite hanno continuato le loro indagini raccogliendo prove e testimonianze sulle armi utilizzate nella zona. Lakhdar Brahimi, inviato speciale dell’ONU in Siria, ha detto che appare ormai chiaro che qualche tipo di sostanza chimica “che ha ucciso molte persone” sia stata usata nell’area. Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha spiegato che saranno necessari circa quattro giorni per verificare che cosa è accaduto nei pressi di Damasco.

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Martedì 27 agosto durante un discorso davanti a un gruppo di reduci di guerra a Houston, in Texas il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che “non ci sono dubbi” sul fatto che il regime siriano abbia utilizzato armi chimiche. Biden è a oggi il più importante membro dell’amministrazione Obama ad avere accusato direttamente il presidente Bashar al Assad per quanto avvenuto durante l’attacco a est di Damasco della scorsa settimana, nel quale sono morte almeno 300 persone e diverse migliaia sono rimaste intossicate, verosimilmente a causa di agenti chimici lanciati con alcuni razzi: sulla natura dell’attacco stanno indagando gli ispettori delle Nazioni Unite.

Il Dipartimento della Difesa americano ha confermato di essere pronto in qualsiasi momento per condurre un’operazione militare in Siria, nel caso in cui il presidente Barack Obama dia un ordine in questo senso. Il regime siriano continua a negare di avere utilizzato armi chimiche, e i suoi principali alleati – Russia, Cina e Iran – hanno fatto intendere con diverse sfumature che un attacco contro la Siria sarebbe un atto “catastrofico”. Mentre si attende la fine delle indagini degli ispettori ONU, gli Stati Uniti hanno confermato di avere prove che dimostrano l’avvenuto utilizzo di armi chimiche da parte del regime e di volerle rendere pubbliche nei prossimi giorni, come aveva annunciato lunedì il Segretario di Stato John Kerry. I paesi più vicini agli Stati Uniti si stanno intanto preparando all’intervento militare, opzione che a questo punto delle dichiarazioni americane sembra essere inevitabile – per ora nei termini di una sorta di punizione e avvertimento contro Assad – e che potrebbe avvenire entro pochi giorni, forse prima della fine della settimana.

Regno Unito – Il primo ministro britannico, David Cameron, ha ottenuto che il parlamento riprenda in anticipo i propri lavori per discutere sull’opportunità di un intervento militare contro la Siria, giovedì. Diversi aerei da guerra britannici hanno già raggiunto l’isola di Cipro, probabile punto di partenza per incursioni aeree in territorio siriano. Lunedì Cameron aveva accorciato la propria vacanza per tornare a Londra e partecipare a una serie di riunioni in vista del probabile attacco.

Francia – Martedì 27 agosto il presidente francese, François Hollande, ha incontrato a Parigi gli ambasciatori di Francia e nell’occasione ha tenuto un breve discorso confermando che il suo paese è “pronto per punire coloro che hanno assunto la vile decisione di utilizzare armi chimiche contro innocenti”. Hollande ha anche ricordato che gli aiuti militari che la Francia dà alle opposizioni in Siria saranno aumentati, ma non ha fornito ulteriori dettagli in merito.

Germania – Le cose si stanno muovendo anche in Germania, dove è in corso la campagna elettorale per le politiche di fine settembre, che salvo sorprese dovrebbero portare alla rielezione dell’attuale cancelliere Angela Merkel. Il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, ha definito “un crimine contro la civiltà” l’utilizzo delle armi chimiche, aggiungendo che se sarà confermato il loro impiego in Siria “la comunità internazionale dovrà agire”. Westerwelle nel 2011 era stato tra i principali oppositori dell’operazione militare internazionale condotta in Libia, cui la Germania non aveva poi partecipato attivamente.

Italia – In Italia il governo è stato per ora molto cauto sulla possibilità di un intervento militare contro il regime siriano. Martedì ha annunciato che l’Italia parteciperà a una missione solo in presenza di una precisa autorizzazione da parte delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha comunque definito l’utilizzo di armi chimiche un “crimine di guerra” che deve essere perseguito.

Paesi Arabi – La Lega Araba – l’organizzazione internazionale politica che conta 22 stati aderenti del Nordafrica, Corno d’Africa e Vicino Oriente – ha diffuso un comunicato accusando direttamente il regime siriano per l’utilizzo di armi chimiche. Arabia Saudita e Qatar sono i due paesi che più hanno spinto per la pubblicazione del comunicato, che comunque non porta per ora a particolari conseguenze per la Siria.

Israele – In Israele, intanto, aumentano le preoccupazioni per un’eventuale risposta di Assad che preveda il lancio di missili contro i propri territori. Secondo l’intelligence israeliana si tratta di una eventualità improbabile perché il regime siriano è già molto impegnato a combattere i ribelli e difficilmente dirotterà risorse per aprire un nuovo fronte. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha spiegato martedì che Israele non intende immischiarsi nella vicenda della guerra civile siriana, ma che se sarà identificato qualche tentativo di attacco “ci sarà una risposta, una risposta forte”.

