Bersani e la palingenesi

Dopo i proverbi e i tacchini, un altro viaggio nel lessico del segretario del PD: stavolta c'entrano Gesù, Nietzsche, Borges e Platone

L’ultima trovata verbale del segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani – dopo i suoi spericolati modi di dire presi in giro da Maurizio Crozza o tradotti dal tedesco – è l’uso ricorrente, in questi difficili giorni post-elettorali, del termine “palingenesi”. Oggi, per esempio, in un’intervista con Repubblica:

«Si sono fronteggiati una destra che proponeva soluzioni fiscali oniriche e Grillo che proponeva la palingenesi.»

Quella usata dal segretario del PD è una parola complicata e onusta di gloria: vediamo perché (nella prossima puntata: che cosa vuol dire “onusta”).

Che cosa dice il dizionario
Il dizionario Treccani dice che “palingenesi” significa «Rinnovamento, trasformazione radicale, di istituti, concezioni e simili». Questo è il suo secondo significato. Il primo è un concetto filosofico dalla lunga tradizione.

La parola viene dal greco ed è l’unione di πάλιν-, “di nuovo”, e γένεσις, cioè “nascita, creazione”. Diciamo che un primo sinonimo potrebbe essere “rinascita”: ma la palingenesi si collega al pensiero dei più antichi filosofi greci e, se vogliamo allargarci e lasciarci prendere la mano, a Friedrich Nietzsche e a Jorge Luis Borges.

Perché avreste fatto meglio ad ascoltare il prof di filosofia
Qui si arriva al dunque. Secondo molti filosofi dell’antica Grecia, il tempo non era lineare ma ciclico: il modo migliore di rappresentarlo non era insomma una linea retta ma una ruota. L’universo sarebbe finito, in un futuro più o meno lontano, per poi ricominciare in un nuovo ciclo, e così in eterno. La cosa era valida sia a livello universale che a livello personale: anche l’anima andava incontro a una serie continua di reincarnazioni dopo la morte. Il filosofo più famoso che espose questo concetto fu Platone.

Secondo diversi filosofi greci – tra cui lo stesso Platone – c’era anche un modo di stabilire ogni quanto sarebbe avvenuta la distruzione del cosmo e la sua palingenesi. Gli antichi osservavano che il movimento delle stelle e dei pianeti era lentissimo, ma regolare: ogni tot anni – molti anni – gli astri si sarebbero ritrovati nella stessa posizione iniziale, per ripetere poi il loro moto in modo identico alla volta precedente e alla successiva. Quel momento avrebbe segnato l’inizio di un nuovo ciclo o, come lo chiama Platone in uno dei suoi dialoghi, un “anno cosmico” (Timeo, 39 D). Questo particolare cronologico, in Platone, si inseriva in una filosofia molto più complessa, che riassumeremo con un’etichetta che potrebbe risvegliare ricordi antichi: la dottrina dell’eterno ritorno. Ma qui ci fermiamo.

La durata non è stabilita con molta precisione da Platone: ammesso che i filosofi antichi fossero veramente interessati a un calcolo ben definito, sembra di capire che l’ordine di grandezza fosse di diverse migliaia di anni. È più probabile che, più che una data nel calendario, per gli antichi fosse piuttosto un concetto simile al Giorno del giudizio cristiano: qualcosa che mette ordine nell’eterno scorrere del tempo, ma che non ha molto senso calcolare.

Questa impostazione ciclica del tempo e della storia, personale e individuale, è per noi uomini occidentali del XXI secolo molto difficile da immaginare. Ma, a voler tagliare le cose con l’accetta, è la stessa concezione della storia di molte altre religioni e filosofie, tra cui l’induismo e il buddismo (al centro della bandiera indiana c’è proprio una ruota, riferimento al buddismo). È anche la stessa concezione della storia tradizionale in Cina: questo spiega perché le storie dei primi secoli dell’Impero Cinese sono una lunga serie di sovrani illuminati, poi guerre e poi periodi di decadenza, a cui seguono nuovi sovrani illuminati.

Quindi, in conclusione: ‘palingenesi’ significa ‘rinascita dal nulla’, ma nel concetto è più o meno implicito anche il momento dell’azzeramento, della distruzione dell’esistente più o meno drammatico: secondo la filosofia stoica, ad esempio, questa sarebbe avvenuta nel fuoco. Nei momenti più infiammati dei discorsi di Grillo, il momento della distruzione sembra abbastanza nell’orizzonte delle cose, come quando si prevede il “bagno di sangue” nel caso di uscita dall’euro: bagno di sangue necessario a ripartire.

Nietzsche e Borges
Poi arrivò il cristianesimo, che per i primi secoli era ancora molto legato alle filosofie antiche. Il concetto dell’eterno ritorno della storia venne definitivamente condannato nel Concilio di Costantinopoli del 553 come un’eresia. La parola ‘palingenesi’, però, compariva nelle lettere di Paolo – grande conoscitore della filosofia del suo tempo – e anche tra le parole che il Vangelo di Matteo (capitolo XIX, 28) attribuisce a Gesù, in risposta a una domanda dell’apostolo Pietro:

«In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele.»

‘Nuova creazione’ è proprio quella parola lì, in greco – la lingua in cui sono scritti i Vangeli – ‘palingenesi’. Ma nel Cristianesimo c’è una palingenesi sola, quella della fine dei tempi. Nonostante la condanna del concetto dell’eterno ritorno nel concilio di Costantinopoli, questo non scomparve: venne ripreso da molti filosofi occidentali nel corso della storia. Uno dei più famosi e recenti fu probabilmente il tedesco Friedrich Nietzsche. Non riassumiamo la sua dottrina dell’eterno ritorno, molto complessa e ugualmente divisa tra un livello cosmico e un livello individuale, esistenziale: però ricordiamo che il concetto alla base è la ripresa della concezione antica del tempo come una ripetizione di eventi.

Se avete letto il racconto più famoso di Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, potrebbe esservi venuta in mente un’assonanza: l’universo è l’eterna ripetizione di elementi finiti, come una biblioteca che contenga tutti i libri possibili. Borges, che sapeva un po’ tutto, conosceva bene sia le dottrine antiche – platoniche, neoplatoniche, gnostiche – sia la filosofia di Nietzsche, di cui lo attraeva in particolare l’eterno ritorno. Diversi saggi molto affascinanti di Borges fanno una breve storia dell’eterno ritorno, partendo da Platone e prima ancora: ne parla a lungo, per esempio, in Storia dell’eternità.

E torniamo a Bersani
Per tornare da dove eravamo partiti – parecchio in là – il segretario del Partito Democratico queste cose le conosce probabilmente molto bene, almeno finché si resta nella filosofia (si sa che a Bersani piace Vasco Rossi, ma non si sa altrettanto delle sue preferenze letterarie). Bersani si è laureato in Filosofia all’Università di Bologna nel 1974. La tesi era in storia del Cristianesimo, su papa Gregorio Magno. È meglio precisare che la notizia è certa, viste le vicende recenti: dopo una polemica con l’allora ministro Gelmini a fine 2010, che gli aveva dato dello “studente ripetente”, Bersani pubblicò i suoi voti universitari (potete vederli qui).

Foto: VALERY HACHE/AFP/Getty Images