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  • Giovedì 3 gennaio 2013

Essere Andrew Sullivan

La storia di uno dei più famosi blogger al mondo, che ha deciso di lasciare il grande sito che lo ospitava e mettersi in proprio, facendo pagare (poco) i lettori

Andrew Sullivan of Newsweek/Daily Beast, left, and Aaron Tone arrive at the Booksellers area of the White House in Washington for the State Dinner hosted by President Barack Obama and first lady Michelle Obama for British Prime Minister David Cameron and his wife Samantha, Wednesday, March 14, 2012. (AP Photo/Charles Dharapak)
Andrew Sullivan of Newsweek/Daily Beast, left, and Aaron Tone arrive at the Booksellers area of the White House in Washington for the State Dinner hosted by President Barack Obama and first lady Michelle Obama for British Prime Minister David Cameron and his wife Samantha, Wednesday, March 14, 2012. (AP Photo/Charles Dharapak)

Quando, più di dodici anni fa, ho iniziato quasi casualmente a tenere un blog, fu per due ragioni: la curiosità e la libertà. Ero curioso del potenziale che aveva la scrittura con questo nuovo strumento; e per la prima volta, mi sentii totalmente libero come scrittore. Sul mio piccolo blog non dovevo nulla a nessuno, se non ai miei lettori. Non avevo direttori da compiacere, inserzionisti da conquistare, editori per cui lavorare, colleghi da gestire. Forse quello che mi faceva apprezzare così tanto questo cambiamento era l’aver lavorato così a lungo nei media tradizionali. Ma la cosa mi esalta ogni giorno ancora oggi.

Per la prima volta nella storia umana, uno scrittore – o un gruppo di scrittori ed editori – poteva immediatamente raggiungere i lettori, anche centinaia di migliaia di lettori intorno al mondo, senza alcun intermediario.

Questo è l’incipit del lungo post con cui Andrew Sullivan, giornalista e blogger britannico che vive da anni negli Stati Uniti, ha annunciato ieri che il Daily Beast smetterà, dal 2013, di ospitare il suo storico blog The Dish, che diventerà autonomo e a pagamento (l’offerta-lancio è un anno di accesso per 19,99 dollari) dal primo febbraio. Sul nuovo blog non ci sarà pubblicità: uno dei primissimi casi, e certamente il primo tra i blog molto famosi, in cui si introduce un qualche tipo di paywall per i lettori, per quanto piuttosto soft (ci arriviamo).

D’altra parte Andrew Sullivan è sempre stato uno che ha capito molte cose, e spesso in anticipo, nella breve storia dei blog e del rapporto tra questi e il giornalismo. Lo strumento con cui lo ha dimostrato è The Dish, aperto alla fine del 2000. Sullivan aveva 37 anni, era nato nel 1963 nel Surrey inglese ma viveva da tempo negli Stati Uniti – ha studiato Scienze politiche a Harvard dopo aver studiato Storia e letteratura a Oxford – dove aveva una carriera di tutto rispetto nel giornalismo: prima come direttore del celebre bisettimanale politico The New Republic, nominato a soli 27 anni nel 1991, e poi al New York Times Magazine. Ha collaborato anche con Salon, il Washington Post e il londinese Sunday Times.

Ma più della carriera, Sullivan è un personaggio notevole soprattutto per le sue idee presenti e passate, che sono una specie di incarnazione vivente dell’abusato detto “solo gli stupidi non cambiano idea”. È politicamente un conservatore, ma un conservatore fedele a un’idea politica che sta soprattutto nella sua testa: così nel corso degli anni ha appoggiato Reagan e Bush padre, poi Clinton, poi Bush figlio, poi Kerry e Obama. Dice che l’unico partito a cui è rimasto fedele nel tempo è quello dei conservatori inglesi (negli anni Ottanta, quando era ancora un giovane e brillante studente, ha fatto uno stage in un think thank politico di Margaret Thatcher, che rimane una dei suoi idoli). Nel 2009 ha scritto, se mai ce ne fosse stato bisogno, che non si riconosceva più nello schieramento “conservatore” degli Stati Uniti.