Russia – Il portavoce del ministro degli Esteri russo ha invitato la comunità internazionale a essere molto prudente sull’intervento militare in Siria: “I tentativi di passare oltre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ancora una volta per creare scuse senza basi solide per un intervento militare nell’area, portano con sé nuove sofferenze per la Siria e conseguenze catastrofiche per gli altri paesi nel Vicino Oriente e nel Nordafrica”. La Russia è uno dei principali alleati della Siria ed è contraria a qualsiasi tipo di intervento militare esterno nel paese.

Nazioni Unite
Una risoluzione da parte delle Nazioni Unite per intervenire in Siria non sarà facile da ottenere. Oltre a Stati Uniti, Francia e Regno Unito favorevoli all’intervento, tra i cinque membri fissi del Consiglio di Sicurezza ci sono anche Russia e Cina, contrarie. L’ONU, inoltre, sta attendendo che i propri osservatori terminino le indagini nella zona a est di Damasco dove è stato condotto il presunto attacco con armi chimiche della scorsa settimana. Gli ispettori torneranno mercoledì nell’area per raccogliere nuove prove e testimonianze e potrebbero essere necessari diversi giorni per avere un rapporto definitivo su quanto accaduto.

Stando alle dichiarazioni di Biden e a quelle del Segretario di stato, John Kerry, il giorno prima, gli Stati Uniti non sembrano essere intenzionati ad attendere le conclusioni delle Nazioni Unite. Il permesso per visitare l’area vicino a Damasco è stato dato tardivamente dal regime siriano, cosa che secondo l’intelligence statunitense e di altri paesi occidentali ha consentito alle forze militari di Assad di nascondere o disperdere eventuali prove sulla natura dell’attacco. Durante il suo discorso lunedì, Kerry ha spiegato che le immagini e le informazioni circolate dal luogo dell’attacco dimostrano chiaramente l’avvenuto utilizzo di armi chimiche, implicando che siano inutili o per lo meno tardive le indagini degli ispettori ONU.

Intervento militare
Il Dipartimento della Difesa americano ha presentato al presidente Obama una serie di alternative per l’eventuale intervento militare. Stando alle informazioni raccolte dal New York Times, l’obiettivo principale è creare un deterrente per evitare che il regime di Assad conduca nuovi attacchi con armi chimiche. Lo scopo è indebolire la forza militare del governo siriano, senza puntare a un suo rovesciamento od obbligarlo a negoziare qualcosa di specifico. L’operazione militare dovrebbe essere quindi molto limitata e della durata massima di un paio di giorni, condotta attraverso il lancio di missili da crociera che possono essere guidati e controllati a distanza, senza mettere in pericolo la vita dei soldati.

Il piano proposto non prevede di bombardare i siti di stoccaggio delle armi chimiche che possiede la Siria, ma di distruggere le basi militari da dove sono stati lanciati i razzi e le strumentazioni utilizzate per il lancio delle armi chimiche. Il bombardamento dei siti di stoccaggio dei gas nervini porterebbe a seri problemi ambientali e per le popolazioni che vivono nell’area, senza contare che potrebbe rendere facilmente accessibili le armi chimiche a terroristi o alle ali più violente delle opposizioni al regime.

La lista comprende complessivamente 50 potenziali obiettivi tra basi militari, caserme, basi aeree, centri di comando e altre strutture dell’esercito siriano. Per ogni obiettivo potrebbero essere sufficienti tra i due e i tre missili da crociera, quindi un impegno militare molto inferiore per gli Stati Uniti rispetto alle risorse impiegate negli anni scorsi nell’area del Mediterraneo per gli interventi in Kosovo e in Libia.

I missili da crociera dovrebbero essere lanciati dai quattro cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke che si trovano entro il raggio di portata necessario per raggiungere gli obiettivi. Si tratta delle navi Mahan, Barry, Gravely e Ramage. Ogni cacciatorpediniere è equipaggiato con circa 25 missili Tomahawk, lo stesso tipo di missili che fu utilizzato per avviare le campagne militari in Afghanistan, in Iraq e in Libia. Oltre alle navi, è probabile che stazionino nel Mediterraneo alcuni sottomarini statunitensi, in grado di lanciare missili.

Il piano non convince tutti gli analisti militari. Secondo i detrattori, i Tomahawk sono equipaggiati con cariche esplosive insufficienti per arrecare seri danni alle strutture militari siriane e non sempre il loro sistema di guida in remoto è efficace e porta a mancare i bersagli. Un bombardamento diretto con aerei da guerra si rivelerebbe più incisivo, ma comporterebbe rischi per la vita dei piloti. Altri sono scettici sulla possibilità che un attacco di breve durata con missili possa essere sufficiente per fermare Assad. Il regime siriano potrebbe reagire attaccando i paesi confinanti come Turchia e Giordania attraverso il lancio di razzi, o intensificando i propri attacchi contro la popolazione. Potrebbe quindi essere necessario un secondo attacco, o un intervento militare più strutturato e impegnativo.

foto: Aerei militari nella base della Royal Air Force britannica Akrotiri a Cipro (AP Photo/Pavlos Vrionides)