È uscita per Einaudi la riedizione del libro di Francesco Piccolo Allegro occidentale, pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 2003. È una serie di racconti di un viaggio orientale, introdotti così nel secondo capitolo (nel primo Piccolo veniva scambiato per Nicolas Cage in un ascensore di Hong Kong).
Qualche settimana prima, sono all’aeroporto di Malpensa. Al Terminal 2. Al Terminal 1 ci sono cinque voli al minuto, qui solo due – non al minuto, solo due oggi: un volo è partito per Zanzibar, un altro partirà per Colombo. È quasi tutto chiuso, silenzioso, con un piccolo bar in fondo, dove poche persone chiedono un caffè. Io sono seduto nel corridoio. Sono in una posizione spazio-temporale speciale. Sono sul punto di. Posso guardare questi sconosciuti in quanto sconosciuti, con la coscienza di sapere che ognuno di loro ha una probabilità altissima di diventare mio compagno di viaggio.
Non è questione da poco. Perché questo significa che siamo sull’orlo di un’intimità sfrenata. Posso guardare queste persone sconosciute, mai viste, mentre sono pienamente cosciente che già domani, soltanto domani, di quelle di loro che viaggeranno con me, saprò tutto. E sono di sicuro qui davanti a me, anche se ancora non le riconosco.
Fino al momento in cui li ho visti, ora, i miei probabili futuri compagni di viaggio, non sapevo della loro esistenza, nemmeno la presupponevo. Ora li guardo e quelli di loro che il destino sceglierà, costituiranno il mio gruppo. Ciò vorrà dire che essendo domani molto lontano da casa, solo, il mio gruppo si trasformerà immediatamente nella mia improvvisata famiglia, con naturalezza: con loro mangerò, dormirò, camminerò sotto il sole, guarderò il mondo che non ho mai visto. Il livello emotivo sarà costantemente alto e lo condividerò per intero e senza pudore con degli esseri umani che prima di questo viaggio non sapevo esistessero e che ora sono qui davanti a me anche se ancora non li riconosco. Eppure soltanto domani mi racconteranno la loro vita e ascolteranno la storia della mia vita. Ci racconteremo storie intime che non abbiamo raccontato a nessuno, porremo questioni filosofiche poste solo al nostro migliore amico una notte seduti sul marciapiede con molte birre vuote, e faremo tutto ciò solo perché siamo lontanissimi da casa e con persone che non c’entrano nulla con la nostra vita e per questo ci sentiremo al sicuro. E poi nomineremo e sentiremo nominare con sillabe confidenziali altre persone che non conosceremo mai ma che faranno parte dei prossimi giorni perché saranno le persone a cui si riferiscono i racconti – amici, fidanzati, figli, mogli, colleghi, amanti, fratelli, madri –, li nomineremo e li sentiremo nominare nelle telefonate e nelle preoccupazioni, nei negozi per scegliere un regalo e quando ci sentiremo indifesi di fronte a un’insensata nostalgia. Sono proprio qui davanti a me, senza che ancora li riconosca, gli esseri umani che tra pochissimo condivideranno con me una quotidianità improvvisa, totale, in cui berremo dallo stesso bicchiere, ci presteremo il phon, ci faremo fotografare tutti insieme, ci telefoneremo da una camera all’altra due minuti prima dell’ora dell’appuntamento per chiederci con complicità se siamo pronti. E soprattutto, condivideremo una cosa che non potremo condividere più con nessun altro: vedere, come in questo caso, per la prima volta (e forse mai più) la foresta dello Sri Lanka, le luci dei grattacieli di Hong Kong, la grande barriera corallina australiana. Ci fermeremo davanti a queste bellezze, a queste scoperte, e le guarderemo tutti insieme nello stesso istante e non avremo altre persone oltre noi (il nostro gruppo) per condividerle. Alla fine di tutto torneremo in questo aeroporto e ci scambieremo in fretta gli indirizzi e i numeri di telefono con la certezza in ognuno dei nostri cuori che ci perderemo nello stesso modo in cui ci siamo ritrovati: qui, a Malpensa; e torneremo gli sconosciuti che eravamo prima, cioè adesso, mentre sono ancora qui in attesa di riconoscere il mio gruppo.
Questa preveggenza stupida comporta una speciale malinconia, la stessa che non mi fa dormire nelle notti che precedono un viaggio. La stessa che ho provato qualche giorno fa in libreria e che mi ha spinto a non acquistare alla fine quel che vedo hanno acquistato tutti gli altri miei futuri compagni di viaggio: una guida dello Sri Lanka (e le altre guide che seguiranno). La stringono in una mano, la leggeranno durante il viaggio in aereo.
Io ci sono andato in libreria per acquistare diligentemente le mie guide sullo Sri Lanka e sull’Australia, nel reparto creato apposta per quelli che devono partire e sentono il bisogno imprescindibile di acquistare una guida che descriva con minuzia i luoghi che devono assolutamente vedere. Ma appena ho avuto tra le mani la guida dello Sri Lanka (o meglio, quella delle Maldive con l’appendice dello Sri Lanka), l’ho aperta a caso e ho visto una foto che mi ha inquietato in maniera misteriosa; il motivo di questa inquietudine l’ho capito soltanto quando sono arrivato in Sri Lanka. Questo, insieme allo smarrimento di un computer da parte di un mio compagno di viaggio, ha reso un cattivo servizio alla mia testarda disposizione a volermi considerare in viaggio. In ogni caso, sul momento ho lasciato perdere la guida (e quella dell’Australia non l’ho nemmeno più considerata). E adesso, a torto o a ragione, sono l’unico a non averla.
In tutto siamo nove: due accompagnatori, un fotografo e sei persone che devono scrivere di questo viaggio sui propri giornali. Caterina, l’accompagnatrice, mi consegna il biglietto e insieme a esso un invito per una sala dell’aeroporto.
Perché il nostro viaggio sarà in business class.
E questo cambia tutto.
Sul momento penso che significherà che faremo probabilmente il viaggio che fa chiunque altro, ma in maniera più confortevole. Però è assolutamente evidente che questo è il pensiero di un povero cristo che finora non ha mai viaggiato in business class e nemmeno aveva mai pensato o desiderato di farlo. Era una possibilità esclusa dalla mia vita, e oggi mi chiedo un sacco di volte perché, e so che la risposta non sta solo nel fatto che non avessi abbastanza soldi, ma che non avevo nessuna cognizione di un altro mondo parallelo al mio. In cui lo Sri Lanka o qualsiasi altro posto del mondo non c’entrano nemmeno.