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  • Venerdì 23 agosto 2013

Cosa fa il mondo sulla Siria?

Si incontra, parla e scrive molti comunicati di condanna contro Assad: ma di concreto si fa poco, semplicemente perché non si trova un accordo

US President Barack Obama speaks on education at the Henninger High School on August 22, 2013 in Syracuse, New York. Obama is on a two-day bus tour through New York and Pennsylvania to discuss his plan to make college more affordable, tackle rising costs, and improve value for students and their families. AFP Photo/Jewel Samad (Photo credit should read JEWEL SAMAD/AFP/Getty Images)
US President Barack Obama speaks on education at the Henninger High School on August 22, 2013 in Syracuse, New York. Obama is on a two-day bus tour through New York and Pennsylvania to discuss his plan to make college more affordable, tackle rising costs, and improve value for students and their families. AFP Photo/Jewel Samad (Photo credit should read JEWEL SAMAD/AFP/Getty Images)

Dopo il pesante bombardamento di mercoledì mattina su alcune aree a est di Damasco – portato avanti con armi chimiche, dice l’opposizione di Assad – la comunità internazionale è tornata ad occuparsi con una certa urgenza della guerra in Siria e delle possibili opzioni di intervento, militare e non. L’attacco di mercoledì è stato discusso dai governi, dalle organizzazioni internazionali e ripreso dalla stampa di tutto il mondo soprattutto per l’accusa di avere usato gas nervino. Il Guardian ha scritto che se fosse confermato l’uso di sostanze chimiche, quello di mercoledì sarebbe il peggior attacco di questo tipo in tutto il mondo negli ultimi 25 anni.

Negli Stati Uniti, in cui il dibattito su un possibile intervento armato in Siria da mesi gira intorno all’uso o meno di armi chimiche da parte del governo contro la popolazione civile, giovedì si è tenuto un incontro d’emergenza alla Casa Bianca tra diversi funzionari dell’amministrazione: alla riunione hanno partecipato ufficiali del dipartimento della Difesa, del dipartimento di Stato e dalle agenzie di intelligence. Secondo il New York Times, che cita fonti ufficiali dell’amministrazione, le opzioni che si stanno valutando vanno dal lancio di missili Cruise dai due cacciatorpediniere statunitensi schierati nel Mediterraneo, a una campagna aerea più ampia contro obiettivi sensibili del governo siriano.

Durante la riunione però, come in molte altre che si sono tenute negli ultimi mesi, non è stata presa alcuna decisione concreta nei confronti della Siria. L’amministrazione continua a rimanere molto divisa, sostanzialmente in due fazioni: quella che sostiene che si dovrebbe rispondere ad Assad con la forza, e quella che crede che un intervento a questo punto della guerra sarebbe inutile e controproducente. L’argomento principale dei contrari a un intervento in Siria, tra cui ci sarebbe anche il presidente Obama, è legato – insieme a un’altra serie di valutazioni – al rischio che un intervento militare possa portare al rafforzamento dei gruppi ribelli più estremi, come quelli legati ad al Qaida che ormai controllano diverse regioni della Siria.

Durante un’intervista esclusiva concessa a CNN, Obama messo in fila alcuni dei problemi che un intervento in Siria comporterebbe per gli Stati Uniti. Per prima cosa, ha detto Obama, un intervento potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto difficile, lungo e particolarmente costoso, che potrebbe non servire agli interessi nazionali di lungo periodo. Riferendosi alla necessità di avere l’appoggio della comunità internazionale, quindi di agire in conformità con un mandato dell’ONU, Obama ha aggiunto: «Se gli Stati Uniti vanno e attaccano un altro paese senza un mandato dell’ONU e senza prove che ne sostengano l’azione, poi arrivano domande sul fatto se sia un’operazione legittimata dal diritto internazionale». All’ONU notoriamente Cina e Russia grazie al loro potere di veto proteggono Assad – così hanno fatto in tutti questi mesi – dalle risoluzioni che potrebbero determinare la sua rimozione dal potere.

Le preoccupazioni e le divisioni interne all’amministrazione Obama sono presenti anche tra i paesi dell’Unione Europea. Da diversi mesi Francia e Gran Bretagna spingono l’Unione Europea ad adottare misure più decise in favore dei ribelli siriani. Già nel maggio scorso, su pressione di questi due governi, l’UE aveva sospeso l’embargo sulla vendita di armi alla Siria, in modo da lasciare la possibilità ai singoli paesi di inviare armi ai ribelli. Giovedì, dopo l’attacco, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha parlato della possibilità di intervenire militarmente contro il governo di Assad, nel caso in cui l’attacco chimico fosse confermato. Venerdì anche il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha detto di credere che dietro l’attacco chimico ci sia Assad, e non i ribelli come lo stesso governo siriano insieme a quello russo hanno ipotizzato nei giorni scorsi.

Dopo una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU tenuta mercoledì sera, 35 paesi membri hanno chiesto al governo di Assad di permettere agli ispettori internazionali delle Nazioni Unite di visitare e fare i rilevamenti necessari sul luogo del bombardamento. La stessa richiesta è stata fatta dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon attraverso un comunicato ufficiale. Reuters ha scritto però che una bozza con toni di condanna molto più duri nei confronti del governo siriano era stata bocciata dal Consiglio di Sicurezza, mostrando ancora una volta come l’opposizione di Russia e Cina, alleati di Assad e con il potere di veto all’ONU, sia in grado di bloccare qualsiasi iniziativa internazionale contro il governo di Damasco. Il governo siriano, comunque, ha rifiutato le richieste della comunità internazionale, e quindi gli ispettori non potranno fare gli accertamenti sui luoghi del bombardamento. E fino a che non ci saranno prove certe di un attacco chimico, sembra difficile che gli Stati Uniti, ma anche altri paesi, decidano di intervenire militarmente in Siria.