Bisogna saper perdere

Massimo Recalcati spiega su Repubblica come la violenza crescente sia generata anche da insicurezza e frustrazione sui nostri insuccessi

Lo psicanalista Massimo Recalcati spiega oggi su Repubblica come la violenza, che da sempre accompagna la storia dell’uomo, sia in questi tempi di crisi economica amplificata dai “due comandamenti sociali che sembrano dominare il nostro tempo”: la spinta a ricercare il “nuovo” e l’impulso ad ottenere il successo a tutti i costi, in quella che definisce “una miscela esplosiva di narcisismo e depressione” che può spesso sfociare nella violenza fisica e verbale più cupa.

La spinta alla violenza cieca, alla sopraffazione, all’odio invidioso, alla distruzione dell’altro non è una patologia, ma accompagna da sempre, come un’ombra, la storia dell’uomo. Non è un caso che l’Antico Testamento si apra con il gesto atroce e ingiustificabile di Caino. Il punto scabroso è che uccidere il proprio fratello non appartiene al mondo animale, ma al mondo umano. È un aspetto – terrificante – dell’umano sul quale non bisogna chiudere gli occhi. Il crimine non è infatti la regressione dell’uomo all’animale – come una cattiva cultura moralistica vorrebbe farci credere – , ma esprime una tendenza propriamente umana. Questo è il dramma che il moltiplicarsi recente di atti erratici di violenza ci costringe ad affrontare. Se l’umanizzazione della vita avviene come un attraversamento della violenza che ci abita – della nostra ombra più scura – , essa non può mai cancellare la violenza, ma decidere casomai, ogni volta, per la sua rinuncia. È questo uno dei compiti più difficili che incombe sugli esseri umani: saper rinunciare alla violenza in nome del riconoscimento dell’Altro come prossimo, come essere singolare. Si tratta di un riconoscimento che non è mai indolore perchè ci obbliga ad accettare che “Io non sono tutto”, che la mia vita non esaurisce quella del mondo e quella degli altri. Significa sopportare quella che Freud considerava una “frustrazione narcisistica” necessaria per riconoscersi appartenere ad una Comunità umana.

Il problema è che questa difficoltà soggettiva a simbolizzare la violenza viene oggi drammaticamente amplificata da quelli che mi paiono i due nuovi comandamenti sociali che sembrano dominare il nostro tempo e che l’attuale crisi economica rende a sua volta ancora più tossici. Il primo comandamento è quello del NUOVO. È la spinta a ricercare sempre altro da quello che si ha, a scambiare quello che si ha con quello che ancora non si ha nella illusione che è quello che non si ha a custodire la felicità. L’esperienza clinica della psicoanalisi mostra invece che il Nuovo – al cui miraggio molti consacrano la loro esistenza – anziché rendere la vita soddisfatta, non fa altro che riprodurre la stessa identica insoddisfazione.

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