Oggi, sul Corriere della Sera Dario Di Vico parla della classe dirigente lombarda, da anni espressione del cosiddetto “forzaleghismo”, e dei motivi del suo fallimento.
Per il direttore della Padania, Stefania Piazzo, la crisi al vertice delle istituzioni del Nord è un «furto di rappresentanza politica» ma forse la metafora più adeguata è quella del suicidio. Se la classe dirigente amministrativa delle Regioni che rappresentano la parte più dinamica del Paese si dimostra inadeguata e corrotta, le colpe questa volta non possono essere scaricate su Francoforte o su Roma.
Il forzaleghismo, come è stato chiamato il combinato disposto tra il lungo ciclo politico di Silvio Berlusconi, l’insediamento del Carroccio nei territori e il governatorato di Roberto Formigoni, va in frantumi perché non riesce a selezionare i migliori, a costruire élite e deve ricorrere persino al voto di scambio con la criminalità organizzata per far eleggere i suoi homines novi. «Anche al Nord la politica pur di vincere è scesa troppo in basso e ne è rimasta contaminata» commenta l’economista Innocenzo Cipolletta.
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