È omosessuale – si è sposato nel 2007 in Massachusetts, poco dopo la fine del mandato del governatore Mitt Romney – ed è un cattolico praticante, anche se “secolarista”, che non si riconosce nei messaggi del papato di Benedetto XVI. È sieropositivo dal 1993, cosa che gli ha impedito a lungo di diventare un cittadino americano (oggi ha la Green Card, ovvero il permesso di residenza permanente). Ha appoggiato la guerra in Iraq, poi dopo lo scandalo delle torture nel carcere di Abu Ghraib ha cambiato idea ed è diventato un suo fermo oppositore.

(Luca Sofri: Su Andrew Sullivan (2001))

Tante posizioni anticonformiste, naturalmente, hanno attirato a Sullivan parecchie inimicizie e hanno avuto risvolti personali anche sgradevoli. Una storia che fu al centro di un vero e proprio dibattito, ai primi tempi di The Dish – quando Sullivan era conosciuto ancora solo per il suo lavoro come giornalista – fu la frequentazione da parte di Sullivan di un sito di incontri erotici. Chi rivelò la storia fu un giornalista omosessuale californiano che aveva litigato in passato con lui.

I cambiamenti del pensiero di Sullivan sono stati ampiamente argomentati e, in un certo senso, discussi sul suo blog, che si è sempre occupato in primo luogo di politica. Ma cambiare idea vuol dire anche riconoscere di aver fatto diversi errori, nel corso del tempo: seguire i cambiamenti di opinione di Sullivan è anche seguire quelli dell’opinione pubblica americana e dei suoi mezzi di comunicazione, da un punto di vista personale, intellettualmente onesto e sempre pronto a fare autocritica.

Subito dopo l’11 settembre, Sullivan era parte dell’unanimismo quasi totale che voleva dagli Stati Uniti una risposta e che approvò le guerre di Bush. Lo rimase per molto tempo. Scrisse, in quello che riconosce essere il suo primo, grande errore, che chi era contrario alla guerra era un “traditore”, una “quinta colonna”, “il nemico all’interno dello stesso Occidente”. Sullivan cambiò opinione, dolorosamente e completamente, dopo le prime foto dal carcere iracheno di Abu Ghraib: passò all’opinione opposta con altrettanta violenza, una caratteristica che è propria del personaggio.

The Daily Dish è stato autonomo per i primi sei anni della sua vita e non ha fruttato nulla al suo titolare, come lui stesso riconosce: poi è passato a essere ospitato sulla versione online di tre testate di tutto rispetto: prima su TIME, poi sull’Atlantic – per quattro anni – e infine sul Daily Beast diretto da Tina Brown (quello che nel 2010 si è unito con la storica rivista Newsweek, che da pochi giorni ha interrotto le sue pubblicazioni cartacee). Quando era all’Atlantic, in alcuni giorni The Dish generava metà dei visitatori del sito.

(L’ultima copertina di Newsweek)

Oggi il blog di Sullivan impiega a tempo pieno 7 persone e ha circa un milione di visitatori affezionati. Lo scorso anno The Dish – che non ha i commenti – ha pubblicato 13 mila post differenti e ricevuto circa 90 mila mail, ciascuna delle quali è stata letta e valutata (il metodo con cui è stata possibile tanta produzione è semplice, spiega Sullivan: “ci facciamo il culo”). Da qualche anno, ormai, il lavoro principale di Sullivan coincide con il suo blog, a cui bisogna aggiungere qualche libro (ne ha pubblicati cinque), qualche apparizione televisiva e qualche articolo per i giornali con cui collabora.

Nonostante i numeri The Dish continua a essere una strana miscela di cose, guidato dagli interessi dell’uomo che lo ha cominciato. Mantiene alcuni aspetti del blog personale, tra cui in primo luogo uno stile particolare fatto di sincerità che finisce a volte nel candore. Il bilancio dei suoi primi dieci anni di blog aveva il titolo “La vista dalla mia finestra” e un altro dei suoi post più celebri di sempre si intitola “Why I blog“, “Perché scrivo su un blog”.

Sullivan scrive i post del blog un po’ dappertutto e a volte a casa sua, in una stanzetta all’ultimo piano con una poltrona che lui chiama “la caverna del blog”. Tutti lo descrivono come una persona con un grande carisma personale e una grande parlantina. Soffre di una grave forma di asma, ha due cani beagle (che compaiono anche nel disegno in cima alla sua pagina sul Daily Beast) ed è noto anche per il rapporto molto stretto che ha stabilito fin dall’inizio, molti anni fa, con la comunità dei suoi lettori.

Ma che cosa scrive Andrew Sullivan, alla fin fine? Nel blog ci sono, senza distinzione gerarchica o di importanza, poesie, fotografie ritenute belle o notevoli di un post a parte, brevi aggiornamenti su qualche tema politico particolare, poi un grafico, un video divertente, un sondaggio per i lettori. Poi ci sono le opinioni e gli interventi più lunghi, che sono spesso opinioni forti su temi difficili. E quando scrive, Sullivan è sempre molto franco, a costo di usare frasi di cui poi si pente per argomentare cose di cui è convinto al momento.

Un esempio. Nel maggio 2010, Andrew Sullivan chiese in modo parecchio deciso a Elena Kagan, appena nominata da Obama giudice della Corte Suprema, di dichiarare pubblicamente il suo orientamento sessuale, dato che a suo parere si trattava di una cosa importante per valutare la scelta di Obama e il suo successivo operato da giudice.

Un altro caso interessante è quello dell’insistenza di Sullivan nel voler sapere, e nel chiedere sul suo blog, se uno dei figli di Sarah Palin (ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti nel 2008), Trig, fosse realmente figlio della politica repubblicana, come sostenevano alcune voci mai confermate. Nessun altro dette eccessiva importanza alla questione. Sullivan, invece, continuò per parecchio tempo a insistere anche quando l’evidenza mostrava che l’idea che si era fatto inizialmente era sbagliata.

In altri momenti il blog di Sullivan abbandona le stranezze personali e si trasforma in una specie di laboratorio del giornalismo al tempo di Internet. Uno dei momenti in cui questo è diventato più evidente è stato durante le proteste iraniane del 2010, quando improvvisamente The Dish passò a “coprire” con grande efficacia tutto quello che succedeva nel paese, dalle notizie che arrivavano sui network di informazione arabi ai post di blog iraniani e agli status su Facebook più notevoli.

The Dish di Andrew Sullivan è diventato molto famoso perché è stato uno dei primi blog, perché è molto personale e allo stesso tempo molto attento ai dibattiti dell’opinione pubblica, perché è scritto bene e in un modo sincero, autentico. Con il tempo si è costruito una base di lettori molto solida e molto fedele; allo stesso tempo, anche i grandi gruppi editoriali hanno cominciato a prenderlo in considerazione.

E quindi Andrew Sullivan e il suo staff hanno deciso di mettersi in proprio e di far pagare ai suoi lettori 20 dollari l’anno, per poter leggere The Dish. O meglio, per leggere tutto The Dish: chi ci arriva da link esterni, da altri blog, continuerà a leggerlo gratuitamente, e così continuerà a farlo chi lo legge dai feed RSS. L’unica cosa per cui bisognerà pagare (il servizio su cui si appoggerà Sullivan sarà Tinypass) sarà la lettura integrale degli articoli più lunghi o, come li chiama Sullivan, i suoi “prolissi soliloqui” (e chi vuole potrà pagare più di 20 dollari all’anno, con una sorta di libera donazione: ieri glien’è arrivata una da 10.000 dollari).

È un esperimento rischioso, come ammette lui stesso, che ha la logica di far pagare ai lettori veramente affezionati cercando allo stesso tempo di non chiudere l’accesso ai nuovi visitatori. Un giornalista di Reuters ha stimato che gli ci vorranno almeno 750.000 dollari l’anno per continuare a funzionare come ora. Da parte sua, Sullivan ha scritto che la scelta di The Dish viene dalla convinzione che far pagare qualcosa ai lettori sia “l’unico futuro realmente solido per il giornalismo online”.

Foto: Andrew Sullivan alla Casa Bianca per una cena con il premier britannico David Cameron. (AP Photo/Charles Dharapak